Bolletta elettrica e rinnovabili

Dove finisce l’informazione e comincia la propaganda?

di Salvatore Aprea

Da mesi è in corso una campagna mediatica in cui rappresentanti di rilievo dell’industria, della politica e delle associazioni dei consumatori, economisti e autorevoli giornalisti mettono insistentemente l’accento sugli eccessivi sussidi alle rinnovabili che gravano sulla bolletta elettrica – e quindi sulle tasche degli italiani – in un momento di crisi economica. Anche l’Autorità per l’energia ha in parte giustificato in tal modo l’aumento delle bollette del 5,8% a partire da aprile e l’ulteriore incremento del 4,3% in vigore da maggio. Certo, è indiscutibile che negli ultimi anni gli incentivi siano stati gestiti in maniera orrenda. Scritti in modo irrazionale, hanno facilitato le speculazioni e il malaffare, generando il caos nei settori interessati. Per soprammercato, hanno preso in gran parte la via dell’estero poiché le imprese produttrici dei pannelli sono principalmente straniere: cinesi, americane e tedesche. Ma la verità è solo questa?

La bolletta questa sconosciuta

Cominciamo dando un’occhiata sommaria alle quattro voci che compongono la bolletta: i servizi di vendita, i servizi di rete, le imposte, gli altri proventi e oneri. Il costo dell’energia inteso come materia prima è incluso nella prima voce, che pesa per il 60-70% del totale, mentre le sovvenzioni alle rinnovabili sono una quota della quarta voce – la cosiddetta componente A3 degli altri proventi e oneri – che incidono per circa il 7% sulla bolletta totale. In realtà, quindi, la presunta insostenibilità per le tasche degli italiani e per i conti delle aziende è anzitutto dovuta all’aumento dei costi delle materie prime fossili, utilizzate dalle centrali termoelettriche con cui si genera oggi l’80% dell’elettricità del nostro paese. In bolletta, inoltre, finiscono anche i circa 4 miliardi destinati alla messa in sicurezza dei siti nucleari, i sussidi alle acciaierie, i regimi tariffari speciali alle Ferrovie, cioè oneri che dovrebbero essere a carico della fiscalità generale. I sussidi direttamente riferibili alle fonti rinnovabili, come il contestato fotovoltaico, costituiscono il 70% della componente A3 (ossia il 70% del 7%), mentre il restante 30% fa riferimento al famigerato Cip6/92: un provvedimento che in 20 anni ha provocato un esborso di 35 miliardi di euro, per il quale la Commissione Europea nel 2004 aprì una procedura di infrazione contro l’Italia poiché non si poteva spacciare l’incenerimento come energia rinnovabile, ammettendolo a ricevere incentivi pubblici. Quel meccanismo infatti compensa i produttori di energia da fonti “assimilate” alle rinnovabili, cioè centrali elettriche a ciclo combinato alimentate con il metano o il gas ottenuto dalla gassificazione dei residui di raffineria, termovalorizzatori connessi agli inceneritori di rifiuti e così via.

Legambiente (e non solo) scagiona le rinnovabili

La spiegazione sui costi delle rinnovabili dell’Autorità per l’energia ha ricevuto una esplicita bocciatura da Legambiente. L’associazione ambientalista ha analizzato per la “famiglia tipo” – un contratto in fascia protetta da 3kW – la bolletta media annua, stimata dall’Autorità in 494 euro, e concentrandosi sui 294 euro per l’energia e il dispacciamento (cioè il coordinamento della produzione delle centrali elettriche), ha mostrato che “il 90% va a impianti a metano, petrolio e anche carbone”. Nel dettaglio, Legambiente ha evidenziato che il 59,5% di ciò che paghiamo compensa l’energia prodotta dalle centrali a metano, olio e carbone (sono escluse da questa voce le rinnovabili); il 14% è destinato ai servizi di rete (dalla distribuzione alle misurazioni); il 13,5% sono tasse e Iva sui beni e servizi; il 13% compensa gli oneri generali di sistema; il 10% è dovuto agli incentivi per le rinnovabili – fotovoltaico, eolico, biomasse – , mentre il 2% va al Cip6 e un altro 1,2% va al nucleare (ricerca e smantellamento delle vecchie centrali).
Il sito economico Chicago-blog – che certo non può essere tacciato d’essere ambientalista – ha sostenuto, attraverso un’analisi di Carlo Stagnaro e Stefano Verde, che il valore corretto dell’extracosto rinnovabile che la “famiglia tipo” paga è almeno il doppio dei 48 euro stimati da Legambiente, ovvero il 20%. Ma la sostanza non cambia: sebbene la loro responsabilità non sia marginale, non è tutta colpa delle rinnovabili se le bollette della luce lievitano.

Quando lo spreco non fa notizia

Mentre si solleva la questione del peso in bolletta delle rinnovabili, si tace sugli sprechi di denaro che avvantaggiano solo i produttori di elettricità da fonte fossile. La questione dovrebbe imbarazzare l’Autorità, la Confindustria e una parte del Governo e invece è rimasto un discorso circoscritto agli addetti ai lavori e ai siti d’informazione specialistici. In breve, milioni di euro al giorno sono stati prelevati direttamente dalle bollette e regalati ai produttori da fonti convenzionali a causa della sistematica notevole sottostima, spesso del 30-40%, delle previsioni per il giorno successivo della produzione da rinnovabili non programmabili, comunicate ai mercati della Borsa elettrica. La conseguenza di un simile errore è presto detta: se sul mercato il giorno successivo ci si trova con troppa elettricità rispetto a quella prevista e acquistata dal gestore di rete (Terna) quest’ultimo, poiché le rinnovabili hanno priorità di distribuzione, deve chiedere di produrre meno agli impianti termoelettrici, dai quali ha già acquistato l’energia il giorno precedente. I produttori da fonti convenzionali, tuttavia, non restituiscono per intero la somma ricevuta sul mercato il giorno prima, ma – tralasciando la descrizione dei dettagli normativi – incassano una cifra che solitamente è di circa 100 euro a MWh. È stato calcolato che la sottostima del 40%, in una giornata di media produzione da fotovoltaico (60.000 MWh), potrebbe regalare alle tasche di quei produttori da fossili con le centrali spente circa 2,4 milioni di euro. Estendendo la stima dei costi all’intero anno, è stato ipotizzato uno spreco tra i 300 e i 600 milioni di euro. La precisione del Gestore dei Servizi Elettrici (GSE) nella previsione della produzione delle rinnovabili non programmabili è lentamente migliorata e da marzo l’errore si è ridotto, ma resta comunque un meccanismo che può mandare molti soldi in fumo.

I benefici oscurati

Sorge a questo punto spontanea la domanda: che fine hanno fatto le considerazioni sui vantaggi delle rinnovabili? Eppure non mancano, a cominciare dalle minori importazioni di combustibili fossili, con conseguenti risparmi monetari e positivi effetti geopolitici grazie alla maggiore indipendenza da paesi produttori non proprio commendevoli come Russia, Iran, Algeria e Libia. Ci sono, inoltre, ulteriori benefici in termini di ricerca e sviluppo, valore aggiunto, possibilità di business, esportazioni e creazione di occupazione, in buona sostanza le componenti della “green economy”. In più ci sono gli ovvi vantaggi derivanti dalle minori emissioni di anidride carbonica, che limitano il riscaldamento globale e fanno anche risparmiare i costi della CO2 alle centrali termoelettriche e alle altre industrie energivore.
Il punto è che il bilancio dell’investimento sulle rinnovabili va considerato nel medio periodo. Nel fotovoltaico, ad esempio, per un impianto da 3 kW di potenza solo 4-5 anni fa l’investimento si aggirava intorno ai 20.000 euro, circa 7.000 euro per kW di potenza. Oggi la soglia si è ridotta almeno della metà, a parità di qualità. Come tutte le nuove tecnologie, le rinnovabili stanno attraversando tutte le consuete fasi che vanno dalla ricerca di base fino all’applicazione commerciale e in questo percorso i costi unitari, inizialmente elevati, calano più o meno velocemente con la diffusione della tecnologia (la cosiddetta “curva di apprendimento”). La funzione dei sussidi – quando non sono razziati con la delinquenziale maestria che è diventata tipica del nostro paese – è, perciò, quella di superare l’iniziale ostacolo rappresentato dagli alti costi. Un’informazione corretta, quindi, dovrebbe evidenziare i costi e i benefici di certe scelte economiche, anziché dare spazio a slogan in stile Ventennio fascista. L’obiettivo reale, in fondo, sembra quello di sempre: non lasciare riflettere i cittadini. Joseph Goebbels, Ministro della Propaganda nazista, affermava: “Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità”. Da qualche parte al di qua dei confini, una sorta di Ministero della Propaganda sembra non avere mai chiuso i battenti, ma continuiamo a non rendercene conto…..