Flessibilità non vuol dire precariato

di Francesca Perinelli

Prosegue l’intervista a Pietro Olla, ingegnere e clown scientifico. In questa seconda parte la conversazione si concentra sulla situazione più generale del precariato in Italia. E’ grave la responsabilità della classe dirigente per aver creato una società povera di idee, di spirito, fortemente tollerante nei confronti della corruzione, e aver minato la funzione formativa dell’istituzione scolastica. Generazioni acritiche e sbandate, quelle cresciute a partire dagli anni Ottanta, sono condannate oggi ad un precariato umiliante, ignorato dai sindacati, dalla classe politica e dalle “vecchie” generazioni.

Pietro Olla, ingegnere e clown scientifico, aveva raccontato in precedenza la particolarità del proprio percorso professionale. L’intervista riprende allargando lo sguardo alla situazione italiana.

P: I nostri governanti degli ultimi vent’anni, hanno fatto un “ottimo” lavoro, creando una società povera di idee, povera di spirito, con gente come lobotomizzata davanti a certa televisione e con una tolleranza assurda, pericolosissima, nei confronti della corruzione. A partire dallo sgretolamento dell’istituzione scolastica, per poi affondare con le politiche del lavoro, il precariato.

F: Qual é il ruolo della cultura secondo te, perché viene affossata?

P: La cultura ci rafforza. Una buona cultura, di qualità, stimola la capacità di critica delle nuove generazioni. Perché i bambini possano crescere, diventare persone adulte capaci di partecipare, c’è bisogno di cultura. Se invece non hanno questo desiderio perché si accontentano dell’i-phone, di partecipare al provino di un reality show, come massima aspirazione, allora hanno vinto loro, i berluscones … noi siamo una generazione di acritici.

F: Quale “generazione”? Vedo una forte crisi di valori nei quarantenni, forse non tanto nei cinquantenni.

P: Sono d’accordo, parlo della generazione dalla nostra in giù. Noi siamo una generazione che sta subendo uno sbandamento. Già i cinquantenni stanno un po’ meglio. Vedo che siamo quelli che la stanno subendo di più, e più di noi quelli nati negli anni ottanta.

F: Tu hai viaggiato molto. Secondo te il coinvolgimento degli elettori nelle scelte strategiche degli altri paesi è maggiore che in Italia?

P: Certo. In Germania il viceministro degli esteri si è dimesso perché non aveva pagato i contributi alla colf, il livello di tolleranza della popolazione è tutt’altra cosa. In questo senso siamo stati noi a permettere che venissero raggiunti dei livelli intollerabili altrove. Abbiamo tollerato anche le politiche del lavoro e ci sono sfuggite di mano. Probabilmente le cose peggiori sono state fatte dal centrosinistra di Prodi. Un fronte unico, compatto, per l’articolo 18 e poi hanno completamente sacrificato una generazione, senza toccarlo. Ora, io non credo che favorendo le imprese che possono licenziare senza giusta causa si migliori la condizione dei lavoratori precari, e sono per non toccare l’art. 18. Però mi sconvolge che sindacato e partito del centrosinistra, in qualunque modo si chiami, mentre difendono a spada tratta i diritti di chi ha già un lavoro stabile e garantito, sacrifichino per scelta i diritti di chi un lavoro fisso non ce l’ha.

Se si scende in piazza due volte in due giorni, succede per l’art. 18, ma mai e poi mai per le politiche di avviamento al lavoro, per il salario minimo garantito per il sostegno alle case degli studenti, mai. Non penso che migliori la condizione dei giovani se smettiamo di tutelare chi il lavoro ce l’ha già. Sindacato e partito non si sono mai mossi con la stessa forza per garantire un precariato sano. Esiste la possibilità di un precariato sano. Si chiama flessibilità. Questo che si è costituito in Italia è semplicemente umiliante.

F: Secondo me è il nodo centrale della questione. Eliminare il precariato oggi è praticamente impossibile. Il posto fisso non è più qualcosa a cui aspirare.

P: E non è detto che io sia per il posto fisso. Trovare un posto in un museo delle scienze, in un ruolo particolarmente adatto alla mia carriera per me è come trovare un ago in un pagliaio, anche perché in questo momento la mia priorità è stare a Cagliari. In Sardegna non esiste l’impresa che mi dà la felicità e quindi io il posto fisso in un comune qualunque, o alla regione, non lo voglio proprio. Prima di tutto voglio fare un bel lavoro e poi avere uno stipendio a fine mese.

F: E farti imprenditore, creare tu il lavoro che immagineresti essere il posto fisso ideale per te, a Cagliari?

P: Dammi il capitale (e la volontà politica) e io mi ci impegno. L’anno scorso sono andato a bussare al comune di Quartu S.Elena e gli ho detto: “Vi interessano le mie prestazioni? So fare questo, questo e questo. Loro mi hanno detto: Quanto Costi? Zero, perché vengo con la dote, cioè con due anni di stipendio già pagato dalla Regione. E loro mi hanno risposto: “Ah, bé, se ci costi zero, tanto vale.” Quindi sono entrato e mi sono occupato per un anno di fare formazione agli insegnanti, ne ho visti centotrenta in otto corsi diversi, in un anno. Ogni insegnante mi ha visto per dieci ore. Bene. Poi ho visto centinaia e centinaia di ragazzini con i miei laboratori didattici.

Alla fine del primo anno sono tornato dall’amministrazione di Quartu: “Sempre a costo zero, non è che per caso il secondo anno vi interessa che io mi occupi di progettare una cosa che poi rimane qui a Quartu e magari ci troviamo anche un finanziamento europeo? Ho in testa di creare un piccolo museo di scienze, però stabile, un progetto di tre, cinque anni, vi interessa? E magari lo stipendio per gli anni successivi me lo ritrovo sempre da Quartu, però finanziato dall’Europa? Inizialmente mi hanno risposto di sì, poi si sono dimostrati incapaci di mantenere un progetto per loro troppo grande.

F: Un problema di disorganizzazione?

P: No! Un problema di priorità politiche. La persona responsabile mi ha risposto: “Guarda Pietro, io qua sono un tecnico, non posso fare progetti a lunga distanza”. “Ma non si tratta di lunga distanza, ti sto dicendo di inaugurare a febbraio” e gliene ho parlato ad agosto! Per me era breve, media distanza, voleva dire: progettiamo una cosa in gran fretta. Usciamo per M’Illumino di Meno (la campagna di Caterpillar radio2 ) con un progetto sull’energia. Lei mi ha detto: “Per me a lunga distanza vuol dire tre settimane, un mese”… (sob…. )

F: Sarebbe possibile dare l’avvio a questa volontà mancante con un’attività di lobbing?

P: L’abbiamo fatta. Conosco moltissima gente che dopo tanti, tanti anni si è impegnata in campagna elettorale. Abbiamo un nuovo momento di entusiasmo perché abbiamo eletto sindaco di Cagliari un trentacinquenne di SEL.

F: Proprio in questa fase di grande mobilità politica sarebbe bene attivarsi.

P: Sono d’accordo, e condivido anche queste vostre forme (ndr: lib21.org). Anche se io non riuscirei ad attivarmi dedicando ore da volontario. Le mie ore lavoro costano, io me le devo far pagare. Altrimenti saprei bene come spendermi… Per esempio l’organizzatrice del Festival Della Scienza di Cagliari (prof.ssa Carla Romagnino) è stanca, mi dice “Pietro adesso servono nuove energie”. “Sì, – rispondo io lusingato – ma il Festival è realizzato da pensionati volontari che non vengono pagati, perché hanno di che vivere. Come faccio io senza prospettiva di lavoro stabile e con famiglia a dedicare anche soltanto cinque ore settimanali gratuitamente?” La professoressa annuisce e rimane li senza soluzione. Il festival probabilmente morirà dopo solo 4 edizioni. E’ un po’ un cane che si morde la coda, le persone con più esperienza e più tempo hanno sempre meno energie, ma quelle con più energie non possono lavorare gratis.

F: Avviare un patto di solidarietà tra generazioni?

P: Sono per il rapporto intergenerazionale. Non voglio buttar via i “vecchi”, anzi desidero accogliere il loro sapere, il loro apporto. Mia madre, Pinella De Pau, è un altro esempio. Da quando è in pensione, circa dieci anni, ha avuto una vita culturale attiva e intensa, ha contribuito e si è potuta permettere di affrontare progetti mal pagati e anche non pagati.

Io però per il mio paese e per me desidero altro. vorrei arrivare alla loro età con una sicurezza, non dico una pensione, quella non l’ho mai considerata possibile, ma almeno un sistema di cuscinetti sociali, un welfare state che mi permetta di vivere e contribuire alla crescita sociale del mio paese. Forse non è troppo tardi.

Ringrazio Pietro, ormai è buio anche a Cagliari. Lui si rituffa nelle sue mille attività. Non posso che concordare sul fatto che la maggioranza dei nostri coetanei, anche quelli provenienti da condizioni di partenza favorevoli, vive con rassegnazione e nell’immobilismo una stagione di avvio al lavoro che sembra non avere più fine. Dunque è necessario andare a fondo di questa indagine e verificare non tanto se, ma piuttosto come e in che forme, si renderà attuabile un “precariato sano” che, come la “mens sana” del detto latino, non potrà che esistere in un corpo (sociale) reso, a sua volta, nuovamente sano.

Pietro Olla è su internet (www.pietroolla.it)