L’eleganza del geco

di Francesca Perinelli

“Il geco è un animale particolare, cammina sulle superfici più lisce senza cadere. A volte questa tenacia ricorda davvero la mia” così afferma Olga Catena Garcia, fondatrice di geco s.r.l, piccola società informatica di successo, composta da un gruppo di professionisti persuasi che lavorare bene sia uno dei modi per contribuire a migliorare la vita di ciascuno. La storia di una stupefacente metamorfosi dal baratro del precariato alla gestione del proprio destino attraverso una scelta imprenditoriale coraggiosa quella di Olga Catena Garcia, in cui il volontario addio al posto fisso e a uno stipendio garantito ha significato la ricerca di una realizzazione professionale fortemente basata su valori veri

“Il geco è un animale veramente particolare. Ci sono studi della NASA sulle sue zampette, cammina in verticale sulle superfici più lisce senza cadere, l’unico animale sulla terra a poterlo fare. A volte questa tenacia ricorda davvero la mia”. Mi dice ridendo Olga Catena Garcia, seduta alla plancia di comando di geco s.r.l., la sua “creatura”. Filippo, suo marito, attraversa il nostro spazio visivo e ironizza: “C’è chi si arrampica sugli specchi e chi ci cammina!” Ecco l’umano indistinto descritto da Platone, il filippolga (o meglio, come precisano, filippolgaia, visto che dalla loro unione è nata una bambina). Se parlo dell’una non posso scindere la sua parabola personale e lavorativa dall’altro. Ma andiamo per ordine.

A metà degli anni Ottanta (avevo circa quindici anni) Filippo, promessa della grafica, è stato per me un pusher di cultura fumettistica. La mia camera era ingombra di pile di Linus, Corto Maltese, Metal Hurlant e Totem (dalle cui pagine le visionarie ambientazioni architettoniche del disegnatore Moebius hanno caricato il mio nascente interesse per l’architettura di significati nuovi).

Una dozzina di anni dopo, Olga mi raccontava con orgoglio di quel loro matrimonio che stavamo festeggiando con gli amici. Compresa la sala del Comune, non avevano speso più di 250 mila lire. L’abito, rimediato a una bancarella (era estate, il bianco si trovava ovunque), messo a misura da un’amica sarta; l’acconciatura, un elegante chignon dei suoi lunghi capelli biondi annodati in treccioline, opera di un’altra amica; così il trucco, le scarpe, i gioielli: tutto riadattato, rimediato o prestato. Il risultato era tutto bellezza, stile e personalità. Ne fui affascinata ma, a ripensarci, mi sa che non avevo capito bene chi avevo di fronte.

Se glielo chiedi, oggi Olga riassume così il segreto della propria stupefacente metamorfosi da vittima delle situazioni a padrona del proprio destino: “Dal 1988, avevo 18 anni, mi mantengo da sola e da allora non ho mai smesso neanche un giorno di lavorare.” I suoi genitori non la mantenevano più. Motivi loro. E lei, per lavorare, aveva dovuto abbandonare scuola e Conservatorio (sognava di diventare violinista). Riuscì comunque a diplomarsi (“Tecnico chimico biologico dei prodotti alimentari”), coniugando la frequenza obbligatoria mattutina a scuola con impieghi qualsiasi, purché remunerativi e tollerabili, il pomeriggio e la sera. Sempre lavorando, un corso biennale post diploma la promosse “Operatore in biotecnologie” col quale trovò un impiego adeguato alla propria formazione, ma una causa vinta contro i datori di lavoro insolventi concluse la sua avventura in un settore ancora troppo di nicchia. Non avrebbe potuto perdere tempo, prezioso per la sopravvivenza, a cercarne un altro.

La nostra fioraia, baby sitter, operatrice nei fast food, animatrice nei villaggi vacanze, commessa, divenne quindi “informatico multimediale“. Un’associazione internazionale per lo studio delle malformazioni sui feti volle darle fiducia incaricandola anche della gestione del proprio sito. “Un sistema che 15 anni fa –Internet non era così come lo conosciamo oggi- metteva in comunicazione 60 scienziati nel mondo per la condivisione di documenti e altro”. Il web divenne il suo campo e fu assunta da una multinazionale americana, dove per due anni trovò per la prima volta stabilità lavorativa, occupandosi del sito di una pubblica amministrazione, all’interno di una redazione molto grande.

“Un solo lavoro, a tempo indeterminato e a stipendio garantito. All’inizio sono stata contenta, mai avuto prima tante tutele. Sicuramente era una situazione particolare, in una multinazionale la struttura è complessa, all’interno molte persone hanno un’ottica arrivista, sono disposte a qualunque cosa e perdono di vista la concretezza del lavoro.Riunioni fatte solo di parole, per me era una perdita di tempo, ci stavo male. Ho sempre pensato che la mia unica vita andasse vissuta al meglio e lì avevo snaturato la possibilità di esserne artefice. Uno stipendio non può comprare la mia creatività, la mia voglia di comunicare, confutare, prendere decisioni. Purtroppo sono anche stata vittima di mobbing, riconosciuto dall’azienda, dalla quale ho ricevuto dei soldi per evitare che facessi una denuncia. Il lavoro lo avrei anche potuto conservare, ma… Ho questo difetto (o forse un pregio?), non mi so stare zitta.

Da quella esperienza è partita la mia avventura nel mondo dell’informatica. Mondo che ha in comune con la mia stessa natura il rigore e una mentalità precisa, logica, lineare. Inoltre, ho un obiettivo di fondo che è quello di essere utile, aspetto che questo campo lavorativo mi permette di portare avanti e che mi piace molto.”

Io la conosco bene, so che è il suo punto di forza non aver paura di faticare per raggiungere un obiettivo. È, in un certo senso, “vittima” del suo senso del dovere, che non prova solo verso sé stessa. “Essere d’esempio, anche verso gli altri (l’esempio passa, non c’è niente da fare), è l’unica cosa che sento di poter trasferire concretamente alla società che mi circonda.”

“E così ho ripreso i contatti con i miei precedenti clienti. Con i soldi che avevo dalla chiusura del rapporto con la multinazionale ho potuto costituire geco, insieme ad altri tre soci. Era un’opportunità che si incastrava bene con tante altre. Ma ero solo io operativa, la società era la formula che mi consentiva di prendere determinati lavori. In fondo il passaggio da dipendente a imprenditrice è stata solo una trasformazione. A tutt’oggi continuo a dovermi procacciare il lavoro. In più, ho la responsabilità di guadagnare anche per quelli che mi aiutano a fare questo lavoro. La responsabilità però è condivisa, qui tutti dobbiamo guadagnare onestamente per il lavoro che facciamo. Tutti sono consapevoli di dover contribuire.” E aggiunge, in un tono tra il divertito e il preoccupato: “Ora il mio è precariato imprenditoriale”.

Chi semina raccoglie

Olga Catena Garcia, quasi una moderna Cenerentola che ha trovato in sé stessa la magia della Fata madrina, ovvero la forza per risollevarsi dal baratro del precariato, qui parla della sua geco, “una società eticamente integra, composta da un gruppo di professionisti persuasi che lavorare bene sia uno dei modi per contribuire a migliorare la vita di ciascuno“.

Il passaggio da una società di facciata a una di contenuti è stato sostenuto, in ogni sua fase, dalla consapevolezza della necessità di raggiungere ulteriori stadi di crescita. La storia di Olga, e da questo punto in poi anche di geco, come sempre, si affianca ad un parallelo percorso di formazione continua.

Seguire corsi di imprenditoria negli anni (problem solving, project management, studi di fattibilità, pnl applicata alla struttura aziendale, …) ha avuto la funzione principale di confermare le mutazioni in atto, prima ancora di alimentare la base informativa e metodologica necessaria a quelle trasformazioni.

“Prima ero ancora solo una libera professionista con un srl nel nome, continuavo a far tutto da sola, a volte con qualche collaboratore. Aumentando la quantità di lavoro e le figure professionali necessarie e quindi le persone (compreso Filippo col quale ho condiviso la titolarità della società), non erano più chiari i ruoli e le responsabilità, quindi ho sentito la necessità di cambiare e ristrutturare l’azienda.

Ora, già da qualche mese, stiamo seguendo un corso di livello avanzato di project management, perché ci sentiamo pronti per l’Europa, quindi ci prepariamo ad affrontarla con la conoscenza degli standard richiesti. Oggi geco effettua sia lo sviluppo tecnologico di soluzioni che utilizzano di base il web, sia la realizzazione della grafica, lo studio dell’immagine, i video o qualunque richiesta che necessiti creatività per soddisfarla. Negli ultimi anni si alternano questi due settori. Curiosamente il secondo aspetto è il più richiesto in questi ultimissimi mesi.”

E’ vero, è strano. Sarà per via della crisi?

“Non lo so dire, ma il mio punto di vista su questo argomento è questo: mi rifiuto di pensare che le cose vadano male solo per colpa della crisi. Se trovo il mio capro espiatorio nella crisi, che faccio, me la tengo? Non aspetto che siano altri a fare qualcosa per me. Devo comunque essere io a lavorare per migliorare la mia situazione.

Mio padre diceva sempre che “chi semina raccoglie” e questo per me è un valore fondamentale. Le cose quindi sono cambiate in relazione alla crisi perché avendo più difficoltà abbiamo dovuto fare di più. Quando passerà la crisi, le azioni di oggi otterranno il triplo dei risultati.

Abbiamo circa una trentina tra dipendenti e collaboratori, alcuni di loro sono solo meteore, altri rimangono con noi per sempre. Premetto che si condividono prima di tutto dei valori, tra i quali un alto senso di responsabilità (non aspettarsi di guadagnare senza esserselo meritato). Si condivide il desiderio di sentirsi soddisfatti non solo sotto l’aspetto economico, e i ragazzi lavorano per noi sia quando sono ben pagati, sia quando il budget è decisamente basso, con la stessa qualità. Anche perché qui c’è lo spazio per metterci del proprio, essendo aiutati, coadiuvati. Io, ad esempio, faccio di tutto: dal pulire il bagno a firmare i contratti più grandi, ma se un ragazzo ha troppo lavoro e non ce la fa, gli dico: passamene la metà, non perché questo “fa fico”, ma perché la riuscita di quel progetto è un obiettivo comune. E questo vale per loro come per me, perché anche io ricevo altrettanto supporto da loro. Se io non avessi immediatamente la possibilità di pagarli, loro mi darebbero comunque supporto. Non mi hanno mai lasciata sola. Per loro geco ha un valore aggiunto.”

Dev’essere un incentivo ben forte, ma in quale modo sono remunerati da geco?

“Io rigiro sui ragazzi le decisioni da prendere in merito agli accordi con i clienti, riguardo compensi su base oraria o a forfait”.

Se capisco bene, loro quindi partecipano anche a queste decisioni?

“Assolutamente si. L’iter per fare un preventivo consiste nel raccogliere le esigenze del cliente, consultare le persone che saranno operative su quel progetto per avere il loro preventivo relativo alla componente di cui sono competenti. A volte invece chiedo prima a loro se vogliono lavorare su un determinato progetto per una certa cifra che mi è stata proposta dal cliente.

Credo che un imprenditore non debba stare per forza al gioco delle parti. Io vivo in un’ottica diversa il rapporto con i miei collaboratori perché so per esperienza che è brutto lavorare con poche garanzie di base (come ad esempio essere pagati per il lavoro svolto), nemmeno rispettate.

Sono l’unica dentro geco con un contratto part-time a 4 ore, lavorandone 12, e mi pago lo stipendio solo quando c’è. I miei collaboratori (per mia scelta) hanno pagamenti molto più regolari. La responsabilità di certi rischi me la sono presa io, non loro. È giusto che sia io a mettermi sull’ultimo gradino. È la mia linea etica.”

Va bene, Olga, ma a queste condizioni il modello di geco è sostenibile?

Confesso che aziende piccole come la nostra sostengono pesi elevatissimi dal punto di vista amministrativo. Ci sono degli oneri, ad esempio l’iva, che devono essere versati in anticipo, indipendentemente dal fatto che le fatture vengano saldate oppure no. Questo mese, non essendo stata pagata a novembre dai clienti, non ho potuto pagare l’iva perché la mia priorità è stata pagare i ragazzi. Solo che poi per il ritardo ci sono le more. Costi aggiuntivi.”

E allora, come fate a lavorare bene?

“Per me è una lotta quotidiana. Soprattutto avere a che fare con i clienti. Il 90 % di loro non sa che fisicamente le 30 persone non sono presenti nello stesso ufficio. Ridurrebbe automaticamente ai loro occhi il valore del nostro lavoro, un pregiudizio mentale lo renderebbe meno efficiente di quanto lo è. E sono gli stessi clienti che ci fanno i complimenti per l’affidabilità, la puntualità, la qualità. Sarebbe uno shock per loro scoprire che il nostro metodo lavorativo è costituito da procedure e tecniche di organizzazione a regola d’arte come ad esempio per i contratti ad ore e quelli di manutenzione.

Se un cliente avesse necessità di un programmatore e un grafico, io utilizzo 5 persone: due programmatori e due grafici, più me, così da aumentare la possibilità che nel momento in cui quel cliente ha necessità ci siano persone disponibili su ogni richiesta (in media rispondiamo in due ore, mai sentito in Italia, eh?). Quindi se il cliente manda una mail, questa è condivisa dalle persone che sono coinvolte, più me. Chi è competente sul problema e disponibile risponde, dando in automatico agli altri l’evidenza che l’intervento è stato preso in carico. Poi, se ci sono altre necessità, la persona stessa si incarica di coinvolgere gli altri collaboratori. Quindi l’intervento viene risolto o viene fornita al cliente una previsione realistica di consegna (in 11 anni non abbiamo mai ritardato una consegna!), entro pochi minuti dall’apertura della chiamata. I clienti si sentono così coccolati, seguiti, importanti. Geco è replicabile solo a queste condizioni: voglia di lavorare, fiducia e senso di responsabilità.

E con Filippo, come la mettiamo?

“Oggigiorno, che è già difficile stare insieme, lavorare in coppia è difficilissimo. Condividere con il coniuge le soddisfazioni è impagabile. Riconoscimenti, elogi, eventi che ci siamo conquistati, ce li ricorderemo per sempre. Ci sono però sempre momenti grande tensione, stress e difficoltà, soprattutto economiche, quando una famiglia si basa sulla stessa entrata, anche piuttosto labile. Insieme guadagniamo 1900 euro al mese, di cui 700 miei e 1200 nella busta paga di Filippo, sempre che entrambi possiamo permetterci di pagarcela nello stesso mese. Abbiamo un mutuo di 600 euro, e questo ti dice con quanto viviamo. Abbiamo una figlia che va alle elementari, una macchina, costi che tutte le famiglie hanno. Ce la facciamo, ma nessuno dei due in un momento problematico può portare qualcosa di diverso.

Io e Filippo, singolarmente e insieme, però, finora siamo riusciti ad utilizzare tanto buon senso e a non mettere in discussione l’obiettivo comune, né dal punto di vista aziendale né da quello personale. Una difficoltà aziendale spesso porta a dei disaccordi anche molto profondi che inevitabilmente vengono riportarti nel rapporto di coppia, ma fino ad oggi siamo riusciti sempre a mantenere la consapevolezza degli obiettivi, cosa che ci ha aiutato a mantenere la rotta: parallela, anche quando viaggiamo a velocità differenti.

Filippo, tu confermi?

“Ah, io rispetto a geco mi sento un po’ come un Agnelli, un magnate… scherzo! Credo che l’impresa vada al di là del puro profitto, realizza le ambizioni personali. Mi è sempre piaciuta l’azienda “a radice familiare”, così è nata e così continua a svilupparsi, io e Olga ne siamo i motori e anche i dipendenti. All’azienda costa un’assunzione ma per noi avere delle entrate costanti è una tranquillità economica e inoltre ci versiamo i contributi, sempre che servirà mai a qualcosa.

Malgrado le differenze, visto che Olga lavora più di me ma guadagna decisamente di meno, mi sento alla pari”.

Responsabilità, condivisione, obiettivi saldi. Che sia tutto qui il segreto della felicità?

Olga Catena Garcia è su internet (www.e-geco.it)