Il libro: un’esperienza che ci trasforma

El Castillo/The Castel di Jorge Méndez Blake

Il libro può essere come un padre, come un maestro, come un incontro che ci trasferisce delle verità a noi prima sconosciute, che ci dà delle risposte, che ci pone delle domande, che ci offre una traccia o un percorso da seguire, che ci insegna a distinguere tra bene e male, che ci turba e ci interroga, che ci apre alla vita, che taglia lo scorrere ordinario del tempo.

Un libro può essere, dunque, forte, impressivo, anche se discreto e silenzioso, come una testimonianza, così come dovrebbe esserlo un padre o un maestro, quando lo si incontra. Chiunque, insomma, incontriamo che sia capace di trasformare la nostra vita per la sua capacità di aprirci ad essa attraverso la propria vita, attraverso la propria sola testimonianza. Assistiamo al film dell’esistenza dell’Altro che scorre dinanzi ai nostri occhi senza che ci venga chiesto nulla, nè di imitarla, nè di riprodurla, nè di prenderla ad esempio. Nulla. Il maestro, il padre, l’amico, l’Altro semplicemente vive davanti ai nostri occhi, scegliendo secondo un proprio codice morale come vivere, affrontando ogni giorno ciò che la vita gli propone, ciò che gli accade. Non vi è in lui alcuna pretesa di insegnare, nè di possedere la verità dell’esistenza, eppure come ogni incontro di amore offre alla nostra vita la possibilità di assumere una nuova forma, sottraendola alla sterile ripetizione dell’uguale a se stesso.
L’esempio è sempre discreto, silenzioso, modesto, mai urlato o esibito, tanto meno imposto. Lo stesso potremmo dire per un libro. A meno che non ci venga imposto di leggerlo. Siamo noi che scegliamo di prenderlo, di aprirlo, di sfogliarlo e di lasciarci guidare, che ci disponiamo ad ascoltarlo, ad accoglierlo. Altrimenti il libro resta lì sul tavolo, sullo scaffale o sul tablet (come preferite), discreto, silenzioso, muto, inutile perché inutilizzato. Aspetta. Ci aspetta per giorni, mesi e anni, fin quando un giorno, quel giorno decideremo di guardarlo, come si decide di “guardare” davvero le persone che incontriamo, di conoscerlo, di scoprirlo. Il libro ci spiega Massimo Recalcati nella sua ultima pubblicazione “A libro aperto. Una vita è i suoi libri” è anche un taglio, come quello inferto da un coltello, “un taglio che separa un prima da un poi”, “uno spartiacque nel cammino di una vita”. Il libro non chiude come un muro, non separa, ma apre, spalanca mondi nuovi, inimmaginabili, contamina la nostra vita con quella di infiniti altri libri, con altre vite, le vite di altri. E’, dunque, sempre rinnovamento e movimento. “E’ la lezione del mare contro quella di ogni recinto segregativo”. Nella lettura del libro dobbiamo perdere di continuo la nostra identità prima di ricostituirla.
Dunque, ancor di più oggi, nella confusione, nello spaesamento e nell’isolamento di quest’era tecnologica, globalizzata, postmoderna in cui viviamo, il libro non è un oggetto morto, ma vivo e vitale. E’ un maestro, un amico, un salvagente, un prezioso relitto che può portarci in salvo, può trasformarci, aiutandoci a trovare la nostra strada nel frastuono di un mondo afflitto dalla velocità e dal “presentismo”. Il libro ci obbliga a “trovare il tempo”, che ci sembra di non avere più e che, invece, esiste se noi gli riconosciamo e gli diamo un valore. Il libro ci trasforma, ci apre al nuovo, al diverso, come diceva Michel Foucault, muta ciò che pensiamo, ci “strappa” a noi stessi, impedendoci di essere sempre gli stessi. “Abbiamo bisogno di libri capaci di incrinare i muri e somigliare al mare” (1).

Capiterà a volte che qualche frase sembri quasi staccarsi dal foglio per risuonare come un diapason dentro di noi, consentendo di accordare gli strumenti che sono in noi. La forza trasformatrice di un libro perdura, ogni volta che ci accosteremo a lui ne saremo nuovamente trasformati, scoprendo note nuove, accordi diversi. La forza di un libro è nella vita che lo percorre. Ogni vero libro è un libro sempre vivo. La sua grande lezione è nella “bellezza dell’apertura”, ci aiuta a rinunciare alla “tentazione del muro”. Foucault lo esprime con estrema chiarezza “un libro lo si legge come un’esperienza che cambia, impedisce di essere sempre gli stessi o di avere con le cose, con gli altri il medesimo tipo di rapporto che si aveva prima della lettura. Questo mi dimostra che nel libro si esprime un’esperienza ben più estesa nella mia. Esso non ha fatto che inscriversi in qualcosa che era effettivamente in corso; potremo dire il mutamento dell’uomo contemporaneo in relazione all’idea che ha di sè. D’altra parte, il libro ha anche lavorato per questa trasformazione, ne è stato, magari in piccola parte, un agente”(2). Quando il libro si rivela un incontro sprigiona una forza imprevista, che come dice Barthes “mi trafigge”, assorbendomi, riesce a leggermi, consentendomi di imparare chi sono dal libro che leggo, perchè, come dice Recalcati, “noi stessi in fondo siamo un libro che attende di essere letto”. Così vedo attraverso il libro come in uno specchio frammenti di me che non avevo mai visto prima.

(1) Massimo Recalcati, A libro aperto. Una vita è i suoi libri, Feltrinelli Editore, Milano 2018
(2) D. Trombadori, Colloqui con Foucault. Pensieri, opere, omissioni dell’ultimo maitre-à-penser, Castelvecchi, Roma 1999.