Il tempo pandemico ha rivelato tutte le nostre fragilità che sono state messe in scena, evidenziate, usate, in parte strumentalizzate. Essere immuni è solo apparentemente una forza, è invece una di queste fragilità, soprattutto se pensiamo che chi è immune, da una malattia o da una minaccia che poco conosciamo e sappiamo inquadrare, può essere, simbolicamente e non solo, sacrificato sull’altare del “bene comune” o del “lavoro per vivere”, in una sorta di patto sociale non scritto. Naturalmente la mia è una provocazione.
Non è forse una grande fortuna essere immuni dal Covid-19? Come mai l’app che molti di noi aspettavano nella Fase 3 si chiama proprio “immuni”, proclamando nel nome una sorta di garanzia dal contagio, ma rivelando invece per la sua funzione proprio chi può diffonderlo? Vedo una contraddizione in questo, sebbene il linguaggio “pupazzato” e la ripetizione della parola “normalità” non può che tranquillizzarci.
L’immunità diplomatica e l’immunità parlamentare, nel vecchio abbecedario ormai da abbandonare, indicavano la forza e la sicurezza del privilegio di pochi. Ora invece desideriamo la garanzia per la salute assicurata dallo scudo dell’immunità di gregge, un meccanismo che funziona solo se arriva a estendersi alla maggioranza. Forse è rimasta ormai solo la natura e le sue leggi a indicarci la strada verso la D di Democrazia?