Addio a un grande maestro dell’economia
La morte di Augusto Graziani, avvenuta ai primi di gennaio di quest’anno, ha segnato il tramonto di quel gruppo di grandi economisti italiani che, a partire dagli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, ha saputo associare l’interesse per la storia dell’analisi economica, la capacità di fornire contributi originali alla teoria economica, l’interpretazione dei problemi dell’economia italiana, l’impegno sul versante della politica economica e della politica.
1. In particolare, nel corso di più di cinquanta anni di lavoro scientifico, Augusto Graziani ha sempre intrecciato gli scritti di teoria e di storia dell’analisi economica con studi di economia applicata al caso italiano.
Prova ne sia che, mentre in uno dei suoi primi lavori teorici rilevanti Graziani si misurava con il modello di equilibrio economico generale di Walras (1965), al contempo egli incominciava ad affrontare i problemi propri all’economia meridionale come parte integrante del rapido ma squilibrato sviluppo economico italiano. Tale filone di riflessione empirica ha prodotto il volume Lo sviluppo di un’economia aperta (1969) ed è sfociato nella definizione di quel “modello di sviluppo” dell’economia italiana che ha dominato le discussioni sui punti di forza e sulle contraddizioni del nostro sistema economico per almeno trent’anni. Le svariate edizioni de L’economia italiana dal 1945 a oggi (a cura di A. Graziani, 1972, 1979 e 1989) e il volume a se stante, frutto dei ripetuti aggiornamenti della sempre più corposa introduzione a quel libro (cfr. A. Graziani, Lo sviluppo dell’economia italiana. Dalla ricostruzione alla moneta europea, 1998), hanno infatti rappresentato i testi di riferimento per la maggior parte dei corsi universitari di storia economica o di economia applicata, dedicati all’evoluzione dell’economia italiana nel secondo dopoguerra, e per il dibattito sulla rapida crescita e sulla successiva stagnazione del nostro sistema produttivo.
Un esame dettagliato del “modello di sviluppo” di Graziani spingerebbe a misurarsi con la sua posizione rispetto a passaggi cruciali della storia del nostro Paese nel secondo dopoguerra: dalla scelta di aprire ai mercati internazionali un’economia ancora fragile alle conseguenti distorsioni territoriali e produttive, dalle novità nel mercato del lavoro dei primi anni Sessanta e Settanta alle ristrutturazioni delle imprese, dalle linee di policy adottate negli anni Settanta al “divorzio” fra Tesoro e Banca d’Italia nei primi anni Ottanta, dal controverso ingresso dell’Italia nel Sistema monetario europeo (1979) alla crisi valutaria del 1992, dalla perdita di competitività del nostro Paese a causa di mancate o ritardate innovazioni organizzative agli aggiustamenti macroeconomici per assicurarsi l’ingresso nell’area dell’euro fin dalla sua costituzione (1998). Senza entrare nel merito della specifica interpretazione offerta da Graziani rispetto a temi tanto complessi, mi limito a sottolineare che l’autore mostra una straordinaria capacità di dar conto delle diverse posizioni presenti nei singoli dibattiti e di giustificare la sua lettura in basea una rigorosaricostruzione del processo generale di sviluppo dell’economia italiana.
2. Nella parte restante di questo ricordo di Augusto Graziani, che è stato uno dei due grandi maestri a cui devo la mia formazione da economista (l’altro è stato Claudio Napoleoni), faccio prevalere un dato personale e concentro l’attenzione sul suo contributo teorico. La fase più intensa del mio rapporto di collaborazione scientifica con Graziani si è svolta, infatti, fra il 1977 e il 1989 e ha soprattutto riguardato la sua individuazione di un filone originale di storia dell’analisi economica (dal Marx del secondo libro de Il Capitale al Keynes del Trattato della moneta, passando per Wicksell e Schumpeter)e la sua conseguente elaborazione del processo economico capitalistico come una sequenza di scambi di mercato, che si svolgono nel tempo storico e che plasmano le dinamiche e le diseguaglianze sociali. Tale rappresentazione del processo economico è nota come teoria del “circuito monetario”.
Fin da due scritti della seconda metà degli anni Settanta e – ancora più esplicitamente – in un saggio del 1982, Graziani sostiene che l’analisi marxiana del ciclo del capitale monetario, l’esposizione della teoria monetaria di Wicksell, la teoria del capitale e dello sviluppo economico di Schumpeter e le “equazioni fondamentali” di Keynes si fondano su una comune rappresentazione del processo economico capitalistico, caratterizzata da quattro elementi: (i) l’acquisto dei fattori di produzione precede la vendita dei beni prodotti mediante l’utilizzazione corrente di questi stessi fattori; (ii) tale acquisto va, quindi, finanziato mediante un’anticipazione monetaria; (iii) perché le cause non siano spiegate con gli effetti, l’anticipazione detta deve fare capo al settore bancario in quanto creatore di mezzi di pagamento; (iv) le decisioni di produzione dei beni di consumo e di investimento, realizzate grazie al credito bancario, non eliminano solitamente la disoccupazione e determinano la distribuzione del reddito. Sebbene sfoci in un equilibrio nei mercati del credito (restituzione dell’anticipazione bancaria) e del benefinale prodotto (eguaglianza fra domanda e offerta al prezzo di mercato), una simile rappresentazione sequenziale del processo economico (appunto il “circuito monetario”) non è compatibile con l’analisi dell’equilibrio generale. Essa implica, fra l’altro, che l’acquisto delle unità di lavoro e degli altri fattori produttivi è monopolio di chi ha accesso al finanziamento bancario; e che l’estinzione del conseguente debito è resa possibile dai ricavi derivanti dalla vendita dei beni di consumo prodotti nel periodo.
Questa semplice sequenza temporale degli scambi sui vari mercati porta a una contrapposizione fra gruppi sociali diversi (o, se si vuole, fra classi) e pone interrogativi teorici inusuali o controversi. La differenziazione sociale è definita dall’accesso al credito bancario: i capitalisti-imprenditori sono gli attori sociali che ottengono dalle banche il credito richiesto, mentre gli altri attori non hanno alcuna disponibilità (né diretta né indiretta) di somme monetarie e – quindi – possono soltanto cedere la loro capacità di lavoro e assumere il ruolo di lavoratori salariati. La concessione selettiva del credito condiziona, poi, il livello e la composizione della produzione e determina cosìsia il livello dell’occupazione (e il connesso tasso di disoccupazione), sia la distribuzione del reddito prodotto fra salari ‘reali’, profitti netti e interessi finanziari, sia il prezzo di mercato dei beni finali.Inoltre, essa pone in primo piano problemi teorici spesso trascurati o privi di una interpretazione condivisa: quali sono le modalità di immissione dei mezzi monetari nel processo economico; quali rapporti di cooperazione e di conflitto si instaurano fra le banche e i fruitori dei loro fondi (i potenziali capitalisti-imprenditori); su quale base gli stessi capitalisti-imprenditori decidono il livello desiderato di produzione; qual è il legame fra la quantità di moneta immessa nel sistema economico, il prezzo dei beni finali e la distribuzione del reddito prodotto?
3. Lo schema sequenziale di Augusto Graziani, noto come “circuito monetario”, non esamina le determinanti delle scelte e dei comportamenti dei diversi aggregati sociali (in tal senso, esso è simile allo schema sraffiano di Produzione di merci a mezzo di merci. Va peraltro notato che questa similitudine non cancella una visione molto diversa del processo economico). Esso non perviene, quindi, alla definizione di un modello teorico che sia in grado di fornire risposte analitiche esaustive e di giustificare specifici interventi di politica economica. Esso ha, tuttavia, il merito indiscusso di costruire una rappresentazione del processo economico che dà spazio e senso alle domande di fondo sopra elencate. Si tratta di un merito di importanzacruciale. Anche se possono apparire astratte, tali domande racchiudono infattila chiave per spiegare i condizionamenti e i malesseri della vita quotidiana di buona parte di noi in quanto appartenenti a uno specifico aggregato sociale; e giustificano, così,l’efficacia delle politiche monetarie e fiscali sia nel breve che nel lungo termine.
Il compito, che Augusto Graziani idealmente ci lascia in eredità, è quindi quello di irrobustire il suo schema del processo economico fino a trasformare questo schema in una teoria capace di fornire risposte analitiche a un insieme di quesiti aperti e di indicare le connesse linee di policy. Ritengo che, per raccogliere un testimone così impegnativo ma anche così promettente,sia necessario ‘contaminare’ la rappresentazione del processo economico come “circuito monetario” con alcuni recenti sviluppi della teoria economica in grado di spiegare i comportamenti dei vari attori economici e sociali. Tale opzione non sarebbe stata probabilmente condivisa dallo stesso Graziani. Essa rappresenta, quindi, il punto di partenza e non il punto di arrivo di una discussione che deve essere davvero aperta e che deve investire più piani di riflessione.