La sostenibile leggerezza di fisco e burocrazia

Varcare il confine conviene alle aziende del Nordest

di Rossella Rossini –

Una manciata di chilometri. Facili da superare per le sirene di Klagenfurt e di Lubiana che invitano le imprese del Friuli Venezia Giulia ad allungare il passo oltre confine.

Tasse e burocrazia. Sono i pilastri delle campagne promozionali studiate da apposite agenzie per attrarre capitali d’investimento in Carinzia, land austriaco contiguo alla regione nordestina, e nella Repubblica Slovena, adiacente a Trieste e a Gorizia. Capitali e aziende tentati dalla fuga, complice una crisi che ha reso più amaro il peso della pressione fiscale e dell’atavico malfunzionamento del Belpaese.

Aba Invest, agenzia di promozione degli investimenti esteri controllata dal ministero austriaco dell’Economia, ed Eak, agenzia regionale, promettono 7 giorni per costituire una società o per una concessione edilizia, 80 per l’avvio di una produzione industriale, capannoni disponibili a partire da 25 euro a mq, pressione fiscale al 20%, imposta secca del 25% sugli utili delle società (non esiste l’Irap), incentivi fino al 25% per investimenti produttivi e un premio del 10% in contanti sugli importi investiti in R&S, costi deducibili e detrazioni, rimborso automatico dell’Iva, approvvigionamenti energetici immediati e sicuri a costi minori, flessibilità del lavoro, libertà di licenziamento, con preavviso e sussidio di disoccupazione. Tutto questo in parchi industriali dotati di moderne infrastrutture e con assistenza gratuita per tutto l’iter dell’insediamento. Certo, l’Austria non è la Romania: la manodopera costa quanto o più che da noi, ma a fare la differenza è un intero sistema che funziona.

Fisco leggero, detrazioni e incentivi a fondo perduto offre anche la Slovenia, tramite l’ente di promozione Japti, arricchendo il piatto con manodopera qualificata a costi inferiori del 15% e una bolletta energetica che pesa 40 punti in meno della nostra.
Da “made in Italy” a “Made in Kartnen”, prodotto in Carinzia, o in Slovenia? “Le delocalizzazioni si sono avute nelle fasi espansive, soprattutto verso est, comprese Slovenia e Croazia, negli anni ’90 sui costi e dal 2003 al 2008 legate all’internazionalizzazione. Con la crisi il fenomeno è diventato residuale – dice Giovanni Fania, segretario generale Cisl del FriuliVenezia Giulia – anche se, di fronte alla perdita di competitività, molte aziende spostano pezzi di filiera allungandosi oltre confine. Le tentazioni ci sono, soprattutto per le imprese energivore come quelle che operano nella metallurgia e nella siderurgia”.

I numeri divergono. Secondo Eak le aziende italiane presenti in Carinzia sarebbero 80 per un totale di circa 800 posti di lavoro e ogni anno si valutano 150 progetti, comprese compartecipazioni societarie, uffici di vendita e di servizi . Per Aba Invest sono un migliaio le imprese italiane che hanno investito in Austria, crescono le manifestazioni d’interesse e nel 2012 le richieste di informazioni sono quasi raddoppiate: 470, erano 256 l’anno precedente e oggi Aba segue 103 progetti italiani, che vanno dall’apertura di bed and breakfast e piccoli esercizi al dettaglio, a filiali commerciali e ricerche di mercato. Diversi i dati dell’Ice, il nostro istituto per il commercio estero, nei cui elenchi (comprensivi di manifattura, commercio all’ingrosso e servizi escluso finanziari) in Austria risultano presenti con investimenti diretti 406 imprese italiane, per un totale di 8.898 addetti, di cui 234 con casa madre nel nord est. In Slovenia sono 218, con 4.681 addetti, di cui 147 con nordestine. Secondo Japti, in Slovenia di aziende italiane ne sarebbero arrivate 600, soprattutto dal Nord Est, tra cui la friulana Fantoni (mobili per ufficio e pannelli di fibra) che si è ampliata oltre confine acquisendo la Lesonit, portata tecnologicamente all’avanguardia con un investimento di 65 milioni di euro.

Nel complesso, i grandi nomi si contano sulle dita. In Carinzia, spiccano la Danieli di Buttrio (Udine), che ha insediato a Völkermarkt la Danieli Engineering&Service, grande centro logistico di servizio e vendita di ricambi per impianti siderurgici investendo 9,2 milioni di euro, e l’udinese Refrion (scambiatori di calore e altri componenti per la tecnologia del freddo) che, mantenendo la sede principale a Talmassons, nell’udinese, ha aperto uno stabilimento a Hermagor. Ma “le preoccupazioni ci sono – dice Fania – soprattutto per le piccole aziende contoterziste a rischio di sopravvivenza, per quanto un po’ ci rassicuri il fatto di avere un buon sistema impresa a sostegno dei distretti e un indotto improntato alla cultura della qualità. Ci vuole più attenzione da parte della Regione. Dal canto nostro, attraverso la Conferenza sindacale transfrontaliera lavoriamo con i colleghi dei sindacati di Austria, Slovenia e Croazia per contrastare fenomeni di dumping che nuocerebbero a tutti. Non è facile, in un’area dove in mezz’ora si è in un altro paese. In realtà è una grande area integrata e dunque il problema è anche di politiche e regole europee”.