I soldi degli altri e come i banchieri li usano

 

“In questo paese il grande monopolio è il monopolio del denaro… Una grande nazione industriale è controllata dal suo sistema creditizio. Il nostro sistema creditizio è concentrato in mani private. La crescita della nazione, dunque, e tutte le nostre attività sono nelle mani di un manipolo di persone che.. congelano, tengano a freno e distruggono l’autentica libertà economica. Questo è il problema più grande di tutti; e gli uomini di stato lo devono affrontare con convinta determinazione per giovare al lontano futuro e alle vere libertà degli uomini”. In occasione della pubblicazione dell’edizione italiana di questo splendido pamphlet, riproponiamo una presentazione di quattro anni fa.

Il potere del denaro

“In questo paese il grande monopolio è il monopolio del denaro. Finché esso esiste, la nostra antica diversità e libertà e la capacità individuale di svilupparsi sono impraticabili. Una grande nazione industriale è controllata dal suo sistema creditizio. Il nostro sistema creditizio è concentrato in mani private. La crescita della nazione, dunque, e tutte le nostre attività sono nelle mani di un manipolo di persone che, anche se le loro azioni sono oneste e rivolte al pubblico interesse, sono necessariamente concentrate nelle grandi intraprese in cui il loro denaro è impegnato e che, necessariamente, qualunque sia la ragione dei loro limiti, congelano, tengano a freno e distruggono l’autentica libertà economica. Questo è il problema più grande di tutti; e gli uomini di stato lo devono affrontare con convinta determinazione per giovare al lontano futuro e alle vere libertà degli uomini”.

Sono le parole, pronunciate esattamente un secolo fa dal presidente americano Woodrow Wilson, con cui Louis D. Brandeis apre il suo vivace e puntiglioso pamphlet su I soldi degli altri e come i banchieri li usano, pubblicato nel 19141.

Quando pubblica quest’aureo libretto, Brandeis è già un avvocato affermato e ampiamente noto per il suo impegno civile, che gli meriterà vari soprannomi come l'”avvocato della gente” o il “Robin Hood della legge”, ma è anche oggetto di un’altrettanto ampia ostilità da parte del mondo conservatore. Un suo acerrimo avversario, il giudice William O. Douglas, scrisse di lui: “E’ stato un crociato militante per la giustizia sociale, chiunque fosse il suo avversario. E’ stato pericoloso non solo per la sua intelligenza brillante, per il suo genio matematico, per il suo coraggio. E’ stato pericoloso perché era incorruttibile”. Di quanti di questi uomini “pericolosi” avremmo oggi bisogno!

La concentrazione del potere

Quella che Brandeis prende di mira nella sua lucida polemica è l”oligarchia finanziaria”, ovvero il Money Trust che concentra nelle sue mani un potere economico enorme e condiziona l’intera vita del paese. Esso è il frutto della concentrazione, degli intrecci societari, degli accordi più o meno occulti fra coloro che controllano le imprese maggiori. Il più insidioso degli strumenti, agli occhi di di Brandeis, è l’interocking directorate, l’intreccio tra consigli di amministrazione e, più in generale, l’intreccio fra interessi che sono in conflitto. Al centro c’è la figura del banchiere d’investimento che Brandeis vede come il deus ex machina di questo sistema. Il banchiere d’investimento è colui che usa “i soldi degli altri” per mettere le mani su banche, società di assicurazione, grandi imprese, società di servizi pubblici, costruendo una gigantesca infrastruttura finanziaria al cui vertice c’è un manipolo di persone in grado di controllare e dirigere ogni cosa nell’interesse dei pochi che hanno accesso al potere finanziario. L’obiettivo è quello di eliminare il più possibile la concorrenza e di convogliare la maggior parte della ricchezza finanziaria di un paese nei canali controllati dall’oligarchia finanziaria.

Qualcosa è mutato nel corso del tempo, il quadro si è fatto più complesso, ma non è difficile ritrovare nell’analisi di Brandeis motivi e problemi che ancora incombono sul nostro presente. La questione della concentrazione del potere economico e della sua capacità di controllare e condizionare pressoché tutti gli aspetti della vita sociale, a partire dalla politica, è la grande questione irrisolta che il secolo XX ci ha lasciato in eredità e che oggi sta esplodendo, mettendo a rischio quel che resta dei nostri sistemi democratici.

Rimasto fuori dalla classica tassonomia di Montesquieu e, quindi, esentato dall’obbligo di condividere con gli altri poteri un regime di suddivisione e di limitazioni, il potere economico incontrollato è oggi il cancro che non solo sta divorando l’economia globale, ma sta distruggendo la coesione sociale e la capacità della politica di dare espressione alla volontà dei cittadini.

E’ necessario che la politica e i governi riconoscano rapidamente la gravità di questa minaccia alla vita democratica e i guasti che essa ha già provocato. Occorre che le costituzioni democratiche incorporino una precisa definizione dei limiti all’accumulazione del potere economico in mani private e le procedure per farli rispettare. Meglio ancora se a livello globale. Non è facile, ma forse è proprio di fronte alle rovine di una crisi provocata da questo sistema che si possono trovare le energie per cambiare strada.

La ricchezza di un paese

E’ ancora con le parole del Presidente Wilson, che nel 1916 lo nominerà membro della Corte suprema, che Brandeis conclude la sua appassionata argomentazione:

“Nessun paese può riuscire ad avere la sua prosperità se questa è dovuta a una classe ristretta in posizione di controllo. Il tesoro dell’America non sta nei cervelli del piccolo numero di uomini che attualmente controllano le grandi imprese… Dipende dalle invenzioni di uomini sconosciuti, dalle ambizioni di uomini sconosciuti. Ogni paese si rinnova con le schiere degli sconosciuti, non con le schiere di quelli che già sono famosi e potenti nelle loro posizioni di controllo”.

E’ questo il sale della democrazia, dovremmo sempre tenerlo a mente, e quando i pochi si sostituiscono ai più nel governo dell’economia come in quello del paese all’orizzonte si profilano tempi bui. Il declino economico è figlio anche di queste storture. Nel mondo d’oggi tutto questo è prevalentemente il frutto di una crescita del potere economico al di fuori di qualsiasi quadro di regole, di qualsiasi forma di controllo. Ma, come ci ricorda l’efficace libretto di Brandeis, non è questione che nasce oggi. E quando un ammonimento, un grido di allarme, viene reiterato nell’arco di un secolo senza che nessuno se ne preoccupi, vuol dire che c’è qualcosa che non funziona nei meccanismi di auto-regolazione della società. Il tempo per porvi rimedio sta ormai per scadere.

1 Louis Dembitz Brandeis, Other People’s Money and How the Bankers Use It, Frederick A. Stokes Company, New York 1914, trad. it. di Rossella Rossini, con un’introduzione di Lapo Berti, I soldi degli altri e come i banchieri li usano, Edizioni di storia e letteratura, Roma, 2015.