Quattro scenari per le relazioni transatlantiche nel secondo mandato di Obama
di Gregorio Bettiza ed Emiliano Alessandri –
Mentre prende forma la nuova squadra di politica estera del Presidente Obama, le sfide economiche e politiche che stanno di fronte all’Europa e agli Stati Uniti, l’instabile democratizzazione che sta avvenendo nel medio oriente, la nuclearizzazione dell’Iran, lo sviluppo dell’Asia e della Cina e la più ampia diffusione del potere in un sistema internazionale sempre più multipolare stanno trainando e spingendo le relazioni transatlantiche – più in generale l’Occidente – in quattro direzioni diverse: collasso, diluizione, consolidamento ed espansione.
Il collasso della della cooperazione transatlantica è una prospettiva reale, benché si possa realizzare a più lungo termine piuttosto che nel breve periodo. Il protrarsi della paralisi politica e il malessere economico stanno rendendo gli americani e gli europei sempre più polarizzati e rivolti al loro interno. Mentre la guerra in Iraq spinse in Europa i sentimenti anti-americani al massino storico, la presidenza Obama e le sue riforme sociali ed economiche hanno portato alla luce sentimenti profondamente e violentemente anti-europei nella società americana, specialmente nel campo repubblicano. Allo stesso modo, la politica del rischio calcolato a Washington e la minaccia di un collasso istituzionale nell’eurozona sono la ricetta perfetta per un’erosione ulteriore degli impegni transatlantici. Un’Asia emergente potrebbe mettere un cuneo addizionale fra le due sponde dell’Atlantico, specialmente se l’America si riprende economicamente e l’Europa continua a essere preda della stagnazione. Se questo avvenisse, la regione del Pacifico diventerebbe con tutta certezza il principale fulcro economico, politico e militare dell’America, mentre la regione atlantica – insieme con il Mediterraneo e il Medio oriente – verrebbe vista sempre più da Washington come una palude improduttiva e in preda alla crisi. La tanto discussa “svolta” americana verso l’Asia – o, come lo si chiama ora, il “ribilanciamento” – si potrebbe trasformare in un ben più ampio amplesso. In uno scenario di questo genere, i presidenti americani sarebbero alla ricerca sempre più spasmodica di alleati affidabili in Asia piuttosto che in Europa, per ristrutturare e gestire l’ordine internazionale e le istituzioni del XXI secolo.
Un secondo scenario plausibile è quello della diluizione, in cui le relazioni transatlantiche continuano semplicemente a tirare avanti, senza un particolare coordinamento da una parte e dall’altra, mentre il potere economico, militare, politico e “normativo” continua a diffondersi nel sistema internazionale. In questo scenario, l’Occidente non si sfascia, non si verifica una rottura netta fra l’America e l’Europa, ma la sua influenza e la sua leadership all’interno delle istituzioni e delle pratiche della società internazionale si indeboliscono e si diluiscono progressivamente. In un mondo del genere, in cui le alleanze sarebbero costruite in larga misura ad hoc, il legame transatlantico – lasciato senza una chiara direzione – verrebbe confermato o agevolmente abbandonato secondo le circostanze. Inoltre, la probabilità che aumenti la competizione per le risorse economiche e i legami con i poteri emergenti diluirebbero ulteriormente la presenza, già declinante, dell’Occidente nel sistema internazionale.
Questo processo è già parzialmente in atto e lo si può riscontrare nell’espansione dell’esclusivo G7/8 verso un più amorfo G20, nell’aumento del potere di voto delle economie non occidentali, emergenti e già emerse, nelle istituzioni di Bretton Woods e nella discussione in corso intorno all’allargamento del Consiglio di sicurezza dell’ONU e al rafforzamento del voto europeo.
Tuttavia, in maniera un po’ paradossale, le stesse forze interne e internazionali che stanno allontanando l’America e l’Europa potrebbero portare a uno scenario del tutto opposto, quello di un consolidamento. I momenti di crisi possono anche significare nuove opportunità. Quindi, proprio come la crisi dell’euro sembra spingere la UE verso una maggiore integrazione, la stagnazione economica dell’Occidente sta anche stimolando sforzi reali verso legami transatlantici più profondi. Infine, l’idea di un’Area di libero scambio transatlantica (TAFTA – Transatlantic Free Trade Area) che è circolata per decenni sembra probabile che diventi realtà. Essa segue le orme del Transatlantic Economic Council (TEC), un forum istituzionalizzato nel 2007 e concepito per promuovere la cooperazione economica fra gli USA e la UE.
Allo stesso modo, mentre nel decennio scorso l’invasione dell’Iraq e la Guerra al terrorismo hanno provocato rilevanti contrasti transatlantici, i modi di affrontare le sfide attuali poste dal Medio Oriente da parte americana ed europea appaiono ora convergenti. Gli Stati Uniti e l’Europa hanno collaborato strettamente nell’intervento militare del 2011 in Libia e hanno meticolosamente coordinato i loro sforzi diplomatici per evitare che l’Iran acquisisse capacità nucleari. Entrambi desiderano lasciare l’Afghanistan il prima possibile e condividono un punto di vista analogo in relazione a un Medio Oriente più democratico, anche se un po’ più islamista. L’ascesa della Cina potrebbe certamente indebolire l’alleanza transatlantica. Potrebbe però anche stimolare una cooperazione rivitalizzata, come ha suggerito il Segretario Hillary Clinton in un discorso del novembre 2012 alla Brookings Institution. “La nostra svolta verso l’Asia non è una svolta che ci allontana dall’Europa”, ha osservato la Clinton, “Al contrario, noi desideriamo che l’Europa s’impegni di più in Asia insieme con noi, che guardi alla regione non solo come un mercato, ma come il punto focale di un impegno strategico comune”.
Una quarta direzione plausibile è quella di un’espansione delle principali strutture istituzionali, militari, politiche e/o economiche, che sono il fondamento delle relazioni transatlantiche. Sebbene sia improbabile che questo scenario si verifichi senza un maggiore consolidamento della cooperazione americana ed europea, esso sta nondimeno producendo alcuni dei più vivaci e interessanti dibattiti politici che attraversano le capitali dell’Occidente. Queste discussioni stanno anche stimolando una riconcettualizzazione piuttosto affascinante di ciò che è l’Occidente, di ciò che rappresenta e di quali sono e dovrebbero essere i suoi confini.
Fra gli studiosi, gli opinionisti e i policy maker stanno circolando diverse proposte ambiziose, sia in America che in Europa. Una è quella, piuttosto controversa, di una nuova “Lega delle democrazie”. Quest’idea è stata sostenuta per lo più da studiosi americani internazionalisti liberali e neo-conservatori e ha trovato spazio nella campagna presidenziale del senatore Mc-Cain nel 2008.
Un altro discorso si è sviluppato intorno all’idea di trasformare la NATO in una “NATO globale”. “Globale” non solo nella sua portata militare, ma anche sotto il profilo dei partner e forse, in futuro, dei membri, che potrebbero includere paesi come il Giappone, la Corea del Sud e l’Australia.
C’è anche un dibattito che sta venendo fuori centrato sulla prospettiva di un’iniziativa “Atlantico allargato”, che collegherebbe economicamente e strategicamente i paesi del Nord America e dell’Europa a quelli dell’America Latina e delle parti occidentali dell’Africa settentrionale e sub-sahariana, per creare nel bacino atlantico un nuovo centro di gravità magari altrettanto potente di quello asiatico.
Sono questioni impegnative quelle che si tratta di affrontare riguardo ai modelli economici e politici prevalenti in Occidente, in mezzo a difficoltà economiche e divisioni politiche sia in America che in Europa. I problemi interni sono aggravati dalle minacce e dalle opportunità che provengono dal Medio Oriente e dall’Asia. Queste forze interne e internazionali attualmente in azione portano con sé i semi di tutti e quattro gli scenari transatlantici. Anzi, i processi di collasso, diluizione, consolidamento ed espansione fin qui delineati sono tutti simultaneamente in fieri mentre scriviamo. È in questo momento, dunque, che diventa cruciale la leadership del Presidente Obama e della sua squadra di politica estera ed economica appena nominata insieme con quella dei leader europei attualmente in carica e di quelli che saranno presto eletti. Dipende moltissimo da loro prendere quelle decisioni – così come le non-decisioni – che in definitiva spingeranno le relazioni transatlantiche e ancor più l’Occidente lungo uno di questi percorsi.
Gregorio Bettiza è Max Weber Fellow presso l’Istituto Universitario Europeo (EUI) e ricercatore allo “LSE IDEAS Transatlantic Relations Programme”.
Emiliano Alessandri è Senior Transatlantic Fellow presso il “German Marshall Fund of the United States” a Washington.
This article was first published in English on Aspenia online, the online journal of Aspen Institute Italia, on 6 February, 2013.
Traduzione a cura della Redazione di lib21.