Per una nuova agenda politica
Mentre ancora infuriano, almeno nel nostro paese, le polemiche intorno al cambiamento delle norme che regolano il mercato del lavoro, può essere utile gettare uno sguardo alle tendenze che si stanno delineando nel mercato del lavoro, prima di tutto statunitense, e che potrebbero dirci qualcosa sul mondo del lavoro in cui ci ritroveremo fra non molto.
La prima tendenza che è dato riconoscere e che, in parte, è già sotto i nostri occhi è quella di una crescente polarizzazione del mercato del lavoro, da cui stanno progressivamente scomparendo le posizioni intermedie. Il motore di questa trasformazione è, come sempre, il cambiamento tecnologico e, in questo caso, lo sviluppo impressionante della robotica e dell’automazione accompagnato da quello dell’intelligenza artificiale. C’è già chi vorrebbe parlare di terza rivoluzione industriale e già si immaginano fabbriche in cui ci saranno un migliaio di robot e uno o due persone a sorvegliarli. Foxconn, la multinazionale cinese che è la più grande produttrice mondiale di componenti elettrici ed elettromnici e che produce gli iPhone, progetta di già ora di rimpiazzare, nel giro di un decennio, la gran parte dei suoi dipendenti con 1,2 milioni di robot. Fatto sta che già oggi, negli Stati Uniti, gli unici che hanno speranza di trovare un lavoro e una retribuzione soddisfacenti sono quelli che possiedono una professionalità tecnica e una buona dimestichezza con le macchine. Tyler Cowen, professore di economia alla George Mason University e autore di un libro sul nuovo mercato del lavoro significativamente intitolato Average is Over, la media non c’è più, si spinge fino a sostenere che sul mercato del lavoro che verrà hanno un futuro sicuro e di successo solo coloro che sono in grado di interagire e di cooperare con le macchine intelligenti. Per gli altri ci saranno solo posti a bassa retribuzione nelle occupazioni residue che richiedono l’applicazione della forza bruta o nel settore in crescita dei servizi diretti e indiretti alla persona, anche se non è certo che il settore dei servizi possano continuare ad assorbire i lavoratori espulsi da altre attività, perché anche qui, prima o poi, si affacceranno le macchine intelligenti. Le meraviglie sfornate dalle industrie contemporanee, gli appartamenti nelle zone pregiate delle città, un tenore di vita elevato, saranno accessibili solo ai primi. Gli altri si dovranno accontentare di sopravvivere in qualcosa di molto simile alle riserve indiane, ai margini delle città e del progresso, in appartamenti appena sufficienti, con una dotazione di beni e servizi ridotta al minimo indispensabile. Quello che è certo è che si assottiglierà progressivamente quello che finora ha caratterizzato la società americano, il grande corpaccio del ceto medio. La disuguaglianza economica, che già oggi è a livelli che appaiono insostenibili, continuerà ad aumentare, anche se, magari, si amplierà di un po’ l’area di quelli che si collocano ai vertici della scala salariale.
I progressi tecnologici recenti – afferma Nouriel Roubini, l’economista americano cui si attribuisce il merito di essere stato tra i pochissimi a prevedere la crisi del 2007-2008 – presentano tre tendenze: tendono a essere capital-intensive (favorendo coloro che già hanno risorse finanziarie); skill-intensive (favorendo coloro che già possiedono un’elevata competenza tecnica) e labor-saving (riducendo il numero totale dei lavori qualificati e semi-qualificati nell’economia). Il rischio è che la robotica e l’automazione rimpiazzeranno le tute blu prima che la polvere della Terza rivoluzione industriale si posi”.
Gli esempi sono numerosi e impressionanti. Corsi online sempre più sofisticati e a buon mercato per milioni di studenti potranno sostituire progressivamente buona parte degli attuali insegnanti. Nel giro di non molti anni, sulle nostre strade potranno circolare auto senza conducente, già oggi in fase di sperimentazione, bruciando, anche qui, un considerevole numero di posti di lavoro. Non è lontano il tempo in cui macchine intelligenti dotate di enormi memorie e sofisticatissimi software si occuperanno di diagnostica medica, con effetti facilmente intuibili sui destini della professione medica.
L’unica consolazione, come sottolinea ancora Roubini, è che non è la prima volta che ci troviamo a fare i conti con problemi di questo genere. Già alla fine dell’ottocento e agli inizi abbiamo dovuto affrontare i guasti e i problemi prodotti dalla rivoluzione industriale. Malgrado tutto, ne siamo usciti con un miglioramento delle condizioni umane della maggior parte della società e con una maggiore protezione dell’infanzia, del lavoro, della salute.
Un’altra tendenza, sulla quale è ancora difficile esprimersi, è quella che si manifesta negli andamenti del mercato del lavoro che, almeno in un certo numero di paesi, tra cui certamente l’Italia, segnalano una continua perdita di posti di lavoro. L’interrogativo di fondo è se la polarizzazione del mercato del lavoro, che appare al momento irreversibile, avverrà a somma zero (a somma positiva sembra utopistico pensarlo) oppure a somma negativa ovvero con una riduzione degli occupati. Gli elevati tassi di disoccupazione che si vedono in giro potrebbero anche essere, per così dire, “disturbi della crescita” ovvero inconvenienti che, per quanto gravi dal punto di vista sociale, hanno tuttavia carattere transitorio e scompariranno non appena l’economia si sia adattata al nuovo contesto tecnologico. Ciò non toglie che i governi debbano comunque attrezzarsi per dare una risposta a questi fenomeni, sia nel breve che, eventualmente nel lungo periodo. Due sono le cose che, prima di tutto e anche a prescindere da tutto, i governi dovrebbero intraprendere con decisione. Da un lato, un investimento massiccio nell’istruzione diretto a colmare, quanto più possibile, il gap conoscitivo e cognitivo che si sta manifestando in quasi tutte le nostre società rispetto alle sfide poste dal nuovo ambiente tecnologico disegnato dall’applicazione estesa dell’informatica. Dall’altro lato, occorre rimettere al centro dell’agenda politica la prospettiva di una sostanziale ridistribuzione del reddito e della ricchezza che consenta alle nostre società di ritrovare le basi materiali della loro coesione. La ridistribuzione, come la storia insegna, è un’impresa difficile, esposta a una quantità di rischi che ne possono addirittura snaturare le finalità, ma una società degna di questo nome non può esimersi dall’affrontare politicamente il problema.