Produrre, consumare… iperconsumare… abitare

Quale futuro per il design?

Gli artigiani progettavano, e insieme costruivano la forma della merce e la vendevano, partivano dal prototipo e su ordinazione realizzavano copie in piccola serie, ed erano considerati artisti minori per distinguerli dai grandi artisti dediti alla produzione delle immagini per papi e per principi. Con la grande fabbrica e la catena di montaggio del tempo del Moderno, quegli artisti minori furono sostituiti dai designer.

Erano progettisti che con l’imprenditore e i suoi tecnici interni all’azienda facevano i prototipi, poi, la produzione in grande serie la facevano gli operai alla catena di montaggio. La Ford Model T, emblematico prodotto di massa del Moderno,

La Ford T, prodotta dal 1908 al 1927 in 15.000.000 di esemplari color nero, nasce con un immagine macchinista che poi il design ripulisce, ricomponendo le parti meccaniche sotto il carter “bianco” per dare “eleganza”

la progettò Henry Ford con i suoi ingegneri, i designer arrivarono dopo con carter piú o meno spettacolari che davano l’estetica alla macchina. Il design era a rimorchio dell’innovazione tecnica, la sua funzione produttiva primaria era dare bellezza all’innovazione tecnica, dimostrare la superiorita anche estetica del prodotto di serie sul prodotto artigianale e questa superiorità stava anche nell’essere “merce per tutti”. La Ford T grazie a continue innovazioni di processo e di prodotto, arrivò a costare meno di 300 dollari.

La catena di montaggio Ford (1908) e quella Foxconn (2012) multinazionale con 13 stabilimenti in Cina, 1.000.000 di dipendenti pagati in media130 dollari (€100 ) al mese- Per comprarsi un iPad mini (€400 circa) non bastano tre anni di risparmi e straordinari

Allora un operaio Ford prendeva 5,5 dollari al giorno, mettendo da parte per un anno un dollaro al giorno, con um po’ di straordinari se la poteva regalare per Natale quell’auto che aveva contribuito a costruire. Una merce ben disegnata poteva essere il veicolo della massificazione dell’estetico e questa era ed è stata col Moderno la funzione produttiva nobile del design. Il progetto e il conflitto “operai capitale” avevano nella produzione quella centralità che poi generava l’organizzazione dell’intera società, le disuguaglianze si costruivano nella centralità del processo produttivo e sempre più si realizzava così quella società del benessere che potremmo definire così: ”tutti in macchina”. Fin dagli anni ´80, dopo trentanni di neo-liberismo, col dominio della ideologia del libero mercato, con la conseguente priorità della crescita qualunque e comunque, grazie all’egemonia del marketing impegnato a creare sempre nuovi desideri di consumo compulsivi fino all’ “iperconsumo”, la centralitá dalla produzione si è progressivamente spostata sul consumo ed è la centralita del consumo la “caratteristica saliente della società capitalistica contemporanea”(pag.30 Felicità responsabile, Roberta Paltrinieri). I consumi del resto, oggi piú che la divisione del lavoro, ben evidenziano quelle “insostenibili diseguaglianze” come le chiama Etienne Balibar che fanno si che una minoranza sempre piú ricca generi una maggioranza sempre piú povera, e ormai da tempo il design si trova in una sostanziale scelta obbligata: o progettare per il lusso e lí sperimentare l’innovazione per un limitato mercato abitato da una minoranza ingiustamente straricca o disegnare la brutta copia del lusso, edita da IKEA. Il prodotto IKEA non è certo la massificazione dell’estetico in cui sperava il design Moderno, ma è soprattutto la copia illusoria e finta del lusso e del benessere, è merce di breve durata, ad obsolescenza rapida, quasi un usa e getta, che la multinazionale IKEA produce in quell’emisfero della fame dove sono ancora possibili condizioni di lavoro e di inquinamento che solo la fame rende ancora accettabili. e ad IKEA trovi ormai anche quel ceto medio che prima comprava design d’autore e che oggi deve accontentarsi della copia.

Il soggiorno IKEA massificazione del buon gusto dominante

“I shop therefore I am”, il consumo ´più che il lavoro dà oggi identità, e ”scegli il colore purché sia nero” è oggettivamente insopportabile per chi ha grande potere di acquisto. Da tempo la reazione alla societá di massa ha portato al trionfo un esasperato ”individualismo “ (pag.26-29,”Felicitá responsabile” ) e questo ha portato il design a riscoprire il fascino dell’esclusivo, il prodotto elitario, il pezzo unico, addirittura firmato, il collezionismo invece dell’uso, cosí il vecchio prodotto artigianale, ormai disegnato al computer, ritorna attuale, addirittura, col “fai da te”, può essere avanguardia. La piccola serie riemerge cosí quale garanzia di qualitá ad alto prezzo, contro la grande serie omologante dei consumi di massa e va incontro, e ben rappresenta quell’1% che si vuol distinguere dalla copia che “han tutti”. Ed è chiaro che è solo l’ARTE, (magari nobilitata da una piú o meno truffaldina parvenza ecologica: un po di legno, un po’ di “green” e un po di riciclo) che può offrire quel valore aggiunto che meglio soddisfa quell’individualismo opulento a cui non basta più la sola volgarità del lusso, e vuole un lusso purificato, nobilitato , ”culturalizzato”, direbbe Crozza, dall’ARTE “Quali cose siamo” terza edizione del “Museo del Design”

”Quali cose siamo“, Museo del Design Triennale 2010, sala d’ingresso col David copia al vero in gesso della Franco Cervetti &C di Pietrasanta, usato come prototipo per realizzare cinque copie in marmo di Carrara del David al prezzo di € 200.000

fatta a cura del designer Sandro Mendini, nel 2010 alla Triennale di Milano, mostra con grande efficacia e lucidità che è l’artisticizzazione della merce quell’occasione di consumo che può meglio gratificare il bisogno di una identità diversa realizzata attraverso il possesso della merce. E mentre una parte del’Arte e del design artisticizza la merce i giovani designer senza lavoro, senza aziende che commissionino il disegno dei loro prodotti, ormai prevalentemente disegnati da una minoranza di Design-star e poi copiati dai 20 designer di IKEA, pur di esistere, tentano la strada dell’autoproduzione che sperano di vendere a caro prezzo nelle gallerie d’arte. Gli operai cercano oggi di difendere la grande fabbrica a Pomigliano, a Taranto, ma quelle vecchie merci che producono, obsolete come l’auto o inquinanti come l’acciaio della vecchia Ilva, non hanno futuro e non illudiamoci che basti sostituire il motore a scoppio con quello elettrico e coprire il polverone dell’Ilva, è una nuova diversa mobilitá e un nuovo diverso modo di produrre che va progettato. Da anni c’è un conflitto politico nel territorio e fuori dalla fabbrica che si organizza su rivendicazioni specifiche quali un ponte o un’autostrada inutile, o contro il rischio di deturpazione di un paesaggio o distruzione di territorio agricolo, o di un sito storico o di un monumento,… si occupano case vuote, si lotta contro le mille cause di inquinamento

“Quali cose siamo”, Tavolino Abo 1988”, artisticizzato” dall’Arch. Massimo Mariani

e ci si rifuta di scambiare tumore con lavoro, si chiede appunto nuova mobilità,

Manifestazione a Niscemi e in Val di Susa

non più costruita sull’auto, e cibo sano, non estetizzato dal food design, agricoltura bio e G.A.S, cibo e merci a km.O…. Sono tutte rivendicazioni che hanno un piú generale obbiettivo, un comune denominatore, che è il desiderio di un miglior “abitare”. ….È questa nuova centralità dell’abitare rispetto al produrre e al consumare che può generare nuove merci, non privilegio di pochi, come vuole l’Arte, ma diritto di tutti e sono queste nuove merci a cui vorremmo dare bellezza ….anche se il design continua imperterrito, in nome del realismo, a disegnare il consenso alle vecchie merci, con un po’ di “green “ perché adesso lo chiede anche il mercato.

Ps. Questo testo tenta una prima parziale risposta, dal punto di vista del progetto, alle molte proposte e domande dello scritto di Lapo Berti “La felicitá di consumare meno e meglio”, utilizza contributi fondamentali alla conoscenza del consumo incontrati nella “Felicitá responsabile” di Roberta Paltrinieri, testo che ogni designer oggi dovrebbe attentamente leggere, ed è prefazione e inquadramento coscientemente molto schematico, poco documentato, un primo “abbozzo”, non finito come i Prigioni, comunque necessario ad anticipare i 4 scritti successivi della mia collaborazione mensile che affrontano “il produrre,”il consumare”, il marketing, il progettare, nel tempo della centralità dell’abitare.