La crisi tocca anche le forme di convivenza

Violenze e famiglie fragili

La crisi delle forme di convivenza ha caratterizzato il mese appena passato. Guerre nello scenario geopolitico ai bordi dell’Europa, ove si assiste all’eterno ritorno dei fondamentalismi del sangue, del suolo e delle religioni.
Una moltitudine cerca scampo attraverso il Mediterraneo verso l’Europa che pare essere diventata l’Unione dell’indifferenza.

Se si guarda in casa, nelle nostre case, la cronaca quotidiana racconta una guerra civile molecolare che attraversa microcosmi famigliari di violenza di genere, sui minori e persino sui figli. Quasi non bastasse la tragedia del femminicidio. Malessere in cui annaspano le analisi socio-psicologiche. Forse ne sanno di più coloro che nel quotidiano affrontano l’apocalisse culturale dell’emergenza delle famiglie, come i giudici dei tribunali dei minori e gli avvocati delle camere minorili. In una ricerca, che sarà presentata al prossimo forum nazionale delle camere minorili, sono state raccolte le loro valutazioni sulla crisi delle forme di convivenza e dei conflitti che attraversano le famiglie. A loro giudizio, rispetto a 20 anni fa, la famiglia continua a costituire l’elemento imprescindibile dell’organizzazione sociale ma è diventata, per usare il termine del libro dello psichiatra Eugenio Borgna (“La fragilità che è in noi” Einaudi) «un microcosmo di relazioni fragili».
È sempre più sovraccarica di compiti, con sempre meno figure stabili per i minori, a volte privi di guida educativa significativa. È sempre meno in grado di affrontare conflitti e cambiamenti esterni, il che ne fa un luogo di relazioni interne più conflittuali. Se negli anni ’70 la famiglia esplodeva verso l’esterno, oggi implode all’interno. Se si pensa alla velocità del ventennio a scavallo del secolo, nei mutamenti degli stili di vita, la fragilità della prima cellula della società appare evidente. Anche se, rispetto a un tempo, il diritto ha codificato una più efficace prassi legislativa per la mediazione in ambito famigliare e dei servizi sociali per mettersi in mezzo. Il che è sempre più difficile solo con il diritto e le leggi, spesso non in grado di comprendere o anticipare i motivi della microconflittualità dilagante. Che esplode per l’84,4% delle segnalazioni quando si rompe il legame di coppia, ma dietro avanzano problemi economici legati al lavoro per il 72,3%, ai comportamenti violenti di uno dei membri per il 63%, a problemi psicologici e psichiatrici nel 42% dei casi.
L’elenco degli operatori della giustizia mite continua scavando nell’antropologia famigliare in difficoltà per differenze culturali e religiose nella coppia, nel non sapere tenere assieme dinamiche tra tre generazioni, sino ai comportamenti anti-sociali dei figli e la loro rivendicazione rancorosa che non riconosce autorità. Buone ultime, al 2,2% dei casi, sono le vecchie e fredde diatribe economiche per l’eredità. Il tutto precipita in comportamenti giovanili che un fortunato libro dello psicanalista Massimo Recalcati auspica dover essere orientate più che dalla figura di Edipo da quella di Telemaco, modello di virtù filiali e famigliari, cui ha fatto riferimento anche Renzi parlando di “generazione Telemaco” nel suo discorso di insediamento al Parlamento Europeo. Sarà per la professione e le frequentazione del disagio ma gli avvocati vedono pochi Telemaco. Sommando i giudizi molto-abbastanza negativi per il 93% di loro i giovani hanno poca fiducia nelle istituzioni, poco rispetto per le leggi e l’autorità (84%), poco rispetto per i ruoli famigliari. Per arrivare a Telemaco non resta che scavare in quella sofferenza di solitudine che attanaglia, secondo gli avvocati, l’84% dei giovani e lavorare su quel deficit di cultura della legalità trattato dai tribunali dei minori.
Due i grandi problemi segnalati: il rapporto tra i minori ed internet, che è aumentato fuori dal campo di influenza delle relazioni con gli adulti, e la crisi della spesa pubblica e la crisi economica che stanno determinando una crescita del disagio dei minori. Sono in difficoltà gli enti locali, in crisi di risorse, non tengono nella dissolvenza della comunità le relazioni di vicinato. Fanno quello che possono medici di base e forze dell’ordine. Tengono ancora le parrocchie e gli oratori, le associazioni di volontariato e sempre più, per i Telemaco del futuro, per scavare nella solitudine e nell’afasia dei giovani drop-out, diventa fondamentale la scuola.
Pare non bastino più neanche le novecentesche analisi del disagio orientate solo alla provenienza sociale dei minori assistiti. La maggior parte dei casi non ha una provenienza di classe sociale prevalente e aumentano, rispetto al disagio dei ceti popolari, i figli dei ceti medi in difficoltà e senza più identità. Sono state annunciate misure per potenziare l’azione della scuola che, dato il quadro, sono le uniche che possono dare segnali di speranza di avere una generazione Telemaco adeguata ai tempi di metamorfosi. Mi pare urgente.

Tratto da “Microcosmi”, Il Sole 24 Ore, 31 agosto 2014