Gli Indignados: ” Fate piano, potreste svegliare gli italiani …”

di Rossella Aprea

Il vento della “revolucion” soffia dalla Spagna

“Fate piano, potreste svegliare gli italiani” è la frase riportata su uno striscione che sventolava alla Puerta del Sol di Madrid qualche giorno fa. Un’ironica provocazione dei giovani spagnoli che confidavano in una reazione analoga da parte  dei giovani italiani.

L’associazione giovanile Democracia Real Ya” dal 15 maggio scorso ha dato il via agli Indignados, il movimento di protesta della generazione X spagnola.

Studenti, lavoratori e disoccupati si sono accampati o hanno organizzato presidi con tende e materassi in una cinquantina di città spagnole. Gli indigandos non hanno un’etichetta politica, ma i motivi della loro “indignazione” sono tutti politici: lotta alla corruzione dei politici, alla collusione delle banche, misure contro la disoccupazione che in Spagna colpisce il 21% della popolazione (record del 45% tra gli under 25).

Una disoccupazione che si concentra prevalentemente nella fascia tra i 18 e i 36 anni e che nasce dalla crisi economica che ha colpito il Paese dal 2009. Per anni la Spagna di Zapatero ha “viaggiato” con una crescita del Pil al 7%, che però è crollato del 3,7% nel 2009 e dello 0,2% nel 2010.

Tutte le giovani generazioni europee in vario modo stanno risentendo fortemente delle conseguenze della crisi economica e l’onda della “revolucion” è arrivata anche nella capitale francese e in quella greca. E l’Italia?

La sonnolenza dei giovani italiani?

E’ sembrato che le proteste spagnole potessero diffondersi anche in Italia. Sarebbe stato comprensibile. L’Italia ha un sistema elettorale in cui i capi-partito controllano la selezione dei candidati, ha un’economia agonizzante con un tasso di disoccupazione giovanile peggiore di quello spagnolo. L’Istat ha pubblicato recentemente dati sconcertanti: 500.000 posti di lavoro persi tra i giovani under 30, letteralmente falcidiati dalla crisi economica. Chi lavora vive in una condizione di precariato permanente. I lavoratori con contratti a tempo determinato o collaborazioni hanno raggiunto il 31 % del totale dei giovani occupati, cioè oltre un milione e vanno considerati i fortunati della nuova generazione. I giovani disoccupati, infatti, raggiungono quota 45% che sale ad oltre il 55% nel Sud del Paese.

E allora perché i giovani italiani non reagiscono?

A dir la verità, i giovani italiani sono stati i primi a reagire in Europa, le manifestazioni di dicembre dello scorso anno non possono essere state già dimenticate, quando il governo Berlusconi stava per crollare e solo l’appoggio “acquisito” dei Responsabili gli ha permesso di proseguire il suo incerto ed egoistico cammino.

Le manifestazioni dei giovani italiani, che finalmente tentavano di conquistare l’attenzione sociale e politica indispensabile per rivendicare interventi che ridessero speranza al loro futuro, si sono spente per la violenza degli infiltrati, per la demonizzazione e il disinteresse del mondo politico, per lo scarso sostegno dell’opinione pubblica nell’oblio di una stampa  colpevole. E i giovani sono ritornati rassegnati alla loro quotidianità senza orizzonti, essendosi illusi che bastasse manifestare per ricevere attenzione, che bastasse ricordare e gridare ai loro padri e alle loro madri la disperazione di un mondo senza futuro a cui non avrebbero potuto partecipare come soggetti attivi e che proprio loro, madri e padri, gli avevano consegnato, costellato di privilegi e privilegiati e senza un orizzonte di rinascita.

I giovani spagnoli non comprendono questa rassegnazione, sono arrabbiati (la loro economia è passata da un boom economico ad un fiasco colossale), gli italiani sono ormai quasi intorpiditi da un decennio di crescita irrilevante, sono sostenuti economicamente dalle famiglie, ma non sono certamente in grado di crearsene una. Il sistema lavorativo esistente ha riprodotto insiders super coccolati che si godono lavori a tempo indeterminato ostacolando gli outsiders; a questi ultimi è concesso solo, se fortuntati, di passare da un contratto a tempo determinato a un altro e le responsabilità delle sinistre e dei sindacati sono evidenti. In Spagna sembrano averlo compreso, in Italia, se non si comprenderà che quel sistema lavorativo non può più essere sostenuto, favorendo la circolazione delle idee economiche liberali sul tema, i giovani continueranno a dividersi tra quelli (perlopiù laureati) che fuggono in Paesi come la Gran Bretagna o in America, e quelli che restano in Italia nella speranza di diventare a loro volta dei viziati insiders (prevalentemente impiegati nella Pubblica amministrazione).

….o un cambiamento di strategia

La rassegnazione e la frustrazione socio-poltica dei giovani  italiani deriva anche da una nuova consapevolezza che il fallimento delle manifestazioni di dicembre ha suscitato, a mio avviso: la necessità che il cambiamento debba e possa procedere solo attraverso uno svecchiamento della classe politica. Il male principale della società italiana da estirpare è proprio tutto concentrato in questa gerontocrazia, autoreferenziale ed egoistica che mai ascolterà le istanze delle nuove generazioni, perché è stata proprio questa anomala classe politica con la propria gestione ad indebolirne la presenza, fino a ignorarne l’esistenza.

Siamo il terzo Paese più vecchio al mondo, con un elettorato e una classe politica anziane:

le giovani generazioni sono in stallo, tenute in gabbia, con un potenziale che non potranno sfruttare, legati al palo della staticità di una vecchia leadership e allo stesso tempo denigrati perché visti come pigri, fannulloni e bamboccioni, perché l’anziano spesso guarda solo al risultato (cioè a quanto il giovane europeo produce rispetto a quello italiano) senza occuparsi delle vere cause del disastro.

Le ultime elezioni amministrative in Italia, però, hanno visto l’affermazione degli outsiders, di esponenti anche giovani rispetto al passato, di uomini che hanno vinto grazie sostanzialmente al sostegno degli elettori, pur spesso senza un appoggio convinto delle coalizioni.

E per questo risultato i giovani hanno lavorato sodo. Per Zedda a Cagliari, per De Magistris a Napoli, e per lo staff di Pisapia hanno dato un contributo decisivo, lavorando gratis, portando in dote tutto il loro know how di nativi digitali. Anche in questo caso la rete ha favorito questa svolta.  Questo risultato elettorale è stato percepito da tutti come un segnale di speranza per il Paese, ma anche e soprattutto per i giovani, che non devono rassegnarsi alle battaglie perse, ma puntare a vincere la loro guerra per il futuro. Ne hanno il diritto ed il dovere per riottenere un posto di rilievo nella società e nel Paese. E forse lo stanno già facendo. I giovani italiani non manifestano in piazza? Forse hanno solo cambiato strategia.