La metamorfosi della Via Emilia per vincere la crisi

di Aldo Bonomi

L’Emilia Romagna: un possibile modello per uscire dalla crisi? Ancora la crescita, ma una crescita fondata su una nuova sintesi tra sapere, green economy e made in Italy. Con la consapevolezza che bisogna puntare sul legame tra i nuovi professionisti del capitalismo cognitivo e le imprese manifatturiere a medio e alto contenuto tecnologico.

Come accompagnare la metamorfosi? Questo mi chiedevo, nel mio ultimo microcosmo (Il Sole 24 Ore dell’8 gennaio). Osservando che nel dispiegarsi del ridisegno complessivo del sistema capitalistico mondiale serva a ben poco illudersi che tutto torni come prima, fingendo prima di tutto con se stessi che non sia successo nulla. Quello che è in discussione alla fine è lo stesso concetto di crescita economica. Sia nel passare dal decreto “Salva Italia” a quello del “Cresci Italia”. Sia per iniziare a traguardare un futuro possibile. Se vogliamo evitare la contrapposizione radicale tra crescita e decrescita, forse val la pena adottare la mediazione linguistica, che poi è teorico-pratica, del teorico dei sistemi Fritjof Capra, che scrive di una “crescita qualitativa” che parta “dall’aver cura di sé, dall’aver cura degli altri e dall’aver cura del mondo”. Un’utopia per raggiungere la quale nessuno ha ancora tracciato la rotta sul territorio. Ma che, tuttavia, già si anima nelle tante eterotopie disseminate nei microcosmi territoriali e praticate da chi pensa – e non solo abita – il territorio. Consapevoli che il deserto lo attraversa solo chi ha ben in mente quale sia la Terra Promessa.

Ad esempio, in quell’Emilia – Romagna che nella recente ed annuale classifica del Sole24Ore sulla qualità della vita nelle province italiane ha registrato un forte balzo in avanti. In questa classifica le province emiliano – romagnole stanno tutte nelle prime venticinque posizioni e ne scalano complessivamente quaranta rispetto all’anno precedente. A cominciare da Bologna, prima assoluta e seconda nella categoria dei servizi, dell’ambiente e della salute. Per proseguire con Ravenna, quinta assoluta e prima nella categoria affari e lavoro. O Rimini, undicesima assoluta e prima nella categoria del tempo libero. Segnale, questo, che in mezzo alla tempesta vince chi tampona meglio le falle grazie al capitale sociale accumulato negli anni di vacche grasse. E che, in Emilia – Romagna, ci riescono meglio di tutti.

Basterebbe, se fosse semplicemente una buriana destinata a passare. Se l’approdo fosse il porto da cui siamo partiti. Che non è così, purtroppo, ce lo dicono i numeri. Quelli di Guido Caselli di Unioncamere Emilia – Romagna. Che raccontano come i circa 32mila posti di lavoro in meno complessivi siano frutto della somma algebrica tra i 41mila nuovi occupati over 35 e i 73mila nuovi disoccupati under 35, così come dei 25mila nuovi disoccupati stranieri. Che ci dicono che i settori che crescono maggiormente in termini assoluti sono la ristorazione (i bar) e l’assistenza sociale. Mentre le prime tre tipologie d’impresa per crescita percentuale – sebbene i numeri siano ancora piccoli – sono la gestione delle macchinette da gioco, le attività di chi fa tatuaggi e piercing e quelle che si occupano di garanzia fidi. In quello strano mix tra cura e distrazione di massa tipico delle economie di crisi. E ancora, i numeri della Cgil regionale che mostrano impietosamente come ormai solo il 14% dei contratti stipulati sul territorio regionale sia a tempo indeterminato, contro il 30% del 2007. Segnali, per citare le parole del Presidente di Unindustria Alberto Vacchi, di un “fenomeno strutturale”, in cui “la crescita, se c’è, è senza occupazione”.

Data l’emergenza ci si aspetta molto da Monti e dalla sua innovazione dall’alto e negoziazione nella crisi europea. Ma molto dipenderà dall’innovazione dal basso. Da dinamiche istituzionali, economiche e politiche di prossimità nei comuni, da quelli polvere a quelli medi, dalle politiche delle città verso le smart city, dalle regioni che sono delegate e prossime all’economia reale.

La Regione ER ha qualche mese fa firmato con tutti i protagonisti sociali del lavoro, dell’impresa e dell’associazionismo un “patto per la crescita intelligente, sostenibile, inclusiva”. Che molto assomiglia, non solo nel lessico, ad un’ipotesi di crescita qualitativa come sostenuta da Fritjof Capra. Che altro non è, per l’appunto, un modo di aver cura di sé (la crescita intelligente), degli altri (inclusiva) e del mondo (sostenibile). Si tratta di un patto che mira, cito testualmente, a “proporre un cammino di rinnovamento economico e sociale” per i territori regionali. In altre parole, per accompagnare nel territorio emiliano-romagnolo la metamorfosi nel mondo nuovo del dopo crisi.

La prima cosa che balza all’occhio, leggendo questo documento, è che la parola che lo anima sia “crescita”. Una crescita fondata su una nuova sintesi tra sapere, green economy e made in Italy. Con la consapevolezza che bisogna puntare sul legame tra i nuovi professionisti del capitalismo cognitivo e quelle imprese manifatturiere a medio e alto contenuto tecnologico che sono oggi 1/5 del totale e che occupano 1/3 della forza lavoro. Così, oltre al rifinanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga, si punta a far raggiungere alle attività di ricerca e sviluppo il 3% del PIL regionale, attraverso un’azione comune tra pubblico e privato per accedere sempre più ai finanziamenti europei, l’unico posto in cui attualmente ci sono soldi pubblici veri e non spostati da un capitolo di spesa all’altro. E ancora: si punta ad attuare il pieno sviluppo di una filiera delle energie rinnovabili e dell’efficienza energetica, attraverso gli accordi con le multi utility territoriali e con i tecnopoli presenti sul territorio regionale; si finanziano le reti d’impresa, nelle loro diverse forme giuridiche, per favorire l’internazionalizzazione delle piccole e medie imprese; si accelera la realizzazione delle opere pubbliche programmate, predisponendo contestualmente il piano per la banda ultralarga; e infine, si punta alla riforma del mercato del lavoro, agevolando le imprese che assumono giovani con un contratto a tempo indeterminato e mettendo ulteriori risorse sui contratti di apprendistato e sul sostegno alle politiche di conciliazione per favorire l’occupazione femminile.

I prossimi anni ci diranno se il Patto per la crescita emiliano – romagnolo sia stato solo un libro dei sogni o la traccia di una metamorfosi possibile.

(tratto da AASTER)