Ripartire dal territorio

Per cambiare modello di sviluppo

di Luigi Della Luna Maggio –
Ripartire dal territorio è una evidente necessità dei nostri giorni. Probabilmente, nel vortice di una crisi economica che destruttura il mercato del lavoro, mette in ginocchio migliaia di imprese e polverizza il tessuto sociale delle democrazie occidentali, il territorio rappresenta la dimensione ideale da cui ripartire e da cui lanciare una nuova sfida, politica e culturale, all’individualismo neoliberale.

Che il territorio possa essere la cornice entro cui costruire un nuovo modello di sviluppo, non solo economico, ne è ben consapevole la politica. Basti pensare ai continui proclami dei leader di partito che rispolverano, dopo decenni, la struttura capillare e “militante” del partito sul territorio per riconquistare gli elettori delusi e scontenti da una certa politica “affaristica”. Aprire nuove sezioni, selezionare la classe dirigente del partito dal basso, interpretare e fornire risposte ai problemi del territorio, sembrano i punti centrali su cui costruire un nuovo rapporto tra cittadini e politica.

Non basteranno certo queste intenzioni. Sarà necessaria, infatti, una ben maggiore consapevolezza delle risorse che i territori sono in grado di esprimere. Prima di tutto, è opportuno che i territori, in quanto luoghi potenzialmente capaci di generare cultura, prospettive di crescita economica e coesione sociale, siano connessi alle dinamiche dei processi globali. In questo senso, i territori potranno essere in grado di creare una nuova e più affidabile forma di comunità di cittadini fondata sui principi della cooperazione e della sussidiarietà. La crisi economica in corso ha messo a nudo le debolezze di un modello di sviluppo di tipo gerarchico che ha svuotato di significato i principi della solidarietà intergenerazionale e il “lavoro” quale strumento di crescita e sviluppo del Paese.

Eppure, dai territori è possibile ricomporre le fila di una nuova politica industriale che ponga la priorità del recupero delle aree industriali e dei territori da bonificare. Si tratta di un’emergenza prioritaria su cui è necessario uno sforzo collettivo tra le forze sociali e politiche (il Governo, in primo luogo) per restituire dignità ai luoghi abbandonati. Sono circa 15 mila in Italia i siti e le aree industriali abbandonate. Un numero impressionante che rischia di aumentare a causa della recessione economica (sono i numeri lanciati recentemente a Milano al Convegno “Rifiuti 2013: riqualificazione aree dismesse e rischio sito” organizzato da MGP Comunicazione e patrocinato dal Ministero dell’Ambiente e dalla Provincia di Milano. Bagnoli e Taranto sono probabilmente i casi più eclatanti di una gestione del territorio autoreferenziale, che non ha saputo innescare autentiche dinamiche di sviluppo economico e coesione sociale. Anzi, probabilmente, gli effetti più disastrosi della politica industriale italiana sono stati quelli di aver disintegrato le forme di cooperazione e mutuo soccorso e rinforzato la matrice dell’individualismo della cultura neoliberale.

Ripartire dal territorio significa, quindi, ripensare ad un nuovo modello di sviluppo che sappia far emergere la figura del consumatore quale attore centrale nel processo di crescita. Sono diversi gli ambiti nei quali una simile operazione sarebbe possibile: dalla gestione dei rifiuti, al recupero delle aree dismesse, anche nel senso di recupero degli spazi urbani sottratti alla collettività e all’interesse sociale; dalla bonifica dei terreni, nei quali per decenni sono stati sversati rifiuti pericolosi, e ciò al fine di generare nuova occupazione nell’agricoltura, ad un modello bancario di tipo locale attento alle logiche e alle dinamiche di crescita economica del territorio. Quest’ultimo è un elemento su cui ritengo sia necessaria una particolare attenzione. L’esperienza tedesca ci insegna, infatti, come i territori siano stati al centro dei flussi commerciali delle banche locali le quali, attente a raccogliere il risparmio dei cittadini sul territorio, sono state in grado di sperimentare e attivare un ciclo virtuoso di crescita economica e sviluppo locale.

Per restituire centralità al territorio è necessario, però, un riordino sostanziale della normativa e, in particolare, un nuovo assetto ed equilibrio tra i poteri dei Comuni, delle Province e delle Regioni (il caso della gestione dei rifiuti in Campania dimostra, ad esempio, quanto sia opportuno un simile intervento). Una più efficiente e matura legislazione in grado di far emergere le potenzialità dei territori (intervenendo, ad esempio, nuovamente sul Titolo V della Costituzione) in termini non solo di crescita economica ma anche di coesione e sicurezza sociale.