L’economico atomo: fine di un mito

di Salvatore Aprea

L’illusoria riduzione delle bollette

“Con il nucleare 11 miliardi di risparmi”, “Prezzi dell’elettricità europei e quindi più bassi del 25-30%”,  questi alcuni titoli dei giornali degli ultimi mesi. Uno degli elementi che vengono sbandierati con maggiore forza per il rilancio del nucleare è, infatti, la riduzione delle bollette che si otterrebbe grazie a questa tecnologia. Il messaggio che si vuole fare passare é che l’obiettivo del governo (25% nucleare e 25% di rinnovabili al 2030) consentirebbe di eliminare l’attuale gap tra le tariffe elettriche italiane e quelle europee. L’azione di “disinformazia” presso il pubblico, in realtà, passa spacciando disinvoltamente i costi di reattori ammortizzati da trent’anni che si riferiscono solo alle spese di funzionamento dell’impianto con quelli delle nuove centrali che hanno bisogno di enormi capitali per essere costruite.
Il nucleare ha invece un costo molto elevato e crescente. Le ultime stime dell’Energy Outlook 2011 elaborate dal governo Usa indicano per i nuovi reattori in funzione nel 2016 costi dell’elettricità pari a 114 euro/MWh, superiori a quelli dell’eolico, del gas e del carbone. Secondo la stessa Associazione italiana nucleare i costi per i reattori attualmente in progetto si collocano tra i 75 e 110 euro/MWh. Dunque, il nucleare porterebbe non a una diminuzione ma a un aumento delle nostre bollette.

Crescita dei costi ed aiuti di Stato per la sicurezza degli impianti

Il tema degli economics in effetti merita un approfondimento. Ad esempio è poco noto che il nucleare, proprio per gli alti costi, ha sempre goduto di incentivi diretti o indiretti. Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia gli aiuti per gli impianti esistenti nel mondo equivalgono a un terzo del costo dell’elettricità nucleare prodotta. Il sostegno sarà ancora maggiore per i nuovi reattori, più complessi e costosi.

Un’altra realtà nascosta che accomuna esperienze molto diverse tra loro come il nucleare francese e quello statunitense riguarda la crescita dei costi. In Francia l’incremento a moneta costante tra i primi e gli ultimi impianti è stato di 3,5 volte. Tendenza confermata dal reattore francese Epr in costruzione a Olkiluoto, i cui costi sono lievitati dagli iniziali 3 miliardi a 5,3 miliardi euro. Negli Usa la crescita fuori controllo dei costi è stata ancora maggiore, con un rapporto tra le prime centrali e le ultime di 1 a 6. Questo paradosso che vede un aumento e non una riduzione dei costi è da attribuire al costante aumento della complessità della tecnologia, legata anche alla sicurezza degli impianti.

AAA cercasi cimiteri per le scorie radioattive

A tal proposito sorge spontaneo domandarsi come ci si possa lanciare in una simile avventura se finora non si è riusciti a identificare un sito per i rifiuti a bassa e media radioattività (non parliamo di quelli la cui pericolosità si estenderà per decine di migliaia di anni), lasciando alle generazioni future per le prossime migliaia di anni la nostra velenosa eredità. Che non ci sia un solo paese al mondo, dopo oltre mezzo secolo dall’inizio del funzionamento di centrali nucleari, in grado di realizzare un cimitero per le scorie ad alta radioattività è una prova inoppugnabile circa la leggerezza con la quale ci si è lanciati nello sfruttamento dell’atomo.

Il successo “economico” delle rinnovabili in Europa

Si tratta di una tendenza opposta a quella delle tecnologie delle fonti rinnovabili che hanno visto una drastica riduzione dei costi nell’ultimo ventennio. In uno scenario nel quale i paesi industrializzati si devono attrezzare per ridurre dell’80% le emissioni climalteranti entro il 2050, non stupisce che nel corso del 2010 siano stati pubblicati diversi studi “eretici” su come soddisfare la domanda elettrica europea entro la metà secolo con le sole rinnovabili. Alcuni paesi si stanno peraltro già attrezzando con propri programmi a lungo termine. Cosi la Germania punta a coprire l’80% della domanda elettrica al 2050 con le energie verdi, mentre la Danimarca intende diventare totalmente “verde” entro la metà del secolo. Analizzando infine gli scenari ufficiali al 2030 elaborati dalla Commissione europea nell’agosto 2010, si evidenzia una forte crescita della quota di elettricità verde – dal 19 al 36% – e la contemporanea riduzione del nucleare dal 28 al 24%. D’altro canto, numeri alla mano, il cambiamento in atto emerge in tutta la sua evidenza. Nel periodo 2004-2009, la potenza eolica e solare installata nel mondo è stata 14 volte superiore alla nuova potenza nucleare. In Europa il 63% della nuova potenza elettrica installata lo scorso anno era “verde”, con l’eolico al primo posto, il gas al secondo, il fotovoltaico al terzo.

Nucleare sicuro ed economico? Solo uno slogan

Alla luce di queste considerazioni appare paradossale che il nostro paese, dotato di un potenziale enorme di fonti rinnovabili, punti a rientrare nel nucleare. Certo, il governo è stato costretto a ricorrere alla moratoria di un anno per raffreddare l’”effetto Fukushima” su un’opinione pubblica che temeva l’energia nucleare anche prima che si compisse la tragedia giapponese. Secondo le rilevazioni del 2010 dell’Eurobarometro solo il 17% dei cittadini della Ue vorrebbe un aumento della produzione nucleare, mentre il 34% preferirebbe una riduzione del suo contributo. Inoltre il 50% degli europei considera il nucleare un’opzione rischiosa, mentre solo il 36% valuta questa soluzione come portatrice di benefici. In Italia queste ultime percentuali sono rispettivamente del 52 e del 22%.

La sospensione governativa non sembra però il preludio ad un cambio di rotta nella politica energetica. In futuro occorrerà, quindi, un’azione di controinformazione per contrastare nuove campagne che cerchino di spiegare come il nucleare sia sicuro e poco costoso.