Feste felici

La vita è troppo breve per essere occupati

di Pierluigi Musarò

Passato Sandy, e con esso anche la calma dopo la tempesta. Nelle city that never sleeps la gente è tornata a essere too Busy, So busy, Crazy busy. D’altra parte essere busy fa così fashion che non puoi vivere nell’America del 21simo secolo senza sentirtelo ripetere almeno 3 volte al giorno. Dovresti non pronunciare più il classico How are you? per non sentirtelo tornare indietro come risposta. Che poi suona più come un vanto che una lamentela.

A New York City sono sempre tutti occupati. Nei 3 mesi trascorsi at NYU sarò riuscito a condividere solo una pausa pranzo con Sylvie Tissot, una visiting professor parigina. E poi l’altro ieri, finalmente Sam Carter, l’assistant director, col fatto che dovevam discutere di lavoro mi è venuto a proporre di pranzare assieme. Poi, mentre eravamo in ascensore, mi ha chiesto Prendiamo un take away e parliamo nel mio ufficio? E allora gli ho risposto No, pliiz. Una volta che andiam fuori ci sediamo, suvvia! E al suvvia è crollato (di certo a causa della mia pronuncia), sino a svenire del tutto quando mi ha visto pagare il conto di entrambi, e in cash per di più. Trentadue dollari, niente di che. Più altri 7 di mancia, che quella la devi lasciare. Se no sei sfigato. O italiano. Che poi è lo stesso.

Amici e colleghi son tutti busy, sempre busy. Forse perché fa sentire più importanti, indispensabili al girare del mondo. O magari solo perché vengono tirati su così, a suon di attività e impegni sin dalla culla: canto, teatro, karate, danza, arte.. In giro vedi dei bambini così isterici che nelle poche ore che gli restano libere dalle extracurricular activities sognano già di andare in pensione.

L’altra sera, in un bar, una tipa chiaccherava con l’amica e le ho sentito dire in maniera concitata: Perché avevo 3 lavori e adesso me n’è rimasto solo uno. Ti rendi conto? Non per le bollette, quelle le riesco comunque a pagare che tanto guadagno abbastanza. Ma per il tempo che mi rimane: vado in palestra, e poi? Non so che fare, capisci? Mi sembra di impazzire!

Pure a me…le volevo rispondere. Rilassarsi mai, eh?

 

Dipendenti cronici dall’ambizione e dalla frenesia, e al contempo vittime dell’ansia e del senso di colpa che li assale se non stanno lavorando, o in preda al panico di quel che potrebbe essere necessario affrontare in sua assenza. Dalla serie: se mi rilasso, collasso.

Sarà per non parlare d’altro? Per non confrontarsi con lo sguardo altrui? Per apparire più che essere…davvero impegnati a lavorare. Perchè quando uno dice che ha tanto lavoro da fare, includendoci l’andare a yoga o da Ikea, come mi ha detto l’altro ieri Sam, allora capisci che i conti non tornano. Ma qui poi funziona così tutto, anche le feste. Solo qui a New York ti invitano a un party dalle – alle. Giuro, non trovi invito che non dica Start at .. End at ..

Questi protestanti puritani calvinisti hanno trasformato il lavoro in virtù, dimenticandosi che Dio lo ha inventato come forma di punizione. E l’hanno fatto diventare un mito, un’ideologia quasi, da applicare a tutto, piaceri compresi, sesso in prima fila. Non ci credete? Provate a tradurre letteralmente termini come date, blow job, hand job… Strano che non definiscano l’orgasmo una deadline!

Anyway, è quasi finita. Un’altra volta ancora si diparte da Gotham City e dalla sua ansia da prestazione.

Liete e fuggitive passano le luci sfavillanti sulla 5th avenue impacchettata, il suono anni ’40 sulle piste di ice skating, la pioggia notturna che batte sul Williamsburg Bridge, la frenesia di Broadway e il silenzio immenso di questo balcone sul Washington Square Village.

Life is too short to be busy. Potrebbe essere il saluto a questa città inafferrabile. E anche il mio augurio a voi, di feste felici e un inizio d’anno nuovo che ci porti a godere del tempo in buona compagnia, come fosse un lusso indispensabile per il cervello più che un’indulgenza o un vizio di cui aver paura.