Sanità, quanto mi costi!

di Rossella Rossini

Sanità. Meno risorse pubbliche, meno qualità, più spesa privata. A denunciare il deterioramento del Servizio sanitario nazionale sono soprattutto i cittadini residenti nelle regioni sottoposte a Piani di rientro. E intanto s’impenna la crescita del low cost. E’ lo scenario che emerge dal Monitor Biomedico 2012 realizzato dal Censis.

E’ stimato in 17 miliardi di euro nel 2015 il gap cumulato totale tra le risorse che sarebbero necessarie per coprire i bisogni sanitari degli italiani e i soldi pubblici che presumibilmente il Servizio sanitario nazionale avrà a disposizione. Poche risorse rispetto ai bisogni reali, con tagli inevitabili ai servizi. E’ lo scenario della sanità in Italia, dopo le manovre dei mesi scorsi su cui s’innesta, se sarà confermato, l’ulteriore rigore finanziario previsto dal Patto per la Salute 2013-2015. Già oggi i cittadini spendono di tasca propria per la salute 30,6 miliardi di euro (dato Istat 2010, +8% nel triennio di crisi 2007-2010, mentre il totale della spesa per consumi degli italiani ripiegava, fermandosi a un solo +2,6%). Una cifra vicina a un’intera manovra di bilancio, e tra le poche voci in crescita decisa nella spesa delle famiglie, indotta dal trasferimento pubblico-privato. Emblematico è il caso della spesa per farmaci, con un taglio del 3,5% della spesa pubblica e un aumento del 10,7% di quella privata, che nello stesso triennio ha superato gli 8 miliardi di euro. E’ notevolmente cresciuta anche la compartecipazione richiesta ai cittadini: il peso dei ticket sulle medicine a fine anno graverà sulle famiglie per una cifra di molto superiore al miliardo di euro, cui si aggiungerà la stangata dei ticket su diagnostica, specialistica e pronto soccorso, che farà lievitare l’esborso a 4 miliardi di euro. In dieci anni, la spesa sanitaria privata è cresciuta del 25,5% e non sorprende che un terzo degli italiani reputi insufficiente la disponibilità di farmaci mutuabili. Tuttavia, la colpa non è tutta dei tagli delle risorse pubbliche imposti dalle manovre correttive. Ci sono anche, ad esempio, le spese per l’odontoiatria, a carico dei privati per il 95%; e ci sono le spese per dare risposta rapida a piccoli disturbi o lievi patologie, pagando spesso di tasca propria pur di saltare la burocrazia.

Sono alcuni dei dati messi in luce dal Monitor Biomedico 2012 realizzato dal Censis sulla base di fonti statistiche e interviste, sotto il titolo “Quale futuro per le risorse in sanità? Quale sanità dopo i tagli?”. Dati non solo quantitativi, ma anche qualitativi. Una parte della ricerca è infatti dedicata alle performance del Servizio sanitario percepite dagli italiani nelle diverse Regioni di appartenenza. Ne emerge un forte deterioramento qualitativo della sanità, rilevato dai cittadini soprattutto nelle Regioni sottoposte ai tagli maggiori. Per il 31,7% degli italiani il Servizio sanitario della propria Regione è peggiorato negli ultimi due anni (lo pensava il 21,7% nel 2009), per il 55,3% tutto è rimasto uguale a prima, e solo per il 13% c’è stato invece un miglioramento (ne era convinto il 20,3% nel 2009). I cittadini che parlano di un peggioramento sono il 18,7% in più di quelli che avvertono un miglioramento. Le percentuali di persone che lamentano un peggioramento della sanità sono più alte nel Mezzogiorno (38,5%) e al Centro (34,2%). Nelle Regioni con Piano di rientro (Abruzzo, Calabria, Campania, Lazio, Liguria, Molise, Piemonte, Puglia, Sardegna e Sicilia), più del 38% degli intervistati afferma che la sanità è peggiorata nei due anni precedenti e solo meno dell’8% dichiara che è migliorata (con un saldo tra miglioramento e peggioramento molto negativo, pari a -31%). Numeri diversi nelle Regioni senza Piani di rientro, dove i cittadini che parlano di un peggioramento sono il 23,3%, mentre per il 19,4% c’è stato un miglioramento. “La sanità – sottolinea il Censis – peggiora dunque nelle Regioni in cui i Piani di rientro hanno imposto controlli rigidi della spesa e tagli a servizi e prestazioni: in queste regioni si spende meno rispetto al passato, ma per ora non si spende meglio”.

Caro-sanità e disservizi, tra cui le liste d’attesa, hanno fatto decollare il low cost anche nel campo della salute, dopo l’esplosione della “caccia all’offerta” già sperimentata dagli italiani in altri settori. Segmento a se stante del mercato privato, con un valore stimato in 10 miliardi di euro, è destinato a crescere del 25% l’anno. Rispetto ai prezzi correnti delle prestazioni private si risparmia in media il 30%, ma si arriva anche al 60%, per non parlare di offerte sul web, dall’odontoiatria ai servizi di prevenzione, che propongono sconti fino all’85%. Se sono chiare le ragioni dell’appeal del low cost, il fenomeno – afferma il Censis – desta preoccupazioni a causa della mancanza di controlli di qualità e per la possibile induzione di una domanda impropria con risposte inappropriate. Un esempio è il campo della medicina e chirurgia estetica, con 1 milione di italiani (800.000 donne) che dichiarano di avervi fatto ricorso nella loro vita.

Ma come vedono gli italiani il futuro della sanità? E quali le idee per una sanità migliore?

Il futuro appare segnato da due paure principali: quella di un’accentuazione delle differenze di qualità tra le sanità regionali (35,2%) e quella dell’interferenza della politica, che può danneggiare in modo irreparabile la qualità della sanità (35%); seguono il timore che i problemi di disavanzo rendano indispensabili robusti tagli all’offerta (21,8%); che non si sviluppino le tipologie di strutture e servizi necessarie, come l’assistenza domiciliare territoriale (18%); e che l’invecchiamento e la diffusione delle patologie croniche producano un sovraccarico di strutture e servizi (16,3%).

Malgrado le paure crescenti, c’è una consapevolezza diffusa della necessità di razionalizzare l’uso delle risorse. Oltre il 56% degli italiani ritiene che, per riportare l’equilibrio tra assistenza sanitaria e risorse limitate, occorra rendere più efficienti le strutture, i servizi e il personale. Il 29,4% pensa alla modulazione dei ticket rispetto al reddito disponibile e il 29,5% richiama la necessità di controlli più rigorosi sull’attività prescrittiva dei medici di medicina generale. Prevale cioè fra i cittadini la convinzione che siano necessarie forme di efficientazione e controllo, una convinzione molto forte anche nelle Regioni più esposte in termini di deficit e meno virtuose: ad esempio nelle Regioni in Piano di rientro il 47,9% dei cittadini ritiene che il ticket sia uno strumento utile ed efficace, in grado di limitare l’acquisto dei farmaci, contro il 31,2% che lo ritiene una tassa iniqua e il 20,9% che lo considera inutile.

Ovviamente il futuro della sanità è determinato anche dalle risorse e dalle fonti di finanziamento. In Italia oltre il 77% della spesa sanitaria è finanziata con risorse pubbliche. Poco rilevante è la dimensione assicurativa, sia nella forma della mutualità che in quella delle polizze individuali: dell’out of pocket, che come si è visto è molto alto, i Fondi Sanitari integrativi intermediano una quota inferiore al 14%. La mutualità, però, da tempo – rileva il Censis – è stata individuata come una fonte di risorse potenzialmente virtuosa. Oggi vi sono in Italia 2.500 Società di Mutuo Soccorso, prevalentemente nel Nord del Paese. Si stimano in circa 5,7 milioni gli italiani che aderiscono alle mutue sanitarie, e si tratta di un numero sicuramente in crescita a seguito del sempre più frequente ricorso alle forme di mutualità come componenti della contrattazione collettiva. Tuttavia il settore appare sottodimensionato rispetto alle sue effettive potenzialità. Sono circa 3 milioni gli italiani che, già oggi, si dichiarano disponibili a sottoscrivere una mutua sanitaria integrativa, malgrado non ci sia un’adeguata informazione.