Ma cos’è questa crisi?

di Rossella Aprea

Un processo di revisione della macchina istituzionale-politica urge in Italia da oltre quindici anni, cioè da quando si è scatenata la crisi con l’avvento della stagione giustizialista di “Mani pulite”. Per sanare la crisi che già si manifestava nella prima metà degli anni Novanta si doveva dare avvio ad una stagione di riforme. Ma nulla è stato fatto. Ritenere che le la crisi degli anni Novanta dovesse essere ricondotta unicamente alla degenerazione del sistema politico è, però, ingenuo, come miope e provinciale sarebbe considerarlo solo un fenomeno locale, limitato cioè alla nostra penisola.

Piero Bassetti, imprenditore e uomo politico di lungo corso, appartenente all’area cattolico-sociale, nel saggio introduttivo a un volume del 1997 che raccoglieva gli atti di un convegno sulle camere di commercio, affronta la questione dell’intreccio politico-economico che riguarda non solo il nostro Paese, ma l’intero sistema delle democrazie occidentali, così come si presentava all’alba degli anni Novanta. Gli spunti di riflessione e l’analisi mantengono intatta la loro freschezza e ci appaiono di un’attualità sconvolgente, che mette drammaticamente a nudo la nostra incapacità collettiva di comprendere e di reagire.

“Si continua a parlare di crisi politica, ma questa non è più una crisi perché si estende ormai fino a occupare un intero ciclo della vita politica del paese. Assomiglia assai più a un modo di essere, a una caratteristica di stabile instabilità, propria di questa fase della storia politica. E non solo di quella italiana. Ma, poi, siamo realmente convinti che si tratti soltanto di un problema della politica, e ancor più dei meccanismi di formazione dei gruppi dirigenti, della distribuzione e dell’esercizio del potere di guida dello Stato?”

Il cambiamento dei sistemi socio-economici

Nella seconda metà del secolo scorso i sistemi socio-economici mondiali erano attraversati da tendenze e profondi cambiamenti nelle modalità di produzione e distribuzione della ricchezza che avrebbero determinato serie conseguenze su tutti i sistemi istituzionali, in particolare su quelli democratici occidentali. Per Bassetti tre sarebbero stati i “vettori”rilevanti del cambiamento: l’innovazione tecnologica, che avrebbe modificato profondamente il modo di produrre, di consumare, di lavorare, di creare e distribuire cultura, di aggregare individui e comunità; l’emergere dell’impresa come attore dell’innovazione tecnologica che coagulava non solo gli interessi dell’imprenditore, ma anche quelli dei lavoratori, dei fornitori, dei clienti, delle comunità locale,della rete degli altri soggetti economici; ed infine il processo di globalizzazione dell’economia, che ha proiettato le imprese in una dimensione sovranazionale diversa da quella conosciuta fino a ieri, caratterizzata ancora da schemi tardo-mercantilistici. Dall’impresa tradizionale con struttura fissa e mercato variabile si passa all’impresa variabile: nella proprietà, nella dislocazione territoriale, nel reperimento delle risorse, nella finanza, nel mercato.

In breve: sul piano culturale si assiste al crollo delle ideologie come fattore di aggregazione sociale e politica; sul piano istituzionale all’inadeguatezza dei tradizionali meccanismi di rappresentanza politica e di costruzione del consenso, sul piano statuale, al fallimento degli apparati organizzativi della pubblica amministrazione, risalenti a epoca pre-industriale, incapaci di fornire servizi adeguati per qualità alla nuova domanda sociale, con costi e tempi sopportabili. Su tutti i piani, poi, l’insanabile contraddizione fra un sistema fondato sull’organizzazione e sul controllo dei soggetti (cittadini e imprese) legati al territorio e una realtà in cui una parte dei soggetti, le imprese, diventavano sempre più slegate dal vincolo territoriale. Se questa è l’analisi, come parlare di crisi politica in soli termini di ricambio del personale politico? Possiamo credere che la soluzione dipenda da avvedute modifiche del sistema elettorale e della distribuzione del potere all’interno dei vecchi meccanismi? Possiamo limitarci a pretendere maggiore efficienza delle burocrazie di questa macchina statale?”.

Le riforme mancate

Le riforme avrebbero dovuto investire l’intero sistema politico-economico. Tutt’intorno si assiste al disfacimento delle strutture del vecchio stato, colpite dall’obsolescenza della cultura operativa e dai tagli di bilancio. Le istituzioni storiche della democrazia rappresentativa dei paesi occidentali arrancano un po’ ovunque, anche se l’Italia, per le sue congenite debolezze, lo manifesta in anticipo e con maggiore virulenza. Il punto è che queste istituzioni, nate per organizzare il consenso di popolazioni divise in ceti tendenzialmente immobili, non ce la fanno più a rappresentare una realtà sociale in rapido movimento, che cancella e rimescola continuamente le distinzioni tradizionali, ne crea altre. Una realtà sociale dove l’impresa non è più solo strumento per organizzare il capitale del proprietario, bensì soggetto sempre più autonomo che raccoglie interessi diversi. Un soggetto che pone due problemi nuovi allo Stato: ragionare in termini non ideologici ma sulla base degli interessi, ed essere a-territoriale, con una libertà di movimento amplificata dal processo di globalizzazione dei mercati. Tutto ciò avviene in un momento storico di transizione che vede la sovranità trasferirsi dagli stati nazionali a entità meta-nazionali [ad es. la comunità europea], in un processo che solo in parte può essere considerato democratico. Infatti, all’ampliamento dei poteri di gestione avocati dagli organismi comunitari non corrisponde (non ancora!) un parallelo ampliarsi dei poteri di controllo dal basso, ovvero dai cittadini europei. In questo quadro si creano inedite e preoccupanti lacerazioni nel tessuto dei processi democratici e non solo in Italia.”

Rinnovamento istituzionale

I terreni sui quali bisognerebbe agire sono molteplici, ma quello che a Piero Bassetti appare cruciale è la creazione di “un nuovo sistema istituzionale che porti nel centro del gioco democratico l’impresa…”, intesa come sintesi di interessi molteplici dei nuovi e reali soggetti che operano nella realtà contemporanea, cioè non solo l’imprenditore, ma “i lavoratori, i fornitori, i clienti, la comunità locale, la rete degli altri soggetti economici”. E dunque possiamo noi considerare in forma riduttiva e semplicistica che la crisi finanziaria che ha cominciato ad investire le democrazie occidentali dal 2009, possa essere liquidata come una mera questione economica? Le lacerazioni sociali, politiche e culturali non stanno affiorando in tutta la loro drammaticità, lasciando libero sfogo a tutte le contraddizioni che le hanno accompagnate? Le istituzioni storiche della democrazia rappresentativa dei paesi occidentali hanno mostrato il segno dei tempi, non hanno saputo rinnovarsi rispetto ad un mondo sociale ed economico in rapida evoluzione e così i popoli devono riconsiderare e ricostruire il processo democratico, che si è irrigidito, incancrenito, imbastardito a partire dalla seconda metà del secolo scorso.

L’esempio dell’Islanda è indicativo di quanto la crisi sia figlia diretta e perversa di una democrazia inquinata e come la ricostruzione di un sistema di partecipazione, che dia la rappresentanza e lo spazio a quanti più interessi possibili, consenta di annientarla e superarla. Alexis de Tocqueville diceva “la democrazia attribuisce il massimo valore a ogni singolo individuo…la democrazia cerca l’uguaglianza nella libertà”. Cosa resta di questo principio nelle democrazie occidentali e in particolare in Italia, se le scelte egualitarie non vengono più compiute da decenni? Il principio è stato sottoposto ad una lenta quanto inesorabile erosione da gruppi di potere e interessi personalistici, che hanno progressivamente minato e limitato sia la libertà che l’equità. L’Islanda ci insegna che la democrazia si può ricostruire, ma sono i suoi cittadini che devono farsene carico.

** P. Bassetti, Camere di Commercio, La riforma silenziosa, in Le Camere di Commercio e le innovazioni normative di cui alla L.580/1993: Atti del Convegno, Milano, 29 settembre 1995, a cura di G.F. Ferrari, Milano 1997, pp. 5-11

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