La Biblioteca che vorrei

Silenzio! E’ di scena la biblioteca

di Rossella Aprea

La biblioteca che vorrei: un luogo stimolante dove pensare, produrre e creare

“Mi attirava molto l’idea di lavorare in una biblioteca, un luogo dove la gente è costretta a  parlare sottovoce e solo quando è necessario”.   Questa aspirazione di tornare alla misura nei toni e  nei contenuti delle nostre parole, espressa con acuta  ironia da Peter Cameron, rispecchiava effettivamente la realtà di quei luoghi d’incontro intrisi di cultura, che erano e sono ancora oggi le biblioteche. Però, dopo oltre trenta anni di continue trasformazioni tecnologiche, sociali e culturali, le biblioteche del XXI secolo stanno abbandonando un po’ ovunque questa immagine austera, per lasciarsi plasmare dalle esigenze dei suoi frequentatori, o potenziali tali. Se questa trasformazione sia in meglio o in peggio, questo non spetta a noi dirlo, il mondo cambia, e con esso i bisogni, le relazioni, le conoscenze e ciò che appariva inaccettabile anche solo l’altro ieri, oggi diventa la normalità. Tutto evolve.

In molti casi per nostra fortuna, in altri con rammarico e rimpianto se evoluzione diventa sinonimo di scarsa qualità, di ignoranza, di pregiudizio. Ma il rammarico per la biblioteca intesa come uno spazio di silenzio perduto, anticamera ideale per l’incontro con il pensiero proprio a confronto con quello di altri, lascia il posto ad uno spazio dove vivere e creare, dove ha inizio un viaggio esperienziale, che coinvolge tutte le età e tutti i sensi: la vista, il tatto, l’udito, e perché no, anche il gusto. Tutto questo per creare le migliori condizioni perché la mente sia stimolata e si attivi a produrre, a riflettere, a creare, sfruttando tutto quello che la tecnologia, e non solo, può offrirgli a supporto.

In Italia le biblioteche in stallo tra responsabilità e disinteresse

Eppure in Italia questo tipo di biblioteca fatica ad emergere, mentre quella tradizionale resiste e cerca di sopravvivere pervicacemente al disinteresse delle élites istituzionali, alla scarsità dei mezzi economici, all’abbandono dei frequentatori, che più comodamente ormai da casa trovano sui motori di ricerca, in particolare su Google, informazione “usa e getta”, anche imperfetta, anche parziale, anche sbagliata, ma comoda e gratuita. Le biblioteche resistono, provando anche, con misura, ad introdurre le innovazioni, che, però, viaggiano su un treno in continuo e rapido movimento, ma perdono terreno. E’ una difesa disperata, anche un po’ insensata, ma per innovare ci vogliono coraggio, idee e soldi. A volte manca qualcuno di questi ingredienti fondamentali, a volte mancano tutti e tre. Responsabilità? Varie e di vari soggetti, in primis politiche e ultime, ma non ultime, tecnico-professionali. Sono corresponsabili di ciò sia gli uomini che detengono il potere politico, sia gli intellettuali, che ben poco fanno per sensibilizzare l’opinione pubblica e gli stessi bibliotecari, che ancora faticano a capire come ricollocare sé stessi e la propria professionalità in un mondo che cambia. Eppure cambiare si può e si “deve” per la cultura, per noi stessi e per il nostro futuro. Le biblioteche restano dei baluardi contro un’ignoranza troppo spessa incoraggiata da un mondo virtuale affascinante e rivoluzionario, ma che nasconde in sé anche molte insidie, delle quali i fruitori (almeno quelli italiani) sanno poco o nulla. All’estero le biblioteche si sono assunte il compito di fare “information literacy”, cioè educazione all’informazione: la quarta abilità ormai riconosciuta come indispensabile, dopo leggere, scrivere e far di conto, per vivere e lavorare nel mondo digitale. In Italia nessuno o quasi se ne occupa, anzi come problema non esiste neanche. Sembra che la capacità di sapere ricercare, selezionare ed usare l’informazione sia una qualità innata, che basti mettere sin dalla più tenera età un fanciullo davanti ad un computer e il gioco è fatto, diventerà un perfetto internauta.

Qualche esempio virtuoso: DOK, Anythink Libraries, “San Giorgio” e l’Idea Store

Guardando fuori dal nostro Paese possiamo subito comprendere quanto siano mutati spazi, funzioni e caratteristiche della biblioteca di oggi. La silenziosa sala di Cameron ha lasciato il posto ad ambienti dove ascoltare musica su sedie-iPod musicali con altoparlanti integrati, cercare libri e documenti su grandi schermi touch-screen, sfidare amici ai videogiochi o vedere film su megaschermi, prendere in prestito non solo libri, in qualunque formato, ma anche quadri per arredarsi la casa e fare un figurone in un’occasione speciale. Non è fantascienza, si tratta solo del Dok – Library concept center a Delft in Olanda, forse la più innovativa biblioteca al mondo, visitata ogni anno da 500mila persone.

Anche negli Stati Uniti non mancano esempi affascinanti per la nuova concezione degli spazi e degli obiettivi che si pone la biblioteca. In Colorado le Anythink Libraries si focalizzano sull’interazione tra le persone e l’informazione. Cercano di creare esperienze che sorprendano, illuminino e ispirino curiosità. Le biblioteche sono concepite e organizzate come catalizzatori per vivere una vita creativa. Le risorse sono dedicate più alle idee e alle persone che solo ai libri, e sono costruite, organizzando lo spazio per colmarne i bisogni: pensare, collaborare, parlare, inventare, cercare, trovare e produrre informazione. Gli spazi diventano flessibili per molteplici usi in contemporanea.

E in Italia?

Sicuramente all’avanguardia tra le biblioteche pubbliche c’è la biblioteca ‘San Giorgio’ di Pistoia, che ha sviluppato l’uso di ‘scorciatoie tecnologiche’ per facilitare le ricerche degli utenti. L’introduzione dei QRCode, ovvero “Quick Response Code”, codici a risposta rapida, consente di ricercare senza neanche dover digitare su un computer, perché i codici associati agli oggetti digitali possono essere letti dai telefonini di ultima generazione, quelli provvisti di telecamera e connessione a internet incorporata. Basta puntare il cellulare verso il codice e automaticamente si verrà collegati all’oggetto digitale desiderato – una pagina web con le informazioni volute, un file audio o video – senza rischio di fare errori di battitura e senza avventurarsi a forza di clic all’interno dei link. Così si potrà prenotare un libro, vedere il trailer di un film e persino attivare video-guide all’uso dei servizi e altri tutorial di auto-aiuto per l’utente che non conosce gli spazi. Queste ultime due iniziative sono ancora in fase di realizzazione, come allo studio vi sono altri progetti per rendere la biblioteca anche un luogo di educazione e al tempo stesso di intrattenimento.

Tanti altri piccoli esempi stanno affiorando, soprattutto a livello di biblioteche comunali, che riscoprono la biblioteca come centro di aggregazione, luogo dove incontrarsi e condividere le conoscenze, dove informarsi, ma non solo, e dove formarsi in varie discipline.

E c’è qualche idea che dall’estero potrebbe arrivare in Italia tramite il suo promotore, un italiano, Sergio Dogliani, che ha realizzato nell’East End di Londra, Idea Store, una biblioteca innovativa – oggi «brand» registrato -, nato come sistema di centri polivalenti aperti 7 giorni su 7, realizzati con uno stile attraente, utilizzando il linguaggio architettonico delle strutture commerciali. All’interno, libri, corsi di formazione (800 l’anno, per ogni esigenza: hobby, ricollocazione lavorativa, dallo yoga all’informatica, dall’inglese per stranieri all’italiano, alla grafica), mostre, incontri, opportunità per il tempo libero, spazi e attività per i bambini, in particolare nei periodi di chiusura delle scuole. Dogliani riscopre Torino, emigrato a Londra dalla sua città d’origine a 25 anni: «Ha aspettato che io me ne andassi per cambiare pelle. Allora, se la sera facevi una passeggiata in centro, trovavi il deserto. Adesso a qualsiasi ora senti un’energia incredibile…Ci terremmo molto a creare un Idea Store qui …L’Italia è un paese dove mi piacerebbe impegnarmi. Certo, Idea Store deve stare all’interno di una rete di servizi che necessita di supporto e volontà politica, che non sempre sono caratteristiche italiane. Però so di Fondazioni che potrebbero essere coinvolte: sarebbe un bel modo per creare risorse per la popolazione»

Se la qualità diventerà la strada del nostro futuro, potremo guardare all’estero con orgoglio, sapendo che avremo i nostri modelli innovativi da esportare, prodotti dalle nostre menti migliori che avranno scelto di rimanere nel proprio Paese perché ci sarà finalmente spazio per le idee, per la cultura e per le capacità.