ABC- Abbecedario post pandemia: U – Ultimi

Roma, Viale Regina Margherita, Fase 3 della Ripartenza, foto di Emma Tagliacollo

A scuola, in classe, il mio posto era l’ultimo banco perché più alta di tutti. 

Confesso che non mi piaceva stare in fondo all’aula perché, a quel tempo, non mi rendevo conto di quanto quella posizione fosse vantaggiosa: potevo infatti vedere chiaramente tutte le dinamiche tra i compagni all’interno dell’aula. Uno sguardo privilegiato di chi può guardare da una certa distanza senza partecipare troppo. 

Quando oggi penso agli “ultimi” immagino Gli Spaccapietre di Courbet, qui l’autore realista rappresenta due uomini, uno a dire il vero è un bambino, che fanno un lavoro che a molti di noi pare superato, inimmaginabile: quello di spaccare le pietre. I loro volti sono nascosti perché possiamo così riconoscerci in loro e perché loro possono essere ognuno di noi.

L’identità non è importante, non conta.

Essere nelle fila degli ultimi è una condizione strana: permette di guardare le cose da un punto di vista differente, non è uno stato di privilegio bensì è di non considerazione, di non rilievo, non è di peso, non si incide nella storia perché la voce dall’ultimo banco non si sente tanto bene.

La sfida dei prossimi tempi è come alzare il volume della voce degli ultimi. Il sindacato può farsi voce, oppure la politica. 

Quale politica?