Tracce di un Rinascimento industriale?

La metamorfosi dei distretti industriali

Come tutte le crisi, anche quella che stiamo attraversando, in tutta la sua gravità, nel mentre distrugge, anche crea. Distrugge spietatamente le imprese, le iniziative, che non hanno saputo rispondere alle sfide della globalizzazione. Ma crea anche spazio, opportunità, per quelle che questa sfida vogliono e sanno raccogliere. È il casi di molti distretti industriali italiani che, dopo essere stati duramente colpiti dalla crisi, sembrano in grado di dare vita a un nuovo Risorgimento produttivo

È molto utile il rapporto Unioncamere sulle imprese operanti in cento distretti industriali con in più un’appendice sulle eccellenze distrettuali nell’agroalimentare da utilizzare per l’Expo. Per capire le
radici territoriali profonde della specificità distrettuale che i ricercatori indicano nelle tradizioni
produttive del territorio, nella qualità dei prodotti e dei processi, nella presenza dell’impresa familiare e della dimensione locale, abbiamo spesso sovrapposto la geografia della mezzadria alla mappa dei distretti. Spiegandoci così la lunga deriva dell’industrializzazione senza fratture del contado delle cascine e dei borghi disseminato poi da capannoni industriali simbolo del distretto che veniva avanti. Tumultuosamente, mangiando territorio.
Allo stato nascente questo sincretismo territoriale fu definito da Giorgio Foa con la figura idealtipica del metalmezzadro, che teneva assieme l’identità del borgo con il capannone. Nella sua fase rampante ed espansiva divenne il «casannone», sincretismo dell’architetto Bertorelli che spiega la simbiosi tra casa e capannone che delinea la «infinita», né città né paese, della via Emilia della pedemontana lombarda e veneta ove si diluiva il borgo e il locale nell’indistinto delle villette a schiera. Sostengo da tempo che questa antropologia locale fatta da campanile-capannone-comunità non basta più. Tirata come un elastico nella competizione globale si è incrinata nei suoi fondamentali: crisi della famiglia, insufficienza dei saperi contestuali del fare, lievitazione e crisi delle banche del territorio, dissolvenza della comunità che nello stress competitivo genera sempre meno solidarietà e sempre più invidia sociale e rancore. Purtroppo il rapporto Unioncamere conferma questa mia analisi, che guarda più alle società locali, con dati economici. Gli imprenditori hanno segnalato le criticità e gli elementi di debolezza che hanno interessato i distretti negli ultimi anni: difficoltà di ricambio generazionale 60,4%,fuga di investimenti in altre provincie o all’estero 47,1%, mancanza di capitale umano qualificato 40,8%, concorrenza sleale di imprenditori stranieri localizzati nel distretto industriale 36,5%. Questo ultimo dato evoca il declino di un distretto storico come Prato dove la tragedia dei lavoratori cinesi bruciati nel rogo di un capannone ha fatto apparire il lavoro servile e la schiavitù. Guardando al futuro gli imprenditori si sentono sul «filo del
rasoio»: il 37,5% ha indicato un aumento del giro di affari, il 35,5% ne ha indicato la riduzione, un quarto delle imprese ha ridotto l’occupazione e solo il 18,7% l’ha aumentata. Numeri che si spiegano non solo con la crisi evolutiva del sistema distrettuale ma ovviamente anche con l’attraversamento della grande crisi. Che induce e produce la metamorfosi dei distretti. Per fortuna ben evidenziata dal rapporto Unioncamere che indica anche gli elementi di forza e di innovazione e i cambiamenti positivi intervenuti nei distretti negli ultimi anni. Maggiore apertura all’estero delle imprese locali 65,5%, innalzamento della qualità dei prodotti 49,4%, maggiore collaborazione tra imprese di distretto 30,7%, avvio di nuove produzioni in nuovi settori/diversificazione produttiva 12,2%, nuove imprese leader 8,4%. Ultimo dato che segnala la nascita delle medie imprese leader a reti lunghe, vere avanguardie agenti nei sistemi territoriali come lo sono gli imprenditori che puntano sullo sviluppo di una cultura
produttiva basata sulla qualità, sulla bellezza, sulla sostenibilità. Sono il 19% quelli che usano questa parola chiave di una green economy che ha radici nell’humus distrettuale, non dimenticando il ruolo sociale dell’impresa che per il 28% degli imprenditori ha come scopo creare occupazione e benessere per il territorio.
Tracce di un nuovo Rinascimento che convive con i segnali di declino. Il che mi fa pensare all’uso di una provocatoria metafora storica. Se la mezzadria è stata la base socio economica della nascita dei distretti, oggi, gli elementi di forza e di innovazione della metamorfosi distrettuale disegnano una geografia dello sviluppo fatta di gran ducati e signorie distrettuali nell’Italia aperta ai flussi della globalizzazione. Se prendiamo l’elenco dei primi venti distretti per performance economiche raccontate nel rapporto e se vi aggiungiamo le dieci eccellenze dell’agroalimentare censite, si avrà una mappa disignorie economiche che competono nella globalizzazione che va dalle Alpi al Mediterraneo. Tracce e speranze di un nuovo rinascimento economico che verrà avanti solo se la coscienza di luogo del distretto saprà assumere la metafora del granducato. Come a Sassuolo, storico e mitico distretto della piastrella dove dopo essersi confrontati con «l’invasione dello straniero», l’impresa Marazzi acquisita dagli americani, oggi la parola d’ordine è andare oltre il distretto, costruire la città distretto dei ceramici evoluti. Facendo città distretto, granducato, aggregando l’area vasta, otto comuni che fanno insieme 100mila abitanti: Sassuolo, Castellarano, Scandiano, Casalgrande, Rubiera, Formigine, Fiorano Modenese, Maranello. Si rappresentano nel mondo con il Cersaie, salone internazionale della ceramica architettura e arredobuilding tenendo assieme il sistema ceramico con quello meccanico e la logistica. Si pensa alla valorizzazione del fiume Secchia, si parla di turismo e di patrimonio storico. Come in un nuovo Rinascimento, si punta sull’arte e la cultura, sulla rivalutazione del patrimonio agricolo e dell’enogastronomia, si progetta una green economy del territorio con architetti urbanisti e designer avendo come obiettivo il «ReMade in Italy».

Tratto da “Microcosmi”, Il Sole 24 Ore, 27 aprile 2014