Liberalizzazione del commercio: forse ci siamo

di Luca Pellegrini

Il terreno su cui il governo Monti si è dimostrato più debole ed esitante, prigioniero delle solide ed eterne lobby italiane, è stato certamente quello delle liberalizzazioni. Un cambiamento di sistema che, con tutti i maldipancia che provoca, resta all’ordine del giorno, perché senza una reale apertura dei mercati, fatta con intelligenza e non per partito preso, in Italia continueranno a vincere le rendite e i privilegi di chi già possiede. Qualcosa, tuttavia si muove, specialmente nel settore del commercio, e Luca Pellegrini ne dà puntualmente conto

I due decreti del governo Monti, ormai noti come salva-Italia e cresci-Italia(D.l. 201/2011, convertito nella Legge 214/2011; D.l. 1/2012, convertito nella Legge 27/2012), hanno introdotto elementi di liberalizzazione anche nel settore commerciale. Sono infatti state modificate sia le norme che riguardano la generalità delle attività commerciali sia quelle che regolano in modo specifico alcuni comparti: le farmacie, le edicole e le stazioni di servizio.

Nel primo caso, si tratta di modifiche che meritano di essere definite radicali e che, fatti salvi i vincoli di natura urbanistica, configurano una pressoché totale liberalizzazione della distribuzione. Nel secondo, l’intervento è rimasto interno a una tradizione di legislazione speciale, che sarebbe giustificata dalla necessità di contemperare la concorrenza con altri valori di carattere generale, una continuità che ne rende l’impatto assai meno radicale.

La normativa generale sul commercio è stata affrontata, e ciò è di per sé significativo, con il decreto salva-Italia, quindi con il primo intervento del Governo Monti, che affrontava in via prioritaria il tema dell’equilibrio dei conti pubblici. Come noto, l’intervento di liberalizzazione che più ha colpito l’opinione pubblica riguarda gli orari, che sono ora lasciati senza eccezioni a discrezione delle imprese. Ma, in realtà, impatto assai maggiore sul settore avrà quanto previsto agli artt. 31 e 34, articoli che ribadiscono alcuni principi generali a salvaguardia della concorrenza, nel primo caso con riferimento specifico alle attività commerciali, nel secondo con un riferimento ancora più generale. Queste poche righe mettono in discussione una parte rilevante delle normative regionali sul commercio emanate negli ultimi dieci anni, dall’introduzione del federalismo fino a oggi, e costituiscono il più importante contributo che il Governo Monti ha dato alla liberalizzazione del settore. Inizialmente era previsto che le Regioni dovessero adeguarsi a quanto stabilito dall’art. 31 entro 90 giorni dalla conversione in legge, ma nella conversione del decreto cresci-Italia il termine è stato spostato al 30 settembre 2012, anche questo un indiretto segnale della rilevanza che le nuove norme hanno per le amministrazioni regionali. Il salva-Italia liberalizza, inoltre, gli orari di apertura dei negozi. Tutti i vincoli oggi esistenti sono stati eliminati: la limitazione dell’estensione del nastro orario giornaliero di apertura (attualmente di 13 ore); l’obbligo di mezza giornata di chiusura infrasettimanale; l’obbligo di chiusura nei giorni festivi per i quali non sia prevista una specifica deroga. Il provvedimento sugli orari ha molto colpito, ma è probabile che i suoi effetti siano assai meno dirompenti di quanto alcuni hanno paventato. L’eliminazione dei vincoli relativi al nastro orario di apertura e mezza giornata di chiusura infrasettimanale avranno effetti marginali. Nel primo caso qualche punto vendita si specializzerà nella fornitura di servizi commerciali nelle ore serali. Nel secondo le imprese di maggiori dimensioni ridefiniranno i turni per coprire anche la nuova mezza giornata disponibile e molte delle piccole continueranno a effettuare la chiusura. L’unico disposto con un potenziale rilievo è quello che riguarda l’apertura nei giorni festivi. Ma anche in questo caso i timori che molti hanno espresso appaiono eccessivi. Unico ambito di possibile rilevanza delle aperture domenicali resta quello dei centri commerciali. Almeno i maggiori, con un’attrattività non solo locale, cercheranno (lo stanno già facendo) di utilizzare le domeniche. Ciò inevitabilmente avrà un effetto sui contenitori commerciali naturali (vie commerciali urbane e centri storici), che più difficilmente riusciranno a seguirli. Non tanto, o non solo, perché la disponibilità degli operatori collocati in questi ultimi sia diversa da quelli che sono inseriti in un centro commerciale, ma per l’assenza, nel primo caso, di una struttura di governance comune in grado di organizzare e “obbligare” l’apertura domenicale. Ma anche questo elemento potenzialmente a sfavore delle aggregazioni naturali di offerta commerciale potrebbe alla fi ne trasformarsi in un vantaggio, ovvero diventare uno stimolo alla diffusione anche in Italia di associazioni di town centre management in grado di svolgere la funzione di regia e di promozione che viene svolta dai direttori dei centri commerciali. Anche in questo caso, quindi, la liberalizzazione delle aperture domenicali appare compatibile con le dinamiche competitive interne alle diverse componenti della distribuzione.

Al contrario, per farmacie, edicole e stazioni di servizio, i tre settori dove vige una normativa speciale, l’intervento del governo, questa volta con il decreto cresci-Italia, è rimasto all’interno del quadro legislativo esistente con provvedimenti che riducono alcuni vincoli, ma non mettono in discussione la cogenza di una normativa speciale. Si potrebbe dire che si è tentato di svuotare dall’interno la normativa per ridurne gli effetti anticompetitivi. Così, non viene ridotta l’esclusiva della vendita dei prodotti di classe C (con prescrizione, ma a carico del paziente) alle farmacie, e non viene messa in discussione la riserva ai farmacisti della titolarità di questi esercizi commerciali. Viene invece ridotto il rapporto fra abitanti e farmacie che porterà all’entrata di alcune migliaia di nuovi punti vendita. Il Governo ha, infatti, deciso di intervenire sulla pianta organica riducendo da 5mila a 3.300 lo standard di abitanti per farmacia. Ciò comporterà un significativo aumento degli esercizi: dai circa 17mila attuali a 20-22mila. Quali saranno gli effetti di questo aumento numerico? Poiché la parte di venduto costituita dai farmaci rimborsabili è data (classe A) ed è anche poco elastica la domanda di altri prodotti farmaceutici (classe C e Otc), i ricavi medi su questa componente dell’offerta si ridurrà. Il recupero potrà avvenire solo sui prodotti complementari (parafarmaceutici e altri prodotti per la salute; cosmetici), incentivando le farmacie a comportamenti sempre più assimilabili a quelli di normali esercizi commerciali.

Anche nel caso delle stazioni di servizio l’intervento del Governo Monti è in continuità con la normativa esistente. Si tratta di interventi che non configurano una decisa liberalizzazione, ma cercano, giocando di sponda fra le norme esistenti, di introdurre qualche elemento di dinamica nel sistema. È da tempo evidente, tuttavia, che l’unica vera possibilità di renderlo più competitivo ed efficiente si risolve nell’apertura di stazioni di servizio della grande distribuzione: oggi la loro quota di mercato è di circa l’1% quando in Francia è di oltre il 50%. Un passo avanti è stato fatto, ma altri decisivi rimangono da fare.

Neppure per le edicole, a cui vengono concessi alcuni nuovi diritti, si è voluto mettere in discussione l’esclusiva sulla vendita di quotidiani e periodici. Si è forse temuto che un approccio più deciso avrebbe trovato ostacoli di natura politica e che una maggiore gradualità fosse quindi preferibile. Il decreto cresci-Italia interviene senza mettere in discussione il regime di esclusiva a favore delle edicole, ma dando alle edicole stesse, quindi alla rete specializzata, facoltà di vendere, oltre alla stampa, ciò che desiderano, di praticare sconti sul prezzo di copertina e di non accettare più pubblicazioni in eccesso o difetto “rispetto alla domanda” (cresci-Italia, art. 39, comma 1).

Per le farmacie, per le stazioni di servizio, e per le compagnie petrolifere che di fatto le governano, e per le edicole la liberalizzazione, quindi, non può dirsi ancora compiuta.

Tratto da http://www.nelmerito.com/index.php?option=com_content&;task=view&id=1742&Itemid=1