CGIL: c’è un risveglio sul lavoro della conoscenza?

La Consulta CGIL a consulto

Oggi e domani si svolgeranno a Roma i lavori della Consulta delle professioni della CGIL. Il maggior sindacato italiano, dopo decenni di letargo, ha ritenuto che la rappresentanza dei professionisti autonomi, con o senza Ordine, e del complesso mondo degli “atipici” e delle Partite Iva, rientrasse nei suoi compiti istituzionali. Preoccupato forse che questo mondo trovasse forme di rappresentanza libere da tutors politici in grado di porsi come interlocutori del governo e delle imprese.

Quale prezzo abbiano pagato milioni di lavoratori, soprattutto giovani, per questo prolungato ritardo, è ben conosciuto. Non è certo solo responsabilità della CGIL ma di tutti e tre i sindacati confederali se l’immagine del mondo del lavoro è stata falsata e ridotta solo all’universo del lavoro dipendente, a causa di questo letargo, non è solo responsabilità dei sindacati confederali ma dei governi degli ultimi venti anni se l’Italia si è riempita di forme di lavoro “atipiche” e “flessibili” che invece di garantire una piena occupazione ci hanno portato alla situazione catastrofica di oggi.

Pertanto è un bene se un sindacato si accorge di aver sbagliato e tenta di rimediare e di recuperare il terreno perduto tentando di inserire questa moltitudine di figure lavorative e professionali nel sistema contrattuale.

Però, in questa “marcia di avvicinamento” al mondo delle professioni e delle partite Iva, la CGIL, ed anche la CNA, hanno pensato bene di appoggiare le rivendicazioni di riconoscimento delle associazioni professionali portate avanti dal Colap, da Assoprofessioni ed altre sigle. E così ci sono state servite dal governo Monti le due leggi sulle professioni regolamentate e non, che di concreto alla nostra condizione di vita e di lavoro non hanno portato alcun vantaggio, alcun miglioramento. Anzi, riservando il riconoscimento alle organizzazioni di secondo livello, hanno tagliato fuori quelle come noi di ACTA.

Il che non sarebbe un gran male, non ci teniamo molto a sederci ai cosiddetti “tavoli” dove non si decide nulla. Noi chiediamo però a questi signori che intendono rappresentarci di poter vedere rapidamente qualcosa di concreto, che migliori la nostra situazione, sul piano previdenziale, sul piano sanitario, sul piano dei tempi di pagamento, sul piano della valorizzazione delle competenze, altrimenti nasce il sospetto che tutto questo “risveglio” sindacale sia la solita operazione di occupazione di un’area di mercato della rappresentanza per togliere il terreno sotto i piedi alle nuove forme di auto-organizzazione della categoria. Ci preoccupa il legame che vincola la CGIL al PD, un partito che con alcune sue azioni (sfascio del Monte dei Paschi, sostegno incondizionato alle Grandi Opere inutili o dannose, collusione con il berlusconismo ecc.) sta uscendo dall’area della “sinistra moderata” per entrare in quella dei partiti senza valori, interessati solo agli affari, succubi della finanza internazionale.

Basti pensare alla vicenda dell’IMU con la quale questo governo e le forze che lo sostengono hanno dimostrato di essere indifferenti alla crisi gravissima dei Comuni e quindi di disprezzare la democrazia che nasce dall’autogoverno locale. Basti pensare all’indifferenza con cui il PD guarda alle difficoltà in cui si dibatte la giunta Pisapia a Milano (probabilmente vero obbiettivo della richiesta di Berlusconi di ritirare l’IMU), senza capire che quello era stato un momento di svolta, da cui non tornare indietro.

In questi mesi la crisi della democrazia si è aggravata, ha subito un’accelerazione impressionante in Italia. Siamo entrati in una nuova dimensione. C’è da chiedersi allora se l’inserimento di tante figure del mondo lavorativo postfordista nel sistema contrattuale, dato di per sé positivo (anche se non dimentichiamo quanti contratti vergognosi i sindacati confederali hanno sottoscritto), sia sufficiente a cambiare le cose ed a migliorare la condizione dei lavoratori della conoscenza così a lungo trascurati e abbandonati a se stessi.

Occorre un salto di qualità, occorre un’azione massiccia, clamorosa, di rottura per riportare il tema del lavoro e in particolare del lavoro postfordista in primo piano. Per gridare che così non si può andare avanti, che gli oboli di stato per le start up non servono a invertire la tendenza che ci ha portati al 40% di disoccupazione giovanile. Dobbiamo occupare le piazze, a lungo, non con una manifestazione isolata, dobbiamo scuotere questo paese. E la CGIL, tra tutte le nuove rappresentanze del lavoro postfordista, è l’unica che avrebbe la forza di farlo.

Pubblicato con il titolo “La consulta Cgil a consulto” sul sito di Acta