Architettura e occupazioni

Per una cultura del riuso: l’esempio di “Torre David”

di Paolo Deganello –

In Italia tra il 1997 e il 2007 sono stati realizzati 1,1 miliardi di metri cubi di nuova edilizia residenziale. Il crollo delle vendite iniziato nel 2006 ha portato l’invenduto costruito a dimensioni allucinanti. I dati Nomisma ci dicono che in tutta Italia esistono 694 mila alloggi invenduti a fronte di una domanda di edilizia sociale pari a 583 mila alloggi. È così evidente che abbiamo stracostruito quell’edilizia di cui non avevamo e non abbiamo bisogno, sprecando una infinità di territorio e materiali e risorse

La 13ª Mostra internazionale di architettura di Venezia, la Biennale di Architettura 2012, ha di fatto premiato, con uno dei suoi tre leoni d’oro: “Torre David “, un grattacielo di quarantacinque piani, incompiuto, costruito negli anni novanta, nella città di Caracas. Destinato a sede di una banca, incompiuto per il fallimento e la morte del costruttore, è stato occupato abusivamente da anni, ed ora è abitato da 750 famiglie senza casa, che negli anni l’hanno “riqualificata” non solo come abitazione ma anche costruendo al suo interno negozi, laboratori artigiani di sartoria e di elettrotecnica, bar ristoranti e spazi assembleari per le riunioni dei condomini e luoghi improvvisati per molte altre iniziative, ed è oggi una “favela verticale” intensamente abitata nel centro di Caracas. Interamente autocostruita nel suo “cambio di destinazione”, vissuta ormai non solo da chi la abita ma anche da chi la va a usare per i servizi che offre, è un nuovo pezzo di città.

Percorrendo il magnifico colonnato delle Corderie dell’Arsenale di Venezia si cominciava a intravedere nel fondo, su fondo nero, una serie di insegne luminose al neon quali: Abierto24horas, Parrillada, Desayunos, Cachapas, Stop Pollo. Su tutte dominanava la scritta gigante “Gran Horizonte” Restaurant. Si poteva così entrare in uno spazio minimamente arredato con poveri tavolini da Bar, un banco cucina, un menú di cibo popolare venezuelano, l’immancabile televisore, un insieme che ricostruiva l’atomosfera di uno dei tanti restaurant poveri che si possono incontrare dentro e fuori della “Torre David”. Alle pareti del Gran Horizonte, costruite in forati non intonacati come i molti spazi abitati di questa favela verticale, erano attaccati manifesti dell’occupazione e foto di Iwan Baan che facevano ben vedere come si arreda e si vive uno spazio occupato. Come in tutte le favelas, la riqualificazione di quegli spazi era realizzata con televisori, pannelli, manifesti, porte, pavimenti, rivestimenti, sanitari, lampade, mobili, tutti di recupero, che avevano certamente i segni dolorosi dell’indigenza ma anche il fascino di una solidarietà e di un capacità di inventare collettivo capace di mostrare un alternativa viva e vissuta al buon gusto dominante e alla fascinazione del nuovo, delle nostre riviste di architettura. Fin dagli anni sessanta soprattutto il design radical, chiamato anche antidesign, aveva cercato grazie alla sua militanza politica e alle suggestioni della pop art e dell’arte povera di portare dentro l’architettura e il design istituzionale le diverse culture popolari dell’abitare. Ben presto marginalizzato nelle riviste e nelle facoltà, il progetto radical era rimasto nell’oblio per anni per essere riscoperto da alcuni anni, come una “utopia”, una curiosità ingenua, degna comunque di nota.

Oggi l’istituzione Biennale in realtà non dà il leone d’oro alla occupazione della Torre David, ma a un gruppo di architetti venezuelani, gli “Urban–Think Tank”, che per due anni hanno studiato, sostenuto, documentato con film e foto, quell’architettura occupata. Invitati dal curatore della Biennale David Chipperfield hanno con onestà intellettuale e modestia, costruito in fondo alle Corderie dell’Arsenale un reperto, un piccolo pezzo di vita vissuta dell’architettura occupata e per questo una commissione, lungimirante?, ha dato loro uno dei tre leoni d’oro della Biennale 2012.

In Italia tra il 1997 e il 2007 sono stati realizzati 1,1 miliardi di metri cubi di nuova edilizia residenziale. Il crollo delle vendite iniziato nel 2006 ha portato l’invenduto costruito a dimensioni allucinanti. I dati Nomisma ci dicono che in tutta Italia esistono 694 mila alloggi invenduti a fronte di una domanda di edilizia sociale pari a 583 mila alloggi. È così evidente che abbiamo stracostruito quell’edilizia di cui non avevamo e non abbiamo bisogno, sprecando una infinità di territorio e materiali e risorse, che ci ha portato all’attuale crisi di sovraproduzione, ma, nonostante la sua drammatica evidenza, ancora oggi ad esempio, la giunta Alemanno tenta di far approvare, solo in Roma, venti milioni di metri cubi di nuova costruzione e a Milano, ma l’Italia è piena di situazioni analoghe, una amministrazione come quella di Pisapia ha accettato di cementificare 2 milioni di metri quadri di terreno agricolo, per fare una Expo che sarà l’ennesimo disastro di spreco di edilizia e territorio, nella storia ormai ripetuta dei disastri delle ultime Expo. Solo a Roma, capitale delle case invendute che è anche, paradossalmente, la capitale dei senza case, 10.000 vivono in case occupate lasciate vuote e invendute (dati pubblicati su Reportage pubblicato da “il manifesto” 19 gennaio 2013). L’ANCE (Associazione nazionale costruttori edili) di Milano Lodi Monza e Brianza ha programmato a Piazza Affari a Milano il 13 febbraio 2013” La giornata della collera” per denunciare la stranota ,drammatica crisi del settore edilizio. La miriade di giovani e non più giovani architetti disoccupati, certamente pieni di collera, sono invitati a partecipare all’iniziativa a fianco delle imprese e di quell’apparato produttivo che, lo ripeto, ha costruito 694 mila alloggi invenduti a fronte di una domanda sociale di 583 mila alloggi. L’esercito degli architetti disoccupati pieni di collera può anche fare come Urban-Think Tank, fare cioè dell’ormai inevitabile occupazione diffusa del vuoto edificato una grande occasione per una radicale reinvenzione della disciplina. Collochiamoci non più al servizio e a fianco dei costruttori e degli immobiliaristi dell’invenduto dell’ANCE, ma a fianco di una domanda, già enorme e destinata a crescere, di edilizia sociale che può trovare risposta immediata nella miriade di case vuote delle nostre città. Installiamo i nostri studi, visto che non siamo più in grado di sopportarne i costi, negli edifici occupati e mettiamo a disposizione degli occupanti la nostra capacità di progetto per riusare, riqualificare, dare nuova socialità al disabitato e all’invenduto. A Roma è gia pronto un progetto di occupazione di 15 caserme e comprensori militari fatto dai molti, sempre piu numerosi romani costretti ad occupare e dalle loro associazioni. Costruiscano i giovani architetti disoccupati laboratori di manutenzione ed arredo negli edifici occupati, usando come gli occupanti insegnano, tutti gli scarti possibili di questa società del benessere, collaborino a rendere le occupazioni abitazioni ricche di spazi comuni, di nuova socialità urbana, come gia è la Torre David, invece di sognare di poter un giorno che non verrà costruire il grattacielo a punta di Renzo Piano a Londra. Finalmente trainati dalle domande reali dei senza casa, non più progettisti radical minoritari, è possibile rifondare tutte le discipline del progetto e inventarsi un nuovo lavoro di progettazione orientato alla manutenzione, all’aggiornamento e al riuso del già costruito e del già prodotto. È quello che ci suggerisce perfino la Biennale di Venezia 2012.