Vita da precario – Intervista con i protagonisti

Sfruttati e abbandonati … in cerca di autonomia

l mio viaggio nel mondo del precariato prosegue senza sosta, cerco persone che mi parlino di sè, ma alcune cominciano a proporsi e questo lo avverto come un segnale positivo. Anche questa di oggi è una lunga storia di precariato, da cui emergono gli abusi che le maglie larghe delle 46 forme contrattuali oggi disponibili consentono. E’ una storia di speranze e disillusioni, come molte di quelle che abbiamo raccontato, ma soprattutto una storia di ricerca di riscatto, di spinta all’iniziativa, che le esperienze del passato hanno fatto maturare. La disponibilità a raccontare, del resto, vuol dire anche questo. E’ la storia di C.S., esperta di qualità, oggi aspirante lavoratrice indipendente.

Sono a casa di C.S. a Roma, quartiere Aurelio non molto distante dal Vaticano, mi accoglie con aria sbarazzina una mamma 40enne, romana di adozione, ma fiorentina di nascita. Nonostante la lunga permanenza a Roma la sua parlata tradisce le sue origini, ma quell’immancabile misurata aspirazione di alcune consonanti è decisamente gradevole e contribuisce a rendere questo incontro più immediato e familiare. Come sempre rassicuro, scambio quattro chiacchiere con il mio interlocutore e poi le chiedo semplicemente e liberamente di cominciare a raccontarsi.

“Mi sono laureata in Scienze Naturali e dopo poco mi sono sposata e sono venuta a Roma, praticamente a Firenze non ho mai lavorato se non piccole attività.

Abbandonare Firenze è stata una scelta un po’ obbligata, mio marito aveva casa e lavoro a Roma. Una volta arrivata in questa città, mi sono data da fare per avere qualche opportunità in più di inserimento nel mondo del lavoro e mi sono iscritta a un corso regionale di 6-700 ore (lezioni teoriche frontali e stage in azienda), che si occupava di qualità, offerto a diplomati e neolaureati dalla Regione Lazio. L’attestato di qualifica professionale che mi sarebbe stato rilasciato alla fine del corso era “esperto dei servizi integrati per la gestione d’impresa: qualità sicurezza e ambiente”, cioè sarei diventato un consulente che si sarebbe occupato di questi aspetti per le imprese che si sarebbero volute certificare con l’ISO 9001 e con la 14001 che è quella ambientale. Dopo aver superato il test di ingresso ho seguito il corso che richiedeva una partecipazione alle lezioni tutti i pomeriggi e il sabato mattina a cui si sono aggiunte alla fine anche 200 ore di stage da svolgere in azienda, la selezione avveniva in base alle esigenze delle imprese. Inizialmente, lo confesso, non è che mi interessasse molto l’argomento di questo corso, in effetti lo avevo scelto più che altro per le opportunità di impiego che credevo mi avrebbe potuto offrire. Poi, invece, come spesso accade, mi sono appassionata e alla fine ho svolto lo stage in un’azienda. Lì ti fai veramente le ossa e dopo aver superato l’esame finale, questa azienda mi ha ricontattato per completare il lavoro iniziato con loro. Speravo che mi avrebbero offerto un’opportunità d’impiego, perchè avevano detto che mi avrebbero richiamato, ma non l’hanno fatto. Così quell’esperienza si è chiusa.

Io e una mia collega eravamo, però, rimaste in contatto con il coordinatore di questo corso, che ci aveva apprezzate per il nostro impegno e dopo un pò di tempo siamo state ricontattate da lui, perché un suo amico intendeva aprire un centro di formazione professionale, che si voleva occupare anche della qualità. Infatti, in base alla pubblicazione di alcuni bandi della Regione Lazio le scuole avrebbero potuto accedere a finanziamenti e fondi sociali europei, solo dimostrando di avere un sistema di gestione per la qualità certificato, controllato. Questo ci apriva grosse possibilità di lavoro, perchè in queste scuole sarebbe stato necessario implementare il sistema di gestione della qualità. Ci fu detto subito da quello che sarebbe diventato il nostro capo che, trattandosi di un’iniziativa nuova, non potevano esserci offerte garanzie, tanto meno uno stipendio, ma questa poteva essere un’occasione di fare un po’ di esperienza. Noi ci buttammo letteralmente in quest’avventura, e quello che sarebbe diventato il nostro capo puntò moltissimo su di me e su altre due mie colleghe.

Noi tre legammo molto tra noi, ci confrontavamo continuamente e ci aiutavamo a vicenda. Le cose fortunatamente andavano bene a tal punto che correttamente il nostro capo decise che ci avrebbe pagate, stabilendo le cifre che ci avrebbe corrisposto e i tempi. Si trattava di aspettare un anno, ma almeno si cominciava a definire la situazione. Il nostro lavoro consisteva nel fare corsi a docenti e presidi … inizialmente è stato il panico. Non avevamo assolutamente esperienza in questo senso, invece poi tutto è andato tutto bene. Eravamo strafelici, anche se non ci pagava, ma sembrava che la situazione stava cominciando ad ingranare. Certo io mi sono potuta permettere questo lungo periodo senza remunerazione perché c’era mio marito che mi sosteneva economicamente. Ho lavorato per quattro anni in questa attività di insegnamento presso le scuole. Effettivamente le cose stavano andando bene, i nostri corsi venivano richiesti da un numero sempre maggiore di scuole, e allo stesso tempo godevamo della fiducia totale del capo.

Tutto andava a gonfie vele fino al 2007, intanto già dopo un anno e mezzo avevamo un contratto a progetto, e in fondo non potevamo lamentarci del compenso che ricevevamo. Ad un certo punto il nostro capo, data la situazione, decise che almeno una di noi tre avrebbe potuto assumerla. Nessuna di noi se la sentiva di farsi avanti a discapito delle altre, lasciammo decidere a lui che fu corretto, scegliendo tra di noi quella che aveva la situazione familiare più precaria. L’altra collega e io proseguivamo la nostra attività con un contratto a progetto annuale. Venivamo pagate mensilmente, senza vincoli di orario, godevamo di molta libertà, perchè il nostro capo badava ai risultati. Nel 2007, purtroppo, la situazione cambiò, a seguito dello scandalo degli enti di formazione, cioè dei corsi fantasma che venivano letteralmente inventati solo per appropriarsi dei soldi della Regione. Così iniziò una fase in cui cominciarono a essere bloccati i fondi, ci furono più controlli e le scuole che avevano acquisito il certificato della qualità non riuscivano ad avere più un ritorno economico rispetto ai costi sostenuti, non riuscivano più ad erogare corsi. Così alla scadenza dei tre anni del certificato di qualità, molte scuole cominciarono a mollare e questa situazione ebbe delle forti ripercussioni sul nostro lavoro, il primo segnale fu che il contratto non mi venne rinnovato più per l’intero anno, ma per soli quattro mesi.

La fortuna ci aveva voltato le spalle. Fino ad allora durante tutti i quattro anni precedenti, anche se il contratto era annuale, io comunque ero stata sempre abbastanza tranquilla perchè sentivo e vedevo che il lavoro c’era. Certo mi dava fastidio il fatto di non disporre di ferie, tredicesima, quattordicesima, malattia, etc., però avevo un buon lavoro, che mi piaceva e il mio capo si è sempre comportato con noi in maniera corretta. Nel frattempo una delle mie due colleghe decise di andarsene perchè aveva trovato un lavoro a tempo indeterminato al comune di Roma.

Quindi eri rimasta solo tu, di fatto, a non avere un contratto a tempo indeterminato?

In effetti sì, però non mi creava problemi, solo qualche volta quando guardavo al mio futuro, mi veniva l’angoscia, pensando che non avrei avuto una pensione, però mi motivavo dicendomi che io un lavoro ce l’avevo e avevo pure uno stipendio normale, non ero sottopagata. I primi segnali di difficoltà si cominciarono a manifestare già alla fine del 2006. Finito il contratto a progetto di quattro mesi, ad aprile del 2007 non c’era più lavoro e non mi fu rinnovato il contratto. In fondo non ci lasciammo neanche male con il mio capo. Io certo ero un po’ delusa, perchè temevo per il mio futuro.

Trovatami improvvisamente senza lavoro, a maggio del 2007 pensai di ricontattare il coordinatore del corso, chiedendogli se c’era qualche opportunità di impiego per me. Dopo appena una settimana mi ricontattò per dirmi che una giovane ingegnere che lavorava presso uno studio tecnico cercava una persona che si occupasse insieme con lei della qualità. Mi sembrò una fortuna, feci il colloquio, fui subito assunta. Incredibile avevo trovato subito lavoro con un’interruzione di appena due mesi, ma la situazione si rivelò presto differente rispetto alla precedente. Il mio nuovo capo mi offrì una cifra molto più bassa di quella che percepivo prima (solo 1000 euro), tra l’altro in forma di rimborso come stagista. Gli feci notare che avevo 35 anni, e che mi sembrava assurda la soluzione dello stage, ma questa fu la sua offerta. Così fui costretta ad iscrivermi allo sportello tirocini del Comune di Roma. Pensavo che mi conveniva comunque perchè avrei fatto un’altra esperienza e in effetti mi trovai benissimo con la collega con cui lavoravo direttamente, l’ingegnere. Lei mi aiutò a formarmi in questo campo specifico con grande disponibilità, passava ore a spiegarmi le cose, con lei nacque subito un feeling.

Il problema, invece, era il capo. Completati i primi sei mesi dello stage, siccome lui aveva due società, decise di farmi risultare come stagista per altri sei mesi presso l’altra società, trascorsi i quali, mi fu proposto di lavorare aprendomi la partita IVA e facendo risultare il mio lavoro come prestazione occasionale. Il compenso sarebbe rimasto sempre di 1000 euro. Io, però, mi rifiutai di aprire la partita IVA, così mi propose un contratto a progetto di un anno per lo stesso importo, l’aumento che gli avevo chiesto venne camuffato con l’attribuzione dei buoni pasto per un importo di 100 euro al mese. Il mio capo, però, pretendeva che io lavorassi come un dipendente a tempo indeterminato. Dovevo stare presso lo studio dalle 9.00 alle 17.30, disponendo solo di mezz’ora di pausa, se mi assentavo anche per poco dovevo recuperare.

I mesi passavano senza che la situazione cambiasse, ogni tanto mi facevo avanti a porre il mio problema, ma non succedeva nulla. Poi sono rimasta incinta, quando gliel’ho detto non ha proferito parola, ma avevo notato che era rimasto molto seccato. Nel contratto, in effetti, c’era la possibilità di congelare il periodo di lavoro per un massimo di sei mesi, così io mi sarei potuta assentare per la maternità, ma i rapporti con il capo diventarono sempre più difficili, perchè quando fui costretta a sottopormi all’amniocentesi, assentandomi per qualche giorno, mi detrasse quei pochi giorni di assenza dalla remunerazione mensile come se fossi una dipendente regolarmente stipendiata. Ritornata dalla maternità, non riuscivo più a mantenere il ritmo delle 40 ore settimanali, anche perchè io, in effetti, avevo un contratto a progetto, non mi ero mai lamentata in passato, perchè riuscivo a sostenere quel ritmo, ma ora che c’era il bambino, la situazione che vivevo mi sembrava ancora più assurda. Gli chiesi, perciò, di fare meno ore, lui acconsentì ma riducendomi drasticamente il compenso mensile. Non avevo altre possibilità, e così accettai di lavorare 30 ore settimanali a compenso ridotto. Alla scadenza del contratto, il rinnovo prevedeva una retribuzione di 870 euro per 30 ore a settimana.

Ero arrabbiata con me stessa per il fatto che accettavo queste condizioni, ma nella situazione in cui ero, con il bambino di cui occuparmi, non mi sembrava di avere alternative. E così ho lavorato un altro anno in queste condizioni. Poi, cominciò da parte sua un’azione progressiva recriminatoria con l’intento (lo capii solo alla fine) di interrompere quel rapporto di lavoro. Prima mi furono tolti i buoni pasto con la scusa che la situazione non era più favorevole, poi a giugno del 2011 mi preannunciò che a settembre non avrebbe potuto rinnovarmi il contratto perchè secondo lui la situazione non andava bene. La stessa operazione venne fatta nei confronti della mia collega dell’area qualità che lavorava tra l’altro a tempo indeterminato. Tieni conto che lì eravamo tutte ingegneri, architetti o dipendenti donne, neolaureate, la maggior parte delle quali con la partita IVA. Tutte venivano sfruttate, costrette ad orari impossibili per consegnare le tavole e i progetti.

Tu pensi che ci sia una motivazione precisa per cui sceglieva tutte donne?

Sì, penso di sì, erano più ricattabili e più malleabili. Giovani, ancora non sposate, molte vivevano ancora con i genitori. Erano i soggetti ideali per accettare quelle condizioni, tra l’altro aveva la fortuna o l’abilità di trovare sempre persone molto responsabili e affidabili, che riusciva così a sfruttare meglio. Di figure maschili là dentro ne ho viste veramente poche e a differenza di noi hanno avuto li coraggio, la forza e anche situazioni favorevoli per riuscire a dire basta e andarsene.

E poi cosa è successo?

A ottobre dello scorso anno ho ricevuto l’ultima busta paga relativa al mese di settembre. Quel rapporto di lavoro non mi veniva rinnovato, ma il mio capo mi propose delle consulenze spot, insomma compensi a giornata di consulenza per un importo di 60 euro al giorno. Io stavolta ero veramente stanca della situazione e decisi di non rispondergli nemmeno.

Anche la mia collega a tempo indeterminato è stata licenziata a novembre, noi due siamo rimaste in contatto per stima e solidarietà. Del resto i rapporti con i clienti li avevamo noi, così ad un certo punto ho pensato e deciso di raccontare ai clienti quello che era successo. Ci conoscevano e ci stimavano, perciò mi hanno affidato direttamente l’incarico di consulenza. Vista la situazione ho deciso di aprire la partita IVA, per mettermi in proprio. Io l’ho aperta la settimana scorsa.

E come ti senti all’idea di lavorare in proprio?

Per certi aspetti sono felice, finalmente non ho nessuno che mi comanda, sono libera, i soldi che incasserò sono i miei e non sarò piu’ sfruttata.

Ma ti consideri ancora precaria?

Mi sento ancora border line, e se ci penso, ho proprio paura. Questa che sto intraprendendo è un’avventura, che mi spaventa, io mi sono data un anno di tempo, ma voglio buttarmi, voglio rischiare, non è nel mio carattere, ma non ho alternativa.

Il fatto che tuo marito abbia uno stipendio, però, ti consente di affrontare questa iniziativa con una certa serenità, senza ansia.

Sì, questo è vero. Quando di notte ci penso, mi incoraggio, dicendomi che in fondo dei clienti già ce li abbiamo. Con altre colleghe di lavoro – architetti e ingegneri -, che avevamo conosciuto presso lo studio, stiamo anche pensando di metterci insieme e aprire in futuro uno studio di consulenza e progettazione. Speriamo.

Se ci fosse stata un’organizzazione di precari a cui rivolgerti…

Prima mi sentivo schiacciata e non reagivo. Se ci fosse stata un’organizzazione di precari, avrei potuto rivolgermi a qualcuno per sapere cosa fare e come tutelarmi, ma non esiste.

Perché, mi dicevo, ogni volta devo abbassare la testa e accettare le condizioni offerte? Non riuscivo proprio a reagire, non riuscivo a farcela e mi giustificavo, dicendo,che quello che accettavo era meglio di niente. Uno inizialmente accetta per i soldi e magari certe condizioni anche per stabilire i contatti, ma poi si rende conto che si trova in una strada senza uscita.

Ma oggi è diverso. Hai detto no e lo scenario sta cambiando…

(Mi sorride) Sì, ma ho tanta paura.