Il consumatore insoddisfatto

di Vanni Codeluppi

Il consumo ormai caratterizza profondamente l’esistenza degli individui, definendone spesso l’identità sociale, accompagnato anche da un forte senso di insoddisfazione. L’insoddisfazione del consumatore, nonostante le enormi quantità di beni di cui può disporre, è quasi fisiologica. Molteplici le ragioni: la frustrazione per la necessità di dover scegliere tra una enorme varietà di beni, il crescente innalzarsi delle aspettative individuali, o la sensazione di vuoto esistenziale con la conseguente caduta dell’autostima. Spesso il consumo diventa il modo attraverso cui reagire a questo vuoto.

Nelle attuali società avanzate dell’Occidente, i fenomeni di consumo sono particolarmente importanti e spesso sono anche ciò che più caratterizza l’esistenza degli individui. Se ciò accade è perché negli ultimi decenni un sistema sociale contrassegnato da una centralità della produzione e da un’organizzazione basata su una struttura di classe ha lasciato sempre più spazio ad un sistema sociale dove ciò che spicca è il fondamentale ruolo ricoperto dai consumi. Dunque, il consumo tende sempre più a sostituire la produzione come strumento in grado di definire l’identità sociale degli individui. Perché le merci vendute sul mercato sono molto più di quello che sembrano essere: esprimono relazioni, comunicano i legami esistenti con la società e gli altri individui, danno vita a delle identità e a delle culture.

Spesso però il consumo viene collegato all’idea negativa di eccesso e spreco. È propriamente ciò che viene di solito indicato con il termine “consumismo”, che segnala appunto l’esistenza di comportamenti d’acquisto di quantità eccessive di beni, comportamenti che appaiono oggi intensificati da un processo sociale di crescente moltiplicazione delle identità sociali impiegate da ciascun individuo, il quale determina necessariamente una moltiplicazione anche delle dotazioni personali di beni necessari a comunicare tali identità.

Il consumo dunque consente agli individui di esprimere le loro capacità creative, ma al tempo stesso di manifestare anche la loro dipendenza dalle merci, che limitano le scelte e la libertà. Perché le persone possono esprimersi liberamente, ma sono anche obbligate a “produrre se stesse”, cioè a costruire la loro identità sociale attraverso i beni di consumo disponibili sul mercato. Non è più possibile, pertanto, ritenere che il consumo sia determinato solamente dal sistema capitalistico, ma nemmeno, come diversi studiosi hanno sostenuto negli ultimi anni, che sia un esclusivo frutto del lavoro “produttivo” svolto dal consumatore. Perché, considerare l’individuo che consuma come un soggetto pienamente attivo non comporta che tale individuo possa essere del tutto libero di esprimersi.

Il consumo dunque appare paradossale perché in esso c’è una compresenza di benefici per gli individui e di un elevato tasso di insoddisfazione. L’Occidente infatti gode di livelli di benessere senza precedenti, in quanto gli individui possono entrare in possesso di enormi quantità di beni di consumo con i relativi benefici funzionali. Eppure, inspiegabilmente, il tasso di soddisfazione psicologica dei suoi abitanti continua ad abbassarsi. Anzi, le ricerche degli psicologi ci dicono che sono proprio le persone che attribuiscono un grande valore alla ricerca della ricchezza e del possesso di beni a possedere generalmente un livello di benessere psicologico inferiore rispetto a quelle che sono meno coinvolte da questi obiettivi.

È probabile che le cause di questa situazione siano da rintracciare nelle frustrazioni che vengono determinate dalla necessità di scegliere tra i molti beni offerti nelle attuali economie avanzate, necessità che inevitabilmente costringe a scartare qualcosa che si ritiene possa essere potenzialmente altrettanto gratificante, oppure nel crescente innalzarsi delle aspettative individuali in conseguenza di un sempre maggiore incremento delle esperienze e delle competenze che vengono sviluppate da parte dei consumatori. Tutto ciò non spiega però completamente la crescita dei livelli di insoddisfazione. Sembra che il consumo faccia all’individuo delle promesse che non riesce a mantenere. Le persone si trovano dunque spesso a vivere una sensazione di vuoto esistenziale, cioè una situazione in cui il loro senso di autostima declina. Il consumo è al tempo stesso anche uno degli strumenti con cui si cerca di reagire a questo vuoto. E a volte funziona. Ma consumare oltre un certo limite non porta necessariamente alla soddisfazione. In generale, infatti, le gratificazioni materiali che oltrepassano una soglia minima, variante a seconda della distribuzione delle ricchezze nella società, producono un effetto sul piano del benessere psicologico che è sostanzialmente irrilevante.