Europa: rischio rivolte se crolla l’euro?

di Salvatore Aprea

La crisi economica da tempo morde l’Europa ed il timore è che, in caso di collasso dell’euro, si possa ben presto trasformare in crisi sociale fino alle rivolte di piazza. Non è un’avventata affermazione allarmistica. È ciò che concretamente temono al Pentagono e che qualche giorno fa ha affermato pubblicamente il generale Martin Dempsey, sebbene la notizia non abbia avuto praticamente alcun risalto nella carta stampata e nei telegiornali nostrani.

Martin Dempsey, che da settembre ricopre l’incarico di capo degli Stati Maggiori Congiunti – il più alto delle forze armate degli Stati Uniti – e in tale ruolo è il principale consigliere militare del presidente Barack Obama, invitato a parlare a Washington davanti alla platea del centro studi dell'”Atlantic Council” e pressato dalle domande dell’editorialista del “Washington Post” David Ignatius, ha sollevato il velo sulle analisi elaborate dai pianificatori della Difesa USA.

Dempsey ha rivelato così di avere incontrato la settimana scorsa Ben Bernanke, presidente della Federal Reserve, per discutere di questioni economiche. L’incontro, durato un paio d’ore, si è reso necessario per analizzare una situazione di potenziale emergenza strategica che il generale ha condensato con questa espressione: “L’Eurozona è in una situazione di grande rischio”. Disordini di piazza, pericoli diretti per militari e civili americani e cancellazione di rilevanti commesse militari: sono questi i timori che agitano il Pentagono mentre osserva un’Europa afflitta dalla crisi del debito fino al punto di poter cadere nel precipizio. Le cause sono la presenza contemporanea di crisi del debito sovrano, violente proteste di piazza – come quelle verificatesi ad Atene e Roma – e questioni di bilancio in nazioni alleate che partecipano con gli Stati Uniti al mantenimento della struttura militare della Nato. L’accordo raggiunto al Consiglio europeo di Bruxelles ha rassicurato Dempsey fino a un certo punto: “So che hanno adottato delle misure e i 17 partner dell’Eurozona tenteranno di allineare meglio le politiche monetarie e fiscali ma non è chiaro, almeno non lo è a me, se questo accordo si rivelerà sufficiente per tenerli assieme”, evitando il crollo della moneta unica. Ciò significa che nella valutazione del Pentagono, come dei mercati, l’accordo di Bruxelles pur essendo positivo, non ha allontanato lo spettro di una rottura dell’Eurozona.

In tutte le situazioni di crisi il Pentagono predispone piani per affrontare possibili rischi e nel caso dell’Eurozona, secondo gli esperti militari, questi riguardano in particolare tre aspetti: rivolte di piazza, fallimento delle banche dove i militari hanno i depositi e sospensione delle forniture di servizi alle basi, dall’elettricità all’acqua. In tale quadro Dempsey ha parlato degli aspetti specificamente militari conseguenti alla crisi dell’euro: “Parte della mia preoccupazione è che il personale militare americano in Europa possa trovarsi esposto a rischi potenziali dovuti a disordini civili ed alla rottura dell’Unione”. Sebbene si tratti solo di scenari potenziali, il Pentagono non può ignorarli, dispiegando in Europa complessivamente circa 80 mila militari e 20 mila dipendenti civili con i loro familiari al seguito. L’elemento di preoccupazione più immediato citato da Dempsey, però, è in realtà l’ultimo: il destino del Joint Strike Fighter progettato per diventare l’aereo del XXI secolo per l’Alleanza atlantica ovvero il programma F-35, il più costoso intrapreso dal Pentagono, la cui realizzazione è in corso negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in Italia nell’impianto piemontese di Cameri. Il timore del Pentagono è che l’Italia e altre nazioni europee potrebbero dover rinunciare agli investimenti per la costruzione e l’acquisto dell’avveniristico velivolo se le difficoltà economiche dell’Eurozona dovessero aumentare.

La prospettiva che al di là dell’Atlantico hanno dell’Unione Europea sicuramente mette un certo grado d’inquietudine, anche se non siamo alla vigilia di una crisi paragonabile a quella che, con fasi alterne, lacerò la Repubblica di Weimar tra il 1919 e il 1933. Non stupisce, tuttavia, lo scarso rilievo che hanno avuto le valutazioni americane sui mezzi di comunicazione nostrani, abituati soprattutto a seguire il volo degli stracci nel cortile di casa. Troppi dimenticano o ignorano che in passato l’inestricabile intrecciarsi delle crisi politiche ed economiche ha avuto conseguenze nefaste, come avvenne – sia pure partendo da premesse del tutto diverse rispetto ad oggi – proprio in Germania. Ancora oggi Berlino è influenzata dal doloroso ricordo dell’iperinflazione, quando il denaro era più utile come carta da bruciare per scaldarsi, che durante i primi anni della Repubblica di Weimar portò alla miseria e alla rivolta milioni di tedeschi. “Il passato è un prologo”, scriveva William Shakespeare, perciò per costruire il nostro futuro non sarebbe male se tenessimo più in esercizio la nostra memoria…..