La Via Emilia, ferita dal terremoto, riprende la marcia

L’Italia che ce la fa

Continuo a cercare, per continuare a capire la metamorfosi, territori resilienti, capaci di adattarsi al trauma del cambiamento, smart land e piattaforme produttive che intrecciano funzioni urbane e distretti produttivi in cambiamento e geocomunità di area vasta dove cambiano e si evolvono le comunità locali fatte di campanili, capannoni e il Comune, con il sindaco a cui si torna per ricercare uno spazio di posizione adatto al competere.

La via Emilia, la piattaforma emiliana che va dalla logistica di Piacenza fino a Bologna mi pare terreno fertile per i miei microcosmi. Nel 2011, dentro la crisi, rappresentanze del lavoro e delle imprese in mutamento e la Regione si impegnarono per un patto per la crescita intelligente, sostenibile, inclusiva. È di questi giorni il rappresentarsi in fiera, al Cersaie, di un distretto storico, quello ceramico di Sassuolo, che si evolve aprendosi agli investimenti stranieri, senza con questo perdere identità produttiva locale e anzi usando i flussi in entrata per aumentare i flussi in uscita.

Per il mutamento della comunità locale basta citare Novellara, che tiene assieme, nel profondo territorio agricolo, la confraternita dell’aceto balsamico con il più grande tempio Sikh d’Europa, un tempio indù e quattro moschee.

A proposito di resilienza a fronte di momenti traumatici, mi pare importante ragionare su come la piattaforma emiliana ha reagito al terremoto, al “terremoto industriale” che tra Modena e il Po, tra maggio e giugno di un anno fa, ha distrutto un tessuto produttivo ove si produceva il 2% del Pil italiano. Si è fatto della ricostruzione del cratere un territorio ove ricostruire pensando a una smart land vocata al sapere, alla green economy, mantenendo manifattura e made in Italy.

Le cifre – che stavolta di freddo hanno ben poco – raccontano di un’economia che non si è mai fermata. Nei mesi appena successivi al sisma i lavoratori in cassa integrazione guadagni a causa del terremoto erano 41.335, mentre oggi, dopo appena un anno e mezzo, sono poco più di duemila. Anche i soldi cominciano ad arrivare: a luglio erano 1.179 le ordinanze di pagamento emesse dai Comuni in relazione alle 3.372 domande di contributo a fondo perduto per la ricostruzione di abitazioni, per un totale di 100 milioni di euro; allo stesso modo, sono stati già emessi pagamenti alle imprese per 31,2 milioni su un totale di 140 milioni richiesti.
Non tornerà tutto come prima, tuttavia, né si può parlare di ricostruzione in senso stretto. Piuttosto, di un esperimento che ha coinvolto tutti, dalle istituzioni alle associazioni di rappresentanza, dalle banche alle imprese, dagli ordini professionali ai sindacati, fino ai cittadini.

Così, accanto alle multinazionali del biomedicale che sono rimaste sul territorio e alle piccole e medie imprese dell’indotto, è stato potenziato il ruolo degli istituti scolastici superiori Luosi e Galilei, che grazie al contributo del Comune di Torino, della stampa e del gruppo Bnp Paribas sono stati dotati di un laboratorio scientifico biomedicale aperto alla partecipazione di altre scuole del territorio.

Mirandola dopo il terremoto

A Mirandola è stata poi pianificata l’apertura di un Istituto tecnico superiore per le nuove tecnologie sulla vita, così come di uno specifico tecnopolo biomedicale che conterrà un laboratorio tecnologico, un laboratorio di biologia cellulare e un laboratorio chimico tossicologico. A tutto questo, peraltro, si aggiungono i 50 milioni di euro di contributi per la ricerca industriale che presto verranno messi a disposizione per le grandi come per le piccole e medie imprese.

Molto è ancora da fare, ovviamente, ma la fase dell’emergenza dei campi è finita e le scuole sono ormai tutte riaperte già nel settembre del 2012. Diverso è il discorso per il piccolo commercio, che attende quella ricostruzione dei centri storici che è la nuova grande priorità e che, in questi mesi, sta mostrando i primi risultati. A Reggiolo, ad esempio, ben trenta attività sono tornate dov’erano prima del sisma. Non solo: c’è da riqualificare il patrimonio edilizio, con la messa in sicurezza dei 487 edifici che hanno presentato domanda al bando Inail, che mette sul piatto quasi 80 milioni e che la Regione vuole ampliare, concedendo alle imprese il credito d’imposta. C’è da dialogare con le banche per il credito alle imprese e per la ristrutturazione dei debiti di quelle realtà private dal terremoto di commesse e redditività. In quest’ottica sono un’ottima notizia, i 44 milioni figli dell’accordo tra le Cna di Modena e Bologna e UniCredit, che ha offerto alle imprese la possibilità di presentare 130 progetti in Regione, permettendo loro di avere subito le risorse per farli partire, senza aspettare i tempi della burocrazia.

Soprattutto, occorre dotare il “cratere” – e più in generale tutto il territorio emiliano-romagnolo – di quelle reti lunghe da tempo richieste e necessarie per aprirsi e per competere nel nuovo scenario competitivo, dalla Cispadana, alla bretella Modena-Sassuolo, dalla E45 al passante di Bologna. Infrastrutture, queste, che si inseriscono in un’ancora più ampia e ambiziosa strategia: quella di riavvicinare il territorio al mondo, di renderlo attrattivo agli investimenti, per favorire e orientare gli investimenti verso la crescita e il consolidamento di una nuova smart land emiliana, che incorpora, riproduce, ibrida e diffonde i saperi, che intreccia la storia e le tradizioni con le visioni di futuro, che vuole fare del terziario avanzato ciò che rafforza la manifattura e non ciò che la sostituisce.

Nel “cratere” si sono stressati e messi al lavoro parole e concetti antichi come comunità, cittadinanza, condivisione, coesione sociale e il Comune dei Sindaci operosi. Coniugandole con le parole della metamorfosi: distretti in cambiamento, piattaforme produttive e geocomunità di sistemi territoriali che competono nella globalizzazione.

Tratto da “Microcosmi”, Il Sole 24 Ore, 29 settembre 2013