La medicina tradizionale non riesce a risolvere tutto

di Rossella Aprea

E’ più importante sapere quale tipo di persona ha una malattia che sapere quale tipo di malattia ha una persona (Ippocrate)

Perché si parla, sempre di più oggi, di medicina “olistica”, “integrata”, “complementare”, in sostanza di medicine alternative rispetto alla medicina ufficiale? Perché la medicina tradizionale non riesce a risolvere tutto. Questo ormai lo ammettono anche alcuni medici. La situazione è complessa, anche perché non si dispone di una lista ufficiale di tutte le pratiche che potrebbero essere comprese sotto questa definizione. Alcune sono note da tempo – agopuntura, omeopatia, chiropratica, erbe medicinali, ipnosi, massaggi. Altre se ne sono aggiunte – ayurveda, aromatoterapia, reiki etc.

Il successo di queste pratiche non si basa su fatti scientifici, incontrovertibili o su dati statistici, ma essenzialmente sull’idea di connessione tra mente e corpo, di miglioramento del contesto, dell’ambiente in cui vive il paziente e della capacità del corpo di guarire se stesso.

E’ pur vero che la ricerca scientifica condotta su questi trattamenti ha dimostrato che essi hanno solo un effetto placebo, eppure le persone che li praticano, che vi si sottopongono dichiarano inspiegabilmente di sentirsi meglio. Questo sta favorendo la diffusione di centri di ricerca medica integrata, in particolar modo negli Stati Uniti, molti dei quali collegati a importanti istituzioni universitarie. Con il termine integrata s’intende proprio la combinazione delle pratiche alternative con la medicina ufficiale. In effetti quest’ultima si preoccupa sostanzialmente di fornire al paziente una diagnosi e una terapia per la sua patologia. La sua funzione finisce lì, invece è da lì che tutto ha inizio, perché conta molto anche il contesto, l’ambiente in cui il paziente vive.

L’esperienza della malattia un fatto unico per ogni essere umano

Una certa apertura della comunità medica nei confronti delle medicine alternative si può spiegare proprio con il fatto che la medicina tradizionale, come dicevamo, non riesce a risolvere tutti i problemi. Ci sono molteplici altri aspetti dell’esperienza umana che il metodo scientifico non è in grado di rappresentare e che rendono, invece, l’esperienza della malattia un fatto unico per ogni essere umano. Se teniamo conto che la medicina moderna è nata per contrastare le malattie infettive, estremamente diffuse e causa di elevati tassi di mortalità, si comprende come l’obiettivo del mondo medico fino ad oggi sia stato quello di individuare medicine che agissero sugli agenti infettivi per combatterli. Così la formazione dei medici, gli ospedali, l’industria farmaceutica e le assicurazioni sanitarie sono tutte state pensate in base a questo modello. Oggi, però esistono altre patologie, che non riescono ad essere sconfitte dalla medicina tradizionale: le malattie croniche, di tipo complesso (cardiopatie, cancro, diabete, Alzhaimer, obesità, etc.) le cui origini non sono chiare e che imporrebbero di rivedere il modo di contrastarle, mentre, invece, i medici continuano ad attendere di poter individuare dei sintomi, per poi prescrivere le loro terapie, che in molti casi riescono solo a garantire qualche mese di vita in più al paziente, a fronte, però, di una significativa perdita di qualità della vita.

Il benessere deriva dallo stile di vita

La comunità medica concorda su quale possa essere il modo migliore per affrontare le malattie complesse: prevenire e ritardare l’inizio della malattia. Come? Intervenendo sul proprio stile di vita. Una dieta sana, una maggior esercizio fisico e un meno elevato livello di stress sono fondamentali. In particolare lo stress è considerato il principale responsabile dei danni al sistema immunitario. Come si possono indurre i pazienti a cambiare e adottare un migliore stile di vita? Ricoprendoli di attenzione. In una parola: una migliore relazione medico-paziente, in cui il fattore tempo gioca un ruolo essenziale. Visite più lunghe e più frequenti, più attenzione per tutto quello che accade nella loro vita, più impegno per placare le ansie, incoraggiare comportamenti sani, convincere i pazienti ad assumersi la responsabilità del loro benessere, e più tentativi concertati per infondere speranza. Questo è alla base delle pratiche alternative, che sono, però anche oggetto di business discutibili o addirittura di truffe, per cui l’attenzione è d’obbligo. Ma non è tutto oro quello che luce neanche nella medicina tradizionale. Come riferisce l’articolo di David H. Freeman pubblicato su The Atlantic un paio di mesi fa secondo una stima dell’industria farmaceutica il 70% dei pazienti non riceve alcun beneficio dai farmaci e secondo un altro studio l’85% delle medicine che arrivano sul mercato non sarebbero di quasi nessuna utilità per il paziente. Pertanto, prudenza nella scelta dei medici (sia tradizionali che non), uso contenuto dei farmaci, ricorso a pratiche alternative che possano determinare un cambiamento di stile di vita non solo per favorire la guarigione, ma spesso per prevenire certe forme patologiche, tutto per aumentare la capacità del corpo di non ammalarsi o guarire se stesso. Nessuna pratica tradizionale o alternativa è esente da rischi, limiti e inadeguatezze, ma il recupero di una visione unitaria dell’individuo e della sua unicità sono sicuramente un concetto importante che l’eccessiva specializzazione a cui si è giunti nella medicina tradizionale sembrava ormai definitivamente e pericolosamente perduto. Riuscire a combinare i due sistemi perché da entrambi si possa trarre il meglio per il paziente, questa forse è la strada che dovrà seguire la medicina in futuro.