Il recente tempo passato, che abbiamo vissuto in lockdown, ci ha fatto sperimentare il distanziamento fisico fuori casa e il riavvicinamento fisico ed emotivo all’interno delle mura domestiche. Questo per chi ha una famiglia o una casa. E gli altri? Chi non ha una casa ha continuato a trovarsi in una situazione di emergenza ancora maggiore: un “sans papier” talvolta aiutato dalla solidarietà di pochi volontari, altre volte lasciato precipitare nell’interregno della violenza e della malattia psichica. L’abitazione è uno dei temi a cui sarà necessario dedicarsi pensando a una politica abitativa che lavori su due fronti: da una parte poter offrire una casa a tutti e dall’altra migliorare la situazione già esistente.
Il primo passo consiste nel progettare una strategia di solidarietà per gli emarginati e per quelle famiglie che, a causa della recessione economica vissuta nei tempi della pandemia (fase uno e fase due), stanno avendo difficoltà nel pagare l’affitto oppure nel rispettare le scadenze del mutuo, come è emerso dal recente rapporto Nomisma presentato il 26 maggio da Luca Dondi.
Come secondo aspetto è importante rivedere le soluzioni abitative, che dovranno saper offrire spazi differenti per la vita privata e per lo smart-working. Serviranno case a minor impatto ambientale e a ridotti consumi energetici, con soluzioni democratiche, alla portata di tutti, non destinate solamente a una sperimentazione elitaria.