La mia occupazione è precaria ma la mia voglia di cambiare noooo

Questo è il cartello con cui un precario partecipava ad una manifestazione, la foto era in prima pagina sul Manifesto del 10 novembre 2013. Al campus di Rimini dell’universitá di Bologna l’8 e 9 Novembre il “Dipartimento di scienze per la qualitá della vita” ha organizzato un convegno dal titolo: ”un nuovo artigianato auto-prodotto e sostenibile può rinnovare la moda e il design?”

Il direttore scientitifco del convegno Giampaolo Proni ha invitato 12 case histories, due designer liberi professionisti, due imprenditori, tre docenti (uno dell’universitá di Bologna, uno del Politecnico di Milano e uno della Bocconi). La prima radicale innovazione di questo convegno universitario era che si partiva dalle case histories, i 12 relatori mostravano prodotti, tecniche e condizioni di lavoro, modalità di vendita, difficoltà, dubbi e ambizioni su cui si doveva costruire poi la riflessione e il dibattito. All’ingresso della sala una piccola mostra delle merci prodotte, certamente troppo piccola, permetteva ai partecipanti, prevalentemente studenti dei corsi di Moda della facoltá di Bologna a Rimini, di vedere e toccare e capire di piú di quello che potevano far capire le immagini dei power point. La ricchezza e la eterogenitá delle case history ha imposto una forte contrazione delle tavole rotonde previste; sarebbe stato necessario almeno un altro pomeriggio, ma la formula del convegno: prima si guardano collegialmente le opere e poi si discute, si è rivelata una formula di grande efficacia e ha mostrato che gli artefici delle 12 case history, alla fine di piu o meno completati studi universitari, invece di diventare precari disposti a qualsiasi lavoro pur di sopravvivere, si sono inventati un lavoro e su questo lavoro inventato, tutti, hanno trovato da vivere. Questo loro impegno e determinazione è un esempio significativo della “voglia di cambiare” che c’era in quel cartello e che molti precari cercano di praticare… e il cambiamento proposto va ben oltre la contingenza del proprio bisogno di lavoro.

Prima innovazione, che accomuna i 12 case history, è usare lo “scarto” come risorsa, materia prima per

Borsa Belt Bag – Occhio del Riciclone Francesca Patania

produrre. Sono cinture di sicurezza recuperate dagli sfascia carrozze per farci borse, bottiglie di plastica

Cassetto Pouf 2004

schiacciate col ferro da stiro per fare installazioni, ritagli di giacche da uomo dismesse usati per farci sottopiatti col tovagliolo nel taschino della giacca, vecchi cassetti per farci sgabelli con cuscino, pane raffermo grattugiato impastato con resina per farci stoviglie di diverse dimensioni e vasi, scarti di panno lenci, “il fine pezza” e scarti tessili da mettere insieme secondo cuciture indifferenti alle forme del corpo fino a dare bellezza a quasiasi corpo.

Troppo lungo citare tutte le 12 case history, quella che comunque è l’altra fondamentale innovazione che li accomuna è che il progetto se lo fanno da soli, senza sperare in committenti illuminati e uomini di marketing, e si gestiscono direttamente l’intero ciclo dalla materia prima alla vendita. Vendono on-line, in negozi, ai mercati, e sono gruppi di lavoro, cooperative o singoli, certamente precari, ma che lentamente, con fatica, stanno affiancando alla vecchia merce una nuova merce e un nuovo, per quanto minoritario, modo di produrre. I due professionisti invitati erano chi scrive e il designer Denis Santachiara.

Io ho presentato una tesi di miei due studenti dell’ISIA di Firenze che hanno progettato un laboratorio da localizzare nelle cosiddette “isole ecologiche” del comune di Capannori. Il progetto prevede che gli abitanti portino direttamente nel laboratorio quegli arredi di cui intendono disfarsi. Il laboratorio è gestito dal comune con la consulenza progettuale di giovani designer che hanno il compito di progettare e realizzare nel laboratorio stesso il recupero e il riutilizzo di quegli scarti, ridando cosí nuova vita e nuove destinazioni d’uso a merci altrimenti destinate alla demolizione. Gli elementi di arredo cosí rinnovati possono quindi o essere restituiti ai proprietari o se questi non sono piú interessati, essere messi in vendita. Manutenzione e riuso possono liberarci da costose, per i comuni, montagne di scarti. Avevo fatto vedere anche una mostra fatta nella casa della cultura di Paredesd (PT) “Design Maçico”, una storia della sedia in legno massello disegnata dai grandi maestri della storia dell’architettura, dove l’allestimento da me progettato si risolveva in montagnole di materiali di scarto tritati sopra cui esporre le opere. Il bassissimo costo dell’allestimento si confrontava polemicamente con l’enorme spreco di materiali nuovi, moquet, tessuti, pannellature, impianti di illuminazione, cielini, che caratterizza la progettazione della maggioranza degli allestimenti e che a fine mostra per la quasi totalità sono destinati a diventare solo scarti da triturare. In questo caso si usavano gli stessi scarti di altre mostre come il doppio cristallo di molte bacheche o gli scarti di particolari lavorazioni come gli scarti della produzione dei tappi in sughero, e cosi il costo a fine mostra si riduceva a poco piu´del trasporto dei medesimi nelle fabbriche del riciclo. Avevo anche mostrato un workshop da me tenuto a Santo Tirso (Pt) fatto con gli studenti del corso della Specialistica di Architettura degli interni a.a 2011/2012 dell’ESAD di Matosinhos (tenuto da Maria Milano di cui io ero “docente convidado”). Tema del Workshop era recuperare gli arredi di una fabbrica attiva fino agli anni 50, restaurata oggi dall’Autorità Comunale quale centro di promozione del dressing design e del product design. Nel nostro corso di architettura degli interni, in cui si progetta il riuso del già edificato, spessissimo vuoto, era importante mostrare che anche il design oltre l’architettura possono proficuamente lavorare nella direzione del recupero, riuso, reinvenzione dei vecchi, dismessi, prodotti di arredo.

Denis Santachiara ha presentato quello che si potrebbe definire un suo nuovo progetto di azienda, aggiornata all’era digitale, che produce prodotti ad alta qualitá progettuale. Si chiama Cyrcus ed è “una piattaforma di produzione e vendita on-line di design gestito direttamente dai designer. Cyrcus si occupa direttamente della produzione e della vendita on-line”. Sono stati invitati inizialmente 14 designer già affermati, destinati a essere molti di più e destinati a costruire quel consenso sull’iniziativa che potrà creare le condizioni per coinvolgere anche giovani designer, precari ancora non affermati. I prodotti sono tutti e solo realizzati con macchine a controllo numerico, stampanti a 3D e macchine per il taglio laser.Il prodotto viene promosso e venduto nella piattaforma Cyrcus e costruito solo quando è già stato ordinato, da laboratori artigiani già attrezzati per queste lavorazioni. Non c’è magazzino, né rischio dell’invenduto, la distribuzione viene direttamente risolta dall’artigiano che spedisce direttamente all’acquirente il prodotto. In prospettiva, costruita una rete ampia di artigiani, si sceglierà di produrre il pezzo venduto in un laboratorio in prossimitá dell’acquirente, riducendo il piú possibile i costi e l’inquinamento conseguente dei trasporti.

Il convegno si è concluso con una relazione del presidente di Material ConneXion Italia, Rodrigo Rodriquez che ha affrontato la grande questione (siamo purtroppo solo agli inizi) di una conversione ecologica dei materiali che riducano sempre più il degrado ambientale. La sede del secondo giorno del convegno era “ ExpoArea”, un edificio modello di bioedilizia, costruito da un imprenditore, Romano Ugolini, impegnato nella promozione della Green economy, che ha illustrato ai partecipanti al convegno le molte innovazioni costruttive e le diverse attività accolte nell’edificio, tutte finalizzate alla promozione della Green Economy. L’edificio è, non a caso, a Rimini, sede, negli stessi giorni, della nona edizione di Ecomondo, una fiera che cerca di dimostrare che una conversione ecologica della produzione è possibile e garantisce profitti.