Il centro storico svuotato dalla grande architettura

Il caso di Treviso

di Paolo Bornello –

Che succede a Treviso? Succede che la Città sta subendo un trauma architettonico-urbanistico epocale. E’ giunto infatti a compimento l’intervento Appiani (www.areappiani.it).

Sul sito della dismessa fabbrica di laterizi Appiani a poche centinaia di metri dalle mura storiche la Fondazione Cassamarca ha costruito, aumentando notevolmente la volumetria esistente, la “Cittadella delle Istituzioni” su progetto dell’archistar internazionale Mario Botta: 236.000 mc di volume complessivo sull’originaria area dismessa di 60.000 mq a ridosso del centro storico, cosi composti: 146.000 mc a destinazione pubblica (Questura, Agenzia delle Entrate ecc), 90.000 mc a destinazione privata (residenza,negozi e uffici), 4.000 mq di piazza completa di chiesa e 1890 posteggi per la maggior parte interrati.

La Fondazione Cassamarca nasce nel 1992 per effetto della legge sulla riorganizzazione degli istituti di credito di diritto pubblico con conseguente scorporo della vecchia Cassa di Risparmio della Marca Trivigiana in Azienda Bancaria e appunto Fondazione che ne recepisce le originarie finalità sociali, tanto è vero che la stessa fondazione si descrive cosi: “La Fondazione Cassamarca è una persona giuridica privata senza fine di lucro, dotata di piena autonomia statutaria e gestionale, sottoposta al controllo dell’Autorità di Vigilanza e regolata dalla Legge.
Essa persegue esclusivamente scopi di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico preminentemente nei settori della ricerca scientifica, dell’istruzione, dell’arte, della sanità, della conservazione e valorizzazione dei beni culturali e ambientali, delle attività culturali in Italia e all’estero anche riferite agli italiani nel mondo, dell’immigrazione, mantenendo altresì le finalità originarie di assistenza, di beneficenza e di tutela delle categorie sociali più deboli, di contributo allo sviluppo sociale del proprio territorio di origine. La Fondazione persegue i propri scopi liberamente, in base a scelte del Consiglio di Indirizzo e di Programmazione, con gli strumenti consentiti dalla sua natura giuridica, attraverso la definizione di programmi e progetti di intervento, anche pluriennali, da realizzare sia direttamente sia con la collaborazione di altri soggetti, pubblici o privati, interessati”.

Riassumendo: un privato con intenzionalità sociali e pubbliche si autoinveste in accordo con l’amministrazione comunale del compito di promuovere e gestire un intervento cosi imponente e importante da diventare un secondo centro città e condizionarne il futuro sviluppo, in questo usando la grande architettura come una sorta di cartina di tornasole per darsi qualità tout-court. In realtà tutto ciò per un paesone come Treviso è stata una bomba: l’urbanistica contrattata tra pubblico-privato alla base dell’intervento, pur nella probabile sostanziale correttezza dello stesso e pur con un certo grado di attenzione a concepire un progetto secondo normativa e con una certa dose di perspicacia da parte del privato, ha causato una dinamica di traslochi, compravendite e permute tra Comune, Provincia, Cassamarca, enti e associazioni vari, che alla fine ha tramortito il Centro Storico lasciando una serie di grandi contenitori abbandonati in attesa di un qualche utilizzo, e causando una fuoriuscita di circa 2500-3000 persone/giorno dal Centro Storico con gravi conseguenze economiche e alla fine facendo perdere ruolo ed identità a quello che non per niente si chiamava Centro e per giunta Storico.

E’ un trauma di crescita? Appare più un trauma dovuto all’incapacità di governare le attuali trasformazioni della città tra crisi e sviluppo, e di configurare nuovi scenari e coglierne e guidarne i cambiamenti, in tal modo delegando l’attività pianificatoria all’iniziativa di un singolo. Già la L.R. 11/2004 (P.A.T. Piano di Assetto Territoriale: il nuovo piano regolatore comunale) auspica il riutilizzo delle aree urbane dismesse senza consumare ancora suolo, disciplina le modalità di accordo pubblico-privato e lascia molta discrezionalità alla mano pubblica: e ciò è forse accaduto troppo con l’Appiani. In altre parole: l’Appiani è veramente ciò che serviva a Treviso? Treviso aveva bisogno di una Defense? Inoltre: è quello che la comunità trevigiana voleva?  Il motore di sviluppo che ha prevalso è stata la rendita immobiliare (seppur in modo perspicace) sia privata che pubblica e la grande architettura è stata usata come foglia di fico per perseguire “il bello e l’utile”. Ma non certo l’utile collettivo: sono stati completamente disattesi l’interpello della comunità (pur previsto per legge) e la lungimiranza nel governare le trasformazioni sia da parte del pubblico che da parte del privato, in ciò dimostrando perlomeno incompetenza e miopia nella concezione urbanistica di tale intervento. Ma la vita di una comunità, gli attuali problemi di contrazione dei mercati e le grandi future trasformazioni territoriali (le Città Metropolitane in vigore dal gennaio 2014) esigono una preparazione e una capacità di visione e di lettura delle esigenze che chi governa la città deve saper intercettare, interpretare e anticipare. Tutto ciò richiede una classe dirigente all’altezza, ma pure una comunità interlocutrice preparata e attiva e anche una cultura del progetto e un professionismo progettuale che sappiano essere sponda critica rispetto a scelte sempre più legate a valori sociali e non solo prestazionali.