Servizi pubblici tra liberalizzazione e privatizzazione

di Walter Ganapini

Si fa un gran parlare, di questi tempi, di liberalizzazioni e di privatizzazioni e si resta sconcertati, attoniti, di fronte allo sguaiato protagonismo di coloro che vedono per la prima volta intaccati i loro privilegi e messe a rischio le rendite che da sempre incassano all’ombra di una politica opaca con cui intrattengono rapporti incestuosi. E’ bene allora, per chi non ha memoria, riproporre l’esperienza di chi questa esperienza di contribuire a modernizzare il paese contro i gruppi d’interesse che lo feudalizzano l’ha fatta tanti anni fa. Un passato che non passa e che continua a gettare ombre inquietanti su un presente che fatica a prendere forma.

Propongo un piccolo contributo alla riflessione sul futuro dei servizi pubblici locali a partire da un caso vissuto direttamente, essendomi il mondo delle municipalizzate e dei servizi pubblici locali noto da tempo.

Dal ’76 all’80 fui, infatti, Consigliere AGAC, dove ebbi la fortuna di essere tra i promotori del Reggio Emilia Total Energy (Rete 1), il grande progetto di teleriscaldamento che oggi serve gran parte del territorio urbano.

Dal ’90 al ’92 fui Consigliere di AMSA a Milano, come espressione della società civile: quel periodo, più che progettuale nel merito, fu di resistenza alle pratiche che poi interessarono a lungo il pool Mani Pulite: data ad allora la mia collaborazione con gli Organi dello Stato e della Magistratura in tema di crimini ambientali, entrati nel gergo corrente come “ecomafie”.

Sempre nella prima metà degli anni ’90, per un breve periodo, fui consigliere dell’allora AMSC di Reggio, prima della sua fusione in AGAC.

Alla fine del ’94, venni chiamato dal Sindaco Vitali a presiedere ACOSER e AMIU di Bologna , dopodiché avrei presieduto l’AMA di Roma nel ’97, introducendo la raccolta differenziata nella Capitale ed organizzando la gestione dei rifiuti per il Giubileo, e la NET di Udine nel 2003, collaborando al ‘Programma’ di Illy .

L’ invito di Vitali coincideva con il mio desiderio di lasciare Milano dopo l’elezione a Presidente della Regione Lombardia di Roberto Formigoni, che così diventava azionista di controllo della società pubblica di ingegneria che ero stato chiamato a presiedere nella stagione ‘rosa-verde’ della Giunta Ghilardotti-Monguzzi, che aveva condotto la Regione fuori dalla bufera di quegli anni: da tempo uomini del neo-Presidente dichiaravano in pubblico che occorresse ‘farmi fuori’, stante la possibilità che da quella posizione avevo avuto di incidere sulle politiche ambientali, energetiche e territoriali lombarde .

Quando il Sindaco felsineo mi chiamò a Bologna, mi disse “prendi le due società e le unifichi, fai una S.p.a. e la porti in Borsa”: mi parve una sfida straordinaria, nel senso che mi parve correttamente impostata dal punto di vista della logica comunitaria, di liberalizzazione del mercato dei servizi e di creazione di valore, a partire da patrimoni pubblici con valenze storiche eccezionali.

ACOSER aveva 120 anni di storia, AMIU 50; nel paesaggio urbano di Bologna i gasometri ACOSER erano simbolo da decenni di una presenza forte nel territorio.

Presi servizio nei primi giorni del ’95 e per rendere esplicito in qualche maniera l’oggetto della sfida, decisi di donare ai lavoratori delle due Aziende una copia della Costituzione con un commento di Giuseppe Dossetti.

Scrivevo:

“Siamo chiamati dai Comuni nostri proprietari a costruire insieme una nuova struttura efficace e moderna che contribuisca allo sviluppo sostenibile del territorio metropolitano bolognese. Efficienza nell’uso delle risorse ed elevata qualità ambientale urbana sono gli obiettivi al cui raggiungimento dobbiamo contribuire: dipenderà anche dal nostro impegno se il Sistema Bologna riuscirà a reggere con successo la competizione ormai globale.

Infatti solo sistemi sostenibili e con immagine ambientale complessiva (processi produttivi, prodotti, territorio) favorevole reggono le scena del mercato internazionale creando, al contempo, nuove opportunità imprenditoriali ed occupazionali.

Il nostro percorso comune prende avvio in un momento difficile nel quale accade di vedere spesso oltraggiati valori della persona e ragioni della storia.

Nel nostro paese reagire a quegli oltraggi significa riandare alla Costituzione ed al cammino che l’ha generata.

E’ per questo motivo che desidero, a titolo strettamente personale, donarvi una copia della Costituzione accompagnata dalle riflessioni di uno dei suoi padri, Giuseppe Dossetti, che ho avuto a Maestro nella mia giovinezza”.

Dopo sei mesi lasciavo Bologna, sulla scorta di fatti, comportamenti e valutazioni che sintetizzai al Sindaco in forma del tutto riservata alla sua persona, a fine giugno del ’95, con una noterella, accompagnata da alcune altre annotazioni, che si chiamava “Privatizzazioni oltre retorica e dilettantismo”.

Dicevo in quel documento:

“La privatizzazione dei servizi di interesse generale è questione delicata e cruciale a livello internazionale, con numerose esperienze in atto e una letteratura ricchissima.

E’ fuor di discussione che sia opportuno operare nel senso della demonopolizzazione del mercato, dell’efficienza, della redditività come misura dell’efficienza.

Centrale è il ruolo delle Authority, cui compete la regolazione e la gestione della leva tariffaria, e massima è l’attenzione da porsi alla prevenzione di conflitti di interesse all’interfaccia pubblico-privato.

Altra cosa fuor di discussione è il fallimento dell’esperienza inglese nel campo delle privatizzazioni, alla luce dei dati seguenti, che hanno indotto l’autorevole Financial Times a titolare un proprio rapporto in merito ‘L’imbarazzo dei ricchi’: il 62% del valore aggiunto finanziario delle privatizzazioni è andato al 12% della popolazione inglese. Oggi, tale 12% di privilegiati (già in partenza in quanto ceto abbiente) sta portando all’incasso il proprio profitto, vendendo a compagnie straniere (americane, tedesche, francesi) le proprie azioni; l’occupazione nei settori privatizzati è calata del 50%; le tariffe sono aumentate fino al 5-600%, stante anche la tardiva attivazione delle Authorities, milioni di inglesi stanno chiedendo di rateizzare i propri pagamenti delle tariffe e l’unico beneficio della privatizzazione è il calo dell’11% nella interruzione dell’erogazione di servizi.

Cardine del modello inglese è l’approccio cosiddetto di break-up competitivo, basato sui seguenti assunti: non investire una lira per migliorare l’efficienza di ciò che si vuole vendere; mettere in conto forti tensioni con i lavoratori, preparando il terreno alle necessarie “dismissioni degli esuberi” da parte del privato; vendere in fretta, anche in assenza di regole, di Authority e di vera concorrenza al rialzo.

Assai più positivi risultati ha conseguito il modello tedesco, detto ‘evolutivo’, fondato sulla razionalizzazione dell’esistente, sull’incremento progressivo dell’efficienza, sull’altrettanto progressivo ingresso dei privati, soprattutto a livello di singole attività ben delimitate e scorporate.

E’ palese il rischio che, anche in Italia e a Bologna, per privatizzazione si possa intendere una sorta di cessione dei ‘gioielli di famiglia’ in un contesto non accettabile per un vero mercato.

Chi potrebbe desiderare di investire in ACOSER-AMIU così com’è, se non in presenza di estremamente allettanti condizioni di acquisto?

Le aziende erogano servizi e prodotti maturi, quando non obsoleti (es. rete acquedottistica in Bologna ed impianti di trattamento rifiuti), e registrano significativi cali di vendite (consuntivo ’94 su preventivo ’94: meno 5 miliardi di ricavi gas; meno 3 miliardi di ricavi acqua).

L’utile generato sul fatturato è insignificante e non certo in grado di reggere l’erogazione di dividendi, mentre è molto alta, sul versante costi, l’incidenza degli oneri finanziari.

Per un prodotto centrale, il gas naturale, sono prevedibili crisi strategiche negli approvvigionamenti.

Per la gestione delle acque, la tariffa di ambito ottimale ex L. 36/92 è di là dall’essere fissata.

In materia di rifiuti, è prevedibile un incremento a breve della tassa sulle discariche e la scomparsa degli incentivi a favore della produzione elettrica da inceneritori.

Nessun investitore, in tali condizioni di incertezza, opera allocazione di risorse.

E’ del tutto opportuno, allora, lavorare di buona lena per l’efficienza, per l’innovazione, per la valorizzazione su nuovi mercati dei know-how acquisiti: in una parola, per portare ACOSER-AMIU agli indicatori prestazionali medi, nei settori di competenza, a scala europea.

Ciò richiede motivazione, competenza, cultura manageriale adeguata al settore specifico, squadre dirigenti colte e determinate, continua valorizzazione del consenso dei lavoratori: in una parola, qualità da vero progetto moderno, completo di adeguata strategia di comunicazione.

E’ in tale contesto, ad esempio, che si massimizza il valore aggiunto potenziale per le reti gas (2200 km in provincia di Bologna), derivante dal loro possibile utilizzo per il cablaggio-sviluppo della multimedialità nell’area metropolitana; lo stesso deve dirsi per la distribuzione elettrica.

La riorganizzazione ottimale è probabilmente quella secondo uno schema di holding, dove le sub-holdings (gas-energia, acque, rifiuti, estero, monitoraggio, GIS, ecc.) potrebbero anche celermente vedere l’ingresso di partner privati seri ed affidabili, e, quindi, generare flusso di capitali freschi.

Se il privato non percepisce l’esistenza di un progetto forte, punterà certamente a ciò che per lui è oggi più immediatamente profittevole: l’acquisizione a prezzi assai bassi di una posizione di grande forza nell’azionariato della holding, posizione dalla quale governare disaggregazioni e cessioni in modo tale da compensare l’incertezza derivante dalla assenza di regole, Authority, certezze tariffarie per i business ordinari delle aziende.

Se l’intento non è un vacuo perseguire un simbolico ingresso in Borsa, ma fare rendere il proprio patrimonio (esistono imperi economici non quotati in Borsa), la strada è univocamente tracciata.

L’incidenza del costo del lavoro, nelle aziende bolognesi, non è la variabile cruciale: si prenda il caso di AMIU, che presenta un costo medio annuo, per operatore, di 55 milioni: tale valore, in Europa, si attesta sui 51 milioni (sempre che non si operi con lavoro nero ed extracomunitari gestiti con modalità da caporalato), mentre la differenza tra pubblico e privato, in Italia, è dell’ordine del 15% a favore del secondo, in virtù solo di modalità contrattuali oggi in via di armonizzazione (circa 6 ore lavorative/mese in più nel settore privato).

Giocare con l’indicazione di esuberi è perciò esercizio da condursi con grande prudenza, mentre forte attenzione dovrebbe porsi a strategie di riqualificazione, anche in vista di nuovi business necessariamente da attivare per incrementare la redditività aziendale.

Altro ragionamento cruciale è quello inerente il rispetto delle regole e dei ruoli: esiste una proprietà che indica obiettivi e nomina un Consiglio di Amministrazione cui affida il compito di elaborare strategie per conseguire tali obiettivi : il Consiglio d’Amministrazione nomina il gruppo dirigente, incaricato di tradurre le strategie in politiche gestionali.

Accettare, o addirittura promuovere, confusione nei rapporti tra i livelli ed i ruoli, come sopra descritti (e come normati dal Codice Civile) è premessa di catastrofi gestionali e di risultati operativi fallimentari”.

Avevo cercato di far ricevere dal Sindaco, senza successo, e dall’allora Assessore al Bilancio Flavio Delbono (quasi infastidito dalla proposta), allievo del Consigliere di ACOSER-AMIU prof. Basevi (altro Consigliere essendo Alberto Clò) Ugo Finzi, il riferimento di Giuliano Amato in Banca Mondiale, l’uomo che per la Banca aveva redatto i manuali sulle liberalizzazioni, l’unico che si scontrò con i Chicago boys di reaganiana memoria e che predisse, con largo anticipo, il disastro cui si sarebbe giunti se la logica dei Chicago boys (libero mercato e privatizzazioni subito, no a gestioni graduali della transizione) avesse vinto nell’ex Unione Sovietica, ciò che è poi accaduto, portandone gran parte dell’economia sotto il controllo della mafia russa.

La logica di Finzi/Banca Mondiale sulle liberalizzazioni era semplicissima: c’è un interesse generale da tutelare governando beni pubblici fondamentali quali energia e acqua, tutela che prevede un’Authority che governi il processo di liberalizzazione e un gestore della leva tariffaria che rappresenti al meglio l’interesse pubblico, ad esempio una holding al 100% pubblica.

In presenza di tali precondizioni, tutto ciò che è gestione operativa può essere ‘divisionalizzato’, in vista della eventuale , successiva , trasformazione delle divisioni in S.p.A. con capitale, in quel contesto, anche per il 100% di proprietà privata.

In Inghilterra, invece, il governo Thatcher aveva celermente privatizzato volutamente ritardando di anni la nascita delle Autorithies (Offgas, Offwat) e dunque era stato possibile, per i ‘nuovi padroni’, fare crescere del 5-600% le tariffe in tempi brevi: chi, come me, dovette andare a Birmingham nel ’95, in visita al partner che ci si voleva imporre per la costituenda (dalla fusione di ACOSER-AMIU) SEABO, constatava la crescente povertà sociale nell’attività dei Front Offices e dei Call Centers delle aziende privatizzate, i cui operatori, controllati in tempo reale affinchè non concedessero più di 12 secondi a contatto, erano stremati nel gestire le richieste di rateizzazione delle bollette da parte di migliaia di consumatori inglesi.

Arrivavo a Bologna da Milano, dove avevo praticato il postulato tipico della cultura giuridica di quella Procura, secondo il quale il Presidente di un’azienda pubblica doveva ritenersi a tutti gli effetti Pubblico Ufficiale e, in quanto tale, doveva rispettare regole, peraltro normali, quale il ricorso a pubblica gara per la scelta di partners industriali e finanziari.

E’un tema su cui lo stesso Ciampi si espresse poi come Ministro del Tesoro : se si è managers di aziende pubbliche, l’obiettivo è creare valore per gli azionisti, non quello di svendere, di non investire una lira, di far collassare una struttura.

Spiegai a molti, il Sindaco in primis, il modello germanico, avendo in mente RWE che allora fatturava 154.000 miliardi di vecchie lire, quotata in 9 Borse al mondo. RWE nasceva , prima del nazismo , da 34 Comuni della Renania-Westfalia, sopravviveva durante il nazismo, si sviluppava nel dopoguerra come società per azioni riservando ai 34 Comuni il 30% delle azioni con “golden share”, mantenendo così un forte radicamento dell’impresa nel proprio territorio, pur essendo il secondo produttore al mondo di energia elettrica dopo EDF.

A Bologna, come “advisors” per la valutazione della nuova società, trovai Arthur Andersen, Goldman Sachs e Marco Vitale, che concordavano nell’indicare il valore degli “assets” in 1500 miliardi, concordando altresì nell’indicazione di un capitale sociale, per la SpA da quotare, di circa 900 miliardi, conto tenuto del necessario “underpricing” per attirare gli investitori.

Nello stesso tempo, Giulio Del Ninno, Amministratore Delegato di Edison, mi confermava che i 2.200 km di reti gas dell’azienda,se utilizzati per il cablaggio, portavano gli “assets” ad un valore vicino a 4.500 miliardi (conoscendo da vicino la scarsa propensione all’innovazione del Sistema Paese, non assunsi quel dato come base per la pianificazione industriale e finanziaria cui stavo lavorando, base poi della futura HERA).

Al fine di perorare la causa dell’approccio tedesco e non dell’inglese, privilegiato da circoli non trasparenti , ma potenti e capaci di influenzare l’azionista di maggioranza di ACOSER-AMIU, cercai di portare a Bologna anche Guido Rossi, ma non era ben accetto; nella frammentata e conflittuale realtà bolognese di allora, quei circoli, sostenendo l’esistenza di patti para-sociali che nessuno aveva mai letto, premevano affinchè il capitale sociale con cui andare in Borsa fosse indicato in 300 miliardi di vecchie Lire (contro i 900 consigliati dagli “advisors”), con il 30% delle azioni (e quindi il controllo della SpA) da ritenersi già allocato, senza alcuna procedura di pubblica evidenza, ad una compagnia anglo-siciliana, forse più siciliana che anglo. Non avrei mai associato il mio operato alla distruzione del patrimonio pubblico di AMIU e ACOSER , pur passando momenti anche non semplici, perché quel delta di 600 miliardi, tra 900 e 300, era tale da farmi avere anche un po’ di paura per la mia personale incolumità.

Infatti , per dirla con le parole dell’amico Spezzotti, allora Goldman Sachs, alle condizioni date per scontate dai citati circoli, l’affare per l’acquirente si sarebbe collocato nella fascia “eccellente”: in quei pochi mesi bolognesi bloccai l’operazione “pochi, sporchi, ma subito” per fare cassa e consentire transitoriamente all’azionista Comune di Bologna di moderare l’incremento dell’ICI in vista delle Elezioni così l’operazione veniva venduta al Sindaco dal gruppuscolo più animoso dei circoli, peraltro senza alcun rispetto delle decine di piccoli Comuni azionisti di minoranza).

Mentre nel Luglio ’95 ritornavo a Milano, come Assessore all’Ambiente indicato dalla società civile a Formentini, vi fu chi cercò di farmi pagare gli ostacoli da me posti all’operazione “svendita” : un Partito rappresentato in Consiglio Comunale diffuse a stampa una copia apocrifa del mio rapporto riservato al Sindaco. Fortunatamente la vicenda arrivò alle mani dell’allora Procuratore Aggiunto Cons. Persico, che non impiegò molto a definirmi “parte offesa”, in tutta la vicenda, mentre in pochi mesi cadevano le querele e le aggressioni, dirette ed indirette, di persone e strutture vicine al gruppuscolo che avevo contrastato.

Molto piacere mi fece, qualche tempo dopo, una lettera di Augusto Barbera che concludeva scrivendo: ” Effettivamente a Bologna, su quelle vicende, sarebbe occorsa più trasparenza”.

Anche l’allora Vice Procuratore Nazionale Antimafia Maritati dovette interessarsi del caso, essendovi segni di contatti con una multinazionale amero-italiana oggetto della attenzione di più Organi dello Stato, che minacciò cause nei miei confronti per risarcimenti miliardari a proprio favore, avendo io troncato i rapporti informali da essa posti in essere con le Direzioni di AMIU-ACOSER e Comune, vicine ai sopra citati circoli.

Nella Bologna di allora, che vide persino il più importante dirigente comunale guidare la privatizzazione delle Farmacie per poi andare a gestire la “branch” italiana del gruppo straniero acquirente delle medesime (il noto principio della “revolving door”), c’erano tutti i segni del malessere che sfociò nella sconfitta del centrosinistra.

Nessuno, ad esclusione di qualche rappresentante dell’Unione Industriali e dei Sindacati, prestava la minima attenzione al progetto industriale, all’innovazione, all’immagine comunicabile della città, anche in termini di marketing territoriale, connessi ad un possibile percorso evolutivo, alla tedesca, della nuova azienda.

Mentre altri lavoravano solo allo “spezzatino” da svendere, presentai agli azionisti il piano industriale, dalla manutenzione territoriale alle politiche energetiche, prima di andarmene.

Un piccolissimo esempio, fra i tanti possibili, del suo contenuto: il piano metteva in risalto la necessità di procedere alla sostituzione programmata di centinaia di chilometri di rete acquedottistica, realizzata con tubi in ghisa sferoidale nota in letteratura tecnica come “Timing Bomb”, perché al 60° anno circa di vita operativa cede, sicché la pressione dell’acqua fa scoppiare le condotte.

Chiunque conosca Bologna sa che quasi settimanalmente, dal ’95 ad oggi, simili eventi si sono verificati, con costi altissimi per la città, spesso resa inaccessibile in arterie cruciali o divisa in due, per giorni e giorni.

Nessuno mise mano alla sostituzione preventiva, il cui costo avrebbe inciso su bilanci che, in assenza proprio di una politica industriale, avrebbero stentato a generare un pur minimo dividendo per remunerare gli azionisti.

Alla fine , comunque , nacque HERA , S.p.A con capitale sociale di circa 800 miliardi (non 900, ma certo non 300) , con a capo uomini che all’epoca io avevo proposto al Comune, a partire dall’Ing. Barilli, oggi Direttore Generale .

Desidero infine rammentare l’ipotesi, che con l’amico caro Oscar Marchisio avanzammo in più sedi, di recuperare, previa adeguata bonifica, il gasometro ACOSER come “segno”, visibile da chiunque passasse per il cruciale snodo ferroviario felsineo, di una nuova Bologna sostenibile: realizzata allora, con centri per multimedialità, sale congressi, uffici di società innovative, ristorante di qualità sul culmine, sarebbe stata una primizia, mentre, fatta oggi, sarebbe comunque copiare quanto la Germania ha realizzato nelle città bonificate e rinaturate della Ruhr.

Per riassumere: la cosa più preoccupante, per chi abbia a cuore l’interesse pubblico in generale, è il verificarsi di condizioni di deregolazione selvaggia, quale quella oggi dominante a proposito di globalizzazione dei mercati .

Non dimentichiamo Ruggiero quando, Direttore Generale del WTO prima di Seattle, si pose l’obiettivo di riuscire ad inserire una “clausola sociale” nell’aggiornamento dei trattati commerciali (e, dietro alla “clausola sociale”, una “clausola ambientale”) che consentisse reale, per quanto tendenziale, parità di condizioni competitive su di un mercato realmente libero per la circolazione di merci e persone.

Superata la sbornia del “virtuale” e della “finanziarizzazione”, è importante prendere atto che, nel campo dei servizi pubblici industriali, solo la liberalizzazione regolata aiuta la competitività di un territorio sui mercati globali.

E’ questa la linea dell’Unione Europea , tra l’Inghilterra post-thatcheriana che ha visto per anni Blair investire risorse pubbliche nel recupero di qualità dei servizi pubblici ed una Francia che, gestita da sinistra e da destra, stenta a mettere in discussione il gigante monopolistico pubblico dell’EDF.

Ancora una volta la Germania sembra praticare un disegno equilibrato ed efficace.

In un contesto virtuoso, grande ruolo spetta alla finanza, soprattutto a quella che ormai universalmente si definisce “etica”.

Nel quadro delle attuali modalità prevalenti di privatizzazione senza seria liberalizzazione, nessuno può illudersi che diminuisca di un Euro la spesa dell’utente-famiglia : non c’è un caso al mondo in cui la privatizzazione senza preventiva liberalizzazione abbia prodotto benefici economici per l’utente finale privato.

Spero che su questi temi si creino rapidamente quelle che una volta si chiamavano le “alleanze dei produttori”, e che oggi mi paiono “alleanze delle persone perbene”, coinvolgendo anche il sistema finanziario , che così tanto contributo ha dato a generare i problemi che dobbiamo fronteggiare , per avere un mondo equo e sostenibile.