Il riciclo nella green economy: guadagno e innovazione

di Salvatore Aprea

Riciclare, oltre a contenere l’uso delle risorse non rinnovabili, produce sostanziosi vantaggi economici e sociali, promuove l’innovazione e rilancia l’occupazione. La tesi è dimostrata da un rapporto dell’Agenzia Europea dell’Ambiente dal titolo “Guadagnare, lavorare e innovare: il ruolo del riciclo nella green economy”. Ad avvalorare l’affermazione ci sono gli esempi di città come San Francisco, che oggi recupera oltre il 75% dei rifiuti, ma ha un obiettivo ancora più ambizioso: rifiuti zero entro il 2020. Sulla città californiana, inoltre, sono riportate le illuminanti immagini di un recente reportage di Riccardo Iacona.

Lo ammetto, la premessa è degna di monsieur de La Palice, ma come suol dirsi, repetita iuvant. Riciclare ha un effetto positivo sull’ambiente. Da una parte, non conferire i rifiuti in discarica diminuisce le emissioni in atmosfera, dall’altra il riciclaggio contribuisce a rispondere alla domanda di materiali del mondo economico, fornendo risorse – carta, cartone, ferro, acciaio – ed evitando gli impatti ambientali causati dall’estrazione e dalla lavorazione delle materie prime. Ciò che probabilmente è meno noto ai più è che riciclare, oltre al contenimento dell’uso delle risorse non rinnovabili, produce sostanziosi vantaggi economici e sociali, promuove l’innovazione e rilancia l’occupazione, generando benessere e mantenendo un ambiente sano. Negli ultimi 15 anni l’Unione Europea ha introdotto una serie di politiche per la promozione del riciclo, riferite alle varie tipologie di rifiuti: elettrici ed elettronici, domestici e provenienti dall’edilizia, veicoli fuori uso, batterie, packaging. Il riciclo è divenuto sempre più competitivo, mentre al crescere della severità dei requisiti ambientali, le discariche e gli impianti di incenerimento sono diventati sempre più costosi per la collettività.

I vantaggi del riciclo tradotti in dati

Lungi da me l’idea del solito discorso dal sapore vagamente ambientalista, a supporto ci sono elementi concreti. Nel dicembre scorso, infatti, l’Agenzia Europea dell’Ambiente ha pubblicato in proposito un rapporto dal titolo inequivocabile: “Guadagnare, lavorare e innovare: il ruolo del riciclo nella green economy” (la versione integrale del rapporto in inglese è scaricabile da qui).

Dal rapporto emerge che i ricavi derivanti dal riciclo sono consistenti e in rapido aumento: dal 2004 al 2008 il fatturato delle sette principali categorie di materiali riciclabili è quasi raddoppiato, superando i 60 miliardi di Euro. Il riciclo, inoltre, ha creato più posti di lavoro e maggiori ricavi rispetto alle discariche e agli inceneritori, con un incremento dell’occupazione complessiva nel settore del riciclo dei materiali, nei paesi europei, del 45% tra il 2000 e il 2007, pari al 7% annuo, passando da 422 a 611 per ogni milione di abitanti. Certo, dalla fine del 2008 i ricavi sono fortemente diminuiti a causa della crisi economica, ma ora sembra essersi avviata la ripresa. Oltre che dalle direttive europee sui rifiuti, un’importante spinta al riguardo il mercato europeo del riciclo l’ha ricevuta dal boom delle economie – e quindi dalla forte domanda di materiale – del mercato asiatico.

Diminuire gli impatti sull’ambiente, creare nuovi posti di lavoro e aumentare le risorse per l’economia sono oggi le tre sfide impegnative che il Vecchio Continente ha di fronte a sé. Obiettivi raggiungibili, anzitutto, creando filiere e mercati del riciclo dove non esistono e introducendo nelle discariche solo materiali non recuperabili, ma è evidente che non può bastare. Occorre promuovere lo sviluppo di prodotti sempre più riciclabili, supportare la domanda – anche extraeuropea – di materiali riciclabili nell’industria e assicurare che i materiali da recuperare vengano separati dai rifiuti da smaltire per affinare la qualità dei materiali riciclabili.

Inoltre, è essenziale per l’UE recuperare materiali rari nel campo delle nuove tecnologie, in particolare nei settori dell’informazione e comunicazione, dell’e-mobility e delle energie rinnovabili. Gran parte dei metalli rari e preziosi va perduta poiché vengono adoperati in minime quantità in una molteplicità di applicazioni. La filiera del riciclaggio non ha ancora messo a punto una soluzione: sono infatti necessari maggiori studi su tali metalli e sulle loro possibilità di essere riciclati, ma trattare questa questione meriterebbe un capitolo a sé stante.

La via di San Francisco

L’espansione del settore del riciclo è un interessante esempio di come, negli ultimi anni, la combinazione tra il mercato e la disciplina legislativa abbia generato buoni risultati. Sebbene incrementare il riciclo aiuti a creare risorse sicure per l’economia, comunque, la crescita economica basata sull’aumento del consumo di materie prime non è sostenibile. Anche se portato al massimo dell’efficienza, il riciclo non copre la richiesta di risorse dei paesi europei. Tuttavia coloro che anni addietro si sono rimboccati le maniche oggi sono la prova lampante dei risultati raggiungibili. San Francisco è la città regina per il riciclo e la differenziata, con oltre il 75% dei rifiuti recuperati, ma il suo obiettivo è ancora più ambizioso. John Macy, il coordinatore del programma “Rifiuti zero” di San Francisco, recentemente ha affermato: “Il nostro obiettivo è rifiuti zero entro il 2020. Al centro di questo processo ci sono le persone, bisogna cambiare le abitudini”. Già, perché dei vantaggi deve beneficiarne anzitutto la collettività e non il singolo; non è tollerabile che l’unica prospettiva futura riguardo allo smaltimento dei rifiuti sia consolidare delle onerose rendite di posizione a vantaggio dei proprietari della discariche e degli inceneritori, come accade nel nostro Paese.

Illuminante, sull’approccio che invece ha avuto l’amministrazione di San Francisco negli ultimi dieci anni, è uno stralcio della trasmissione “Presa Diretta” di Riccardo Iacona, andata in onda qualche settimana fa. Il reportage, con l’ausilio delle immagini che il lettore interessato può guardare qui di fianco, illustra in maniera semplice e chiara l’intero processo di smaltimento dei rifiuti e i risultati ottenuti dalla meticolosa e sotto alcuni aspetti sorprendente attività di riciclo. Ciò che mi preme sottolineare però è la conclusione del filmato che, come in un giallo, risponde ad alcune domande che molti si pongono: ha senso realizzare un sistema di smaltimento basato sui termovalorizzatori e perché la raccolta differenziata fa tanta fatica ad imporsi nella logica degli amministratori? Le risposte sono nette, quasi ovvie. I termovalorizzatori, al di là degli aspetti sanitari, sono economicamente svantaggiosi e il motivo è evidente: l’energia che si ottiene bruciando i materiali inviati a rifiuto è nettamente inferiore a quella necessaria per generarli, quindi è più conveniente riciclarli. Ad esempio, nel caso dell’inceneritore di Brescia – considerato il migliore del mondo – si ha un rendimento del 26% in produzione elettrica e del 58% in calore per teleriscaldamento. Una moderna centrale termoelettrica a ciclo combinato ha una resa del 57% per la produzione elettrica e se associata al teleriscaldamento raggiunge l’87%. I termovalorizzatori, inoltre, per raggiungere la massima resa hanno bisogno di essere alimentati costantemente da un elevato quantitativo di rifiuti e ciò risponde al secondo quesito: un alto livello di raccolta differenziata non garantisce un adeguato rendimento dei termovalorizzatori, quindi i soggetti che sostengono questa soluzione non hanno alcun tornaconto a incentivare il riciclo.

Per inciso sarebbe anche ora di chiamare questi impianti termici con il loro nome, ovvero inceneritori, abbandonando il malvezzo nostrano di utilizzare un linguaggio di gomma per ammorbidire gli spigoli: di questo passo un giorno arriveremo a definire un truffatore come una persona “diversamente onesta”….

Scriveva Seneca un paio di migliaia di anni fa: “La fortuna è ciò che accade quando la preparazione incontra l’opportunità”. A ben vedere l’occasione è sotto i nostri occhi, dunque si apre la strada a una domanda retorica alla quale per ora non c’è risposta: quanto costa ai cittadini di questo Paese tollerare che questioni di tale portata siano affidate a persone inadeguate?