Tempo fa in un articolo, rifacendomi alla metafora del poeta tunisino Moncef Marzouki, sostenevo l’importanza di seminare. Anche quando il terreno è arido e tutto intorno è deserto. Ne vale la pena, ancor più quando la pioggia non arriva a nutrirlo, anche se continuare a seminare in questo modo inevitabilmente diventa una missione difficile, quasi incomprensibile. Per i più, inutile. Eppure chi potrà mai credere che sarà proprio quel lavoro silenzioso, “inutile”, apparentemente sprecato, che permetterà alla pioggia, quando arriverà, di trasformare il paesaggio, facendolo rifiorire? Pochi.
In questo Paese stiamo ancora aspettando la pioggia, sempre più assetati, sempre più avviliti, sempre di meno a credere che gettare semi su campi arsi e sterili, possa servire, possa dare e avere un senso. Ma seminare nel deserto è forse l’unico gesto “insensato”, carico di futuro. Per questo mi domando quanti di noi abbiano colto che le convinzioni e le azioni espresse nell’articolo di Renzo Piano, pubblicato su Il Sole 24 ore nello scorso mese di gennaio, costituivano nel loro complesso uno di quei meravigliosi semi, apparentemente sterili, che, invece, non aspettano altro che un’abbondante acquazzone per germogliare.
Qualche goccia è caduta su quel terreno giorni fa, quando l’idea esposta da Renzo Piano a gennaio sul “rammendo delle periferie” inaspettatamente, anche per lo stesso autore, è stata ripresa e sottoposta alla riflessione dei ragazzi proprio all’esame di maturità.
E Renzo Piano, felice, quasi a voler propiziare un ulteriore intervento di Giove Pluvio o di qualsiasi altra divinità in grado di fornire linfa vitale, ha risposto con un altro articolo che rappresenta un inno alla speranza, al futuro dei giovani e dell’Italia e in cui ha sollevato in alto il vessillo della cultura, solo in nome e in forza della quale potremo guardare lontano.
Il progetto del senatore a vita, Renzo Piano, tutto incentrato sulle periferie e sul sogno di ricostruirle è forse la metafora più appropriata per rappresentare il nostro Paese. Rammendare le periferie per rammendare l’Italia. Si rammenda ciò che si è strappato, che si è malamente lacerato, che si è logorato, ma che si vuole e si può ancora riparare. La scelta di questo termine esprime e sintetizza nella maniera più piena e complessa, da un lato, ciò che è successo e lo stato in cui versano le nostre periferie e il nostro Paese e, dall’altro, ciò che sarà necessario fare, per riprenderne e riallacciarne i fili, magari ricostituendoli con un filo identico, in modo che i guasti non si vedano o si notino il meno possibile.
Ma l’idea di ripartire dalle città, dalle aree più degradate dei nostri spazi di vita, dalle periferie, per infondervi bellezza e qualità ha un valore che incide profondamente sulla dignità dell’uomo. E nel frastuono degli scandali, anche quelli sempre più macroscopici delle ultime settimane, della corruzione, del degrado sociale, morale e urbano in cui siamo immersi, questa idea risuona come una musica, che risveglia in noi speranza, e che evidentemente qualcuno ha voluto rilanciare, far risuonare, invitando i giovani a lasciar risvegliare le proprie coscienze e a riflettervi.
«Siamo un Paese straordinario e bellissimo, ma allo stesso tempo molto fragile. È fragile il paesaggio e sono fragili le città, in particolare le periferie dove nessuno ha speso tempo e denaro per far manutenzione. Ma sono proprio le periferie la città del futuro, quella dove si concentra l’energia umana e quella che lasceremo in eredità ai nostri figli. C’è bisogno di una gigantesca opera di rammendo e ci vogliono delle idee. […] Le periferie sono la città del futuro, non fotogeniche d’accordo, anzi spesso un deserto o un dormitorio, ma ricche di umanità e quindi il destino delle città sono le periferie. […] Spesso alla parola “periferia” si associa il termine degrado. Mi chiedo: questo vogliamo lasciare in eredità? Le periferie sono la grande scommessa urbana dei prossimi decenni. Diventeranno o no pezzi di città?»
Renzo PIANO, Il rammendo delle periferie, “Il Sole 24 ORE” del 26 gennaio 2014
Nei suoi due articoli, Renzo Piano usa parole che esprimono la forza di una passione civica, che deve rinascere nei cittadini e animarli. Bisogna tornare a prendersi cura di ciò che è comune, considerandolo anche un bene proprio, salvandolo dall’incuria, dal menefreghismo, dal degrado e dalla voracità del potere e dell’interesse personale. Bisogna tornare a sentire che ancora di ciò che è comune “ci importa”, “ci sta a cuore” come fosse nostro. Perché è nostro!
Sono due i cardini su cui si basa la riflessione di Renzo Piano: il concetto di rammendo e il valore delle idee.
Bisogna rimediare ai guasti che sono stati fatti al territorio e alle coscienze. E’ un’operazione delicata, complessa, che può essere affidata solo al lavoro di validi artigiani. Occorre una sapiente consapevolezza. Solo mani esperte possono “rammendare”, cioè riprendere e riallacciare i fili del nostro passato e del nostro presente, in modo che i guasti non si vedano o si notino il meno possibile. Altrimenti il rammendo sarà più evidente e più grave del danno. Usare questo termine esprime anche la volontà consapevole di richiamarsi alle qualità e abilità di un’Italia in cui il lavoro artigianale, fatto di conoscenze ed esperienze tramandate e continuamente rinnovate, era una risorsa preziosa, che non andava persa.
Per il nostro Paese il messaggio di Renzo Piano è, dunque, un richiamo alla partecipazione consapevole e qualificata, all’impegno vigile e competente, alla forza trascinante che possono avere le idee, quando sono buone e spesso traggono la loro ispirazione dalla tradizione. I cittadini con capacità e senso civico sono, perciò, chiamati a partecipare a questa complicatissima e immensa operazione di “ricucitura” degli spazi (reali e morali) lasciati vuoti e degradati, del patrimonio culturale ed artistico abbandonato e dimenticato.
Siamo chiamati a ricomporre il tessuto sociale ed economico del Paese, partendo da un intervento radicale e profondo, che inizia dalle coscienze e trova la sua forza nelle nostre radici. E’ questo il richiamo che alcuni anni fa ci ha portati, ideando LIB21, ad affrontare una sfida ambiziosa e avvincente: riflettere, lavorare e impegnarsi per questo laboratorio di idee, consapevoli dei costi enormi che avremmo pagato in termini di energia, di tempo e danaro, e anche di relativa solitudine. Una solitudine apparente però, perché, in realtà, abbiamo incontrato sul nostro cammino altri cittadini, animati dallo stesso spirito e impegnati come noi in altrettanti progetti ambiziosi. Abbiamo trovato cittadini generosamente impegnati, spesso nel disinteresse di autorità pubbliche distratte e assenti, a “rammendare” un edificio o uno spazio pubblico per sottrarli al degrado o, più spesso, alla speculazione edilizia. Per noi scrivere, studiare, riflettere, organizzare iniziative, incontrare persone e farci raccontare le loro storie significa contribuire, nel limite delle nostre possibilità, al “rammendo” delle coscienze, significa provare a ritrovare e recuperare alla memoria collettiva tutti quei fili (idee e personalità) che nel passato si erano lacerati e persi nelle pieghe del disinteresse dei menefreghisti e del più bieco cinismo dei corrotti. Ma significa anche riuscire a far emergere tutti quei fili nuovi, vitali, che intrecciati (anche con quelli del passato), possano tornare a creare una trama per disegnare un nostro futuro migliore. Accogliamo, dunque, l’invito di Renzo Piano. “Rammendiamo” l’Italia! E’ una sfida, l’unica, per cui valga la pena di impegnarsi e che non possiamo permetterci di perdere. Il futuro è nelle nostre mani, ora più che mai.