Chi è il bullo?

Alle medie ero continuamente bersaglio di piccole angherie per lo più verbali, talvolta fisiche. Era un continuo senza fine, una sorta di gioco – immagino oggi – che a me non piaceva per nulla. Protestavo con i professori e a casa con i miei genitori, ma nulla cambiava.

Una mattina in cui tutta la classe era in fila lungo le scale per spostarsi da un’aula a un’altra iniziò la solita tiritera di scherni e insulti. Mi girai e sferrai un pugno, a cui seguì immediatamente una nota sul registro e la spiegazione della docente ai miei genitori: avevo ragione nella sostanza, il compagno esagerava da tanto tempo, ma il modo che avevo avuto di reagire era deprecabile.

Riassumendo: oggetto di vessazioni continue e non gradite, per la mia famiglia dovevo essere capace di farmi valere trovando le soluzioni in modo autonomo, per la prof. avevo diritto a protestare tuttavia una reazione era vietata, anzi punita.

Non ho potuto dunque non interessarmi alla vicenda di due ragazzi, Francesco e Giammarco, una storia semplice e facile da raccontare: uno è vessato dall’altro e dopo l’ennesima provocazione sferra un pugno.

La storia mi ricordava effettivamente qualcosa.

Improvvisamente le parti nella commedia della vita si invertono: il bullo diventa vittima, la vittima bullo.

I genitori a questo punto intervengono portando in tribunale la faccenda e chiedendo un risarcimento economico: il fendente aveva rotto un dente del loro figlio. Da qui si arriva alla Corte di Appello e poi alla Cassazione e alla cronaca.

La vicenda è interessante perché la Cassazione, con la sentenza 22541, argina, condannandoli, i comportamenti prevaricatori e vessatori, considerando anche le condizioni di umiliazione a cui l’adolescente – vittima sino al pugno sferrato – è stato ripetutamente sottoposto. L’ordinamento giuridico si dimostra così attento nei riguardi dei giovani che, non essendo stati creduti, tantomeno supportati e compresi nelle difficoltà relazionali, si trovano a dover fronteggiare da soli, privi del sostegno di un adulto, meglio se un educatore, vicende di bullismo. Troviamo scritto nel verdetto: “Quando l’autore della reazione è un adolescente, vittima di comportamenti prevaricatori, reiterati nel tempo, occorre tener conto che la sua personalità non si è ancora formata in modo saldo e positivo rispetto alla sequela vittimizzante cui è stato sottoposto. […]. Ed è prevedibile che la vittima possa reagire con comportamenti aggressivi internalizzati che possono trasformarsi, con costi particolarmente elevati in termini emotivi, in forme di resilienza passiva e autoconservativa, evolversi in forme di autodistruzione oppure tradursi, come in questo caso, in comportamenti esternalizzati aggressivi”.

Secondo la Cassazione: “in assenza di prove circa come le istituzioni, la scuola, in particolare, fossero intervenute per arginare il fenomeno del bullismo e per sostenere Francesco, mancando anche la prova di espressioni di condanna pubblica e sociale del comportamento adottato dai cosiddetti bulli, non era legittimo attendersi da parte di Francesco, adolescente, una reazione razionale, controllata e non emotiva”.

La legge si dimostra dunque sensibile nei confronti delle vittime, ma non solo, infatti la Suprema Corte evidenzia anche il concorso di colpa dei genitori che hanno giustificato il gesto violento del figlio. Secondo la Cassazione la reazione violenta del ragazzo non è un atto di valore, allo stesso tempo non è però possibile banalizzare il contesto in cui il gesto è avvenuto. In sostanza è ancora il contesto generale da considerare, anche perché il bullismo non è un fatto privato, bensì sociale, che richiede capacità di individuazione e di comprensione del problema, e che prevede la messa in campo dell’intelligenza emotiva e di competenze didattiche e scientifiche.

Il racconto, inoltre, evidenzia come sia facile passare dalla parte del bullo a quella della vittima, e come sia labile il confine tra le due situazioni.

Rispondiamo onestamente: chi almeno una volta nella vita non si è comportato da bullo?