Qualità della vita in Italia

Com’è mediocre la vita nel Belpaese

di Lapo Berti

L’Italia ai più bassi livelli dell’Occidente per reddito e non solo…

Ci mancava solo il nuovo indice dell’OCSE, il BLI (Better Life Index), per certificare, ancora una volta che le cose in Italia non vanno per il verso giusto.
Dopo anni di studi e messe a punto, l’OCSE, rispondendo all’esigenza sempre più avvertita, di disporre di criteri più raffinati del vecchio e vituperato PIL per valutare lo stato di benessere di un paese, ha sfornato un nuovo indice, basato su 11 dimensioni che appaiono essenziali per il benessere e applicato a 34 paesi appartenenti alla medesima organizzazione. Questi 11 aspetti riguardano sia le condizioni materiali di vita (casa, reddito, lavoro) sia la qualità della vita (partecipazione civile, istruzione, ambiente, amministrazione, salute, soddisfazione personale, sicurezza ed equilibrio tra lavoro e vita privata).

Un indice sintetico, dunque, e, come tutti gli indici, discutibile e perfettibile, ma sufficientemente articolato per dare un’indicazione soprattutto in termini comparativi, per capire come un paese è messo rispetto agli altri.
Ebbene, da questa comparazione l’Italia non esce bene. Ci siamo abituati a frequentare le zone basse di tutte le classifiche mondiali, qualunque sia il tema preso in considerazione. Ma fa sempre effetto. Con l’indice OCSE (da 1 a 10) ci collochiamo a fatica intorno a metà classifica, salvati dal voto elevato su sicurezza (8,4), ambiente (87,4) e salute (7). Ma impressiona il dato relativo al reddito (3,4), che ci pone ai livelli più bassi del mondo occidentale, mentre poco meglio facciamo in ambiti come la partecipazione civile (3,8), che ce la dice lunga sul degrado del nostro contesto sociale, il lavoro (4,3), e l’istruzione (4,6). E, per concludere, anche la soddisfazione professionale non va al di là di un 5,4, che pone l’Italia ben al di sotto delle grandi democrazie europee, per non parlare dei paesi del nord Europa, ma anche di paesi come la Spagna e la Turchia.
E’ inevitabile pensare che la situazione un po’ deprimente in cui versa un paese, come l’Italia, che avrebbe tutte le potenzialità per esprimere un livello elevato di qualità della vita di chi vi abita, sia in buona parte dovuta a un atteggiamento di fondo rinunciatario che si è affermato in assenza di progetti condivisi e capaci di mobilitare e valorizzare le energie riposte nella cultura e nel carattere della popolazione. Ed è altrettanto inevitabile pensare che questo sia il risultato di una politica che, ormai da decenni, non riesce a immaginare il futuro e, quindi, tanto meno a costruirlo.