Pari o dispari: l’Italia non è un paese per donne

di Rossella Aprea

C’è un film nelle sale in questi giorni “Come fa a far tutto?”, protagonista Sarah Jessica Parker, una commedia americana senza troppe pretese, che, però, mette in evidenza attraverso il sorriso e l’ironia come le donne abbiano difficoltà a conciliare vita familiare e lavoro, come possano essere discriminate nei posti di lavoro e per non essere penalizzate nel lavoro come rischino di far naufragare la famiglia e propri rapporti affettivi.

Il film si conclude, come si conviene allo stile classico della commedia americana, con il lieto fine, ma la realtà in Italia qual è?

In Italia un’anomala normalità

In Italia la disinformazione ha determinato un preoccupante lento adattamento alle discriminazioni e alle diseguaglianze tra uomini e donne, alimentando un senso di impotenza. L’insoddisfacente condizione femminile nel sistema Italia non stupisce più, viene accettata come una sorta di “anomala normalità” e il modello scandinavo sembra sempre più lontano, “roba dell’altro mondo”. Basterebbe la semplice osservazione dei dati del World Economic Forum (Wef) per acquisire la consapevolezza che nel nostro Paese lo sviluppo della condizione femminile non solo si è arrestato, ma è addirittura arretrato negli ultimi anni.

Penultimi in Europa e dietro al Malawi

Secondo quanto emerso dal Global Gender Report 2010 del World Economic Forum (Wef). che analizza i dati degli ultimi cinque anni sul divario di genere in 134 paesi, l’Italia si colloca al al penultimo posto in Europa per le pari opportunità tra uomini e donne. Tra l’altro rispetto ai precedenti rapporti pubblicati negli ultimi anni si è verificato un progressivo e preoccupante peggioramento della condizione femminile.

L’Italia è scesa dal 67esimo posto del 2008 al 74esimo del 2010, collocandosi dietro a numerosi paesi in via di sviluppo come Mozambico (22), Nicaragua (30), Botswana (62), Tanzania (66) Malawi (68) e Ghana (70), a molta distanza dai grandi Paesi occidentali.

I modelli nordici: roba di altri mondi

Trionfano i modelli nordici: Islanda, Norvegia, Finlandia e Svezia all’avanguardia nel settore, che hanno consolidato un modello sociale basato sulla quasi totale parità dei sessi. A seguire Nuova Zelanda (5), Irlanda (6), Danimarca (7), Lesotho (8), Filippine (9) e Svizzera (10). Tra le prime venti nazioni troviamo i grandi Paesi occidentali – Spagna, Germania, Inghilterra e USA -, con l’unica eccezione della Francia, che crolla dalla 18esima posizione del 2009 alla 46esima del 2010, causata sostanzialmente dalla forte diminuzione delle donne nel governo Sarkozy.

Quale gap in Italia tra uomini e donne?

Il gap tra uomini e donne si misura nell’accesso a opportunità lavorative e risorse economiche, culturali, sanitarie e politiche di ciascun Paese.

Se nel settore educativo in Italia l’accesso all’istruzione vede una presenza femminile ormai superiore a quella maschile dalle scuole primarie sino all’università (49esimo posto), nel settore lavorativo le opportunità per il gentil sesso rimangono ridotte (97esimo posto). Solo il 52% di donne è impegnato nel lavoro contro il 74% degli uomini. Per non parlare dei notevoli ostacoli alla carriera, all’accesso a ruoli di comando e ai differenti livelli salariali. Quest’ultimo un gap ancora rilevante per le donne italiane che guadagnano mediamente il 50% in meno degli uomini (95esima posizione).

In ambito politico, l’Italia si allinea a tanti altri paesi posizionandosi al 54esimo posto della classifica con una presenza delle donne in parlamento appena del 21%. Infine, relativamente al divario tra uomo e donna in termini di salute e di aspettative di vita occupiamo la 95esima posizione con un’aspettativa di vita per le donne di 76 anni contro i 73 degli uomini.

Donne dell’Europa

L’Europa ha adottato una nuova strategia quinquennale per la promozione della parità tra uomini e donne (2010-2015) nel settembre del 2010 per tradurre in azioni i principi definiti dalla Carta delle donne approvata all’inizio dello scorso anno. La Commissione europea ha individuato cinque priorità: la parità di indipendenza economica, la parità salariale, la parità nei posti di responsabilità, la lotta contro la violenza di genere e la promozione della parità all’esterno dell’Ue e si avviano alcuni programmi: Progress per l’occupazione e la solidarietà sociale, Daphne per la prevenzione e il contrasto alla violenza sulle donne. E in Italia le quote rosa non rappresentano un’altra forma di discriminazione, mortificando i meriti delle donne?