Educare per il profitto o per la libertà?

di Rossella Aprea

Martha C. Nussbaum ci sorprende e ci provoca con una sua personalissima riflessione sulla crisi. Forse non tutti sanno che la Nussbaum è una delle filosofe attualmente più stimate a livello internazionale, ed insegna Law and Ethics all’Università di Chicago. Per la Nussbaum la crisi non è tanto economica, quanto piuttosto educativa. Le nuove generazioni, educate al profitto, acquisiscono prevalentemente competenze tecniche a discapito delle scienze umane e delle arti. Le conseguenze che la Nussbaum intravede in questa situazione sono molto gravi. Le nazioni in futuro saranno formate da persone con una valida preparazione tecnica, ma prive di spirito critico, di immaginazione, di comprensione, capacità imprescindibili per la piena realizzazione della democrazia e di una società degna dell’uomo.

Martha C. Nussbaum lo afferma in un articolo sul 1° numero della rivista Il Mulino di quest’anno con quella chiarezza e forza che mostrano coloro che hanno maturato una convinzione profonda. “Siamo nel mezzo di una crisi di proporzioni enormi e di enorme significato a livello mondiale; non mi riferisco alla crisi economica globale iniziata nel 2008, bensì a una crisi che… nel lungo periodo si rivelerà probabilmente molto più dannosa per il futuro delle nazioni democratiche: la crisi mondiale dell’educazione… Tesi al profitto, gli Stati e i loro sistemi di istruzione stanno rigettando senza alcuna attenzione tutte quelle conoscenze indispensabili per mantenere viva una democrazia… presto si produrranno generazioni di macchine piuttosto che di cittadini in grado di pensare autonomamente, criticare le tradizioni e capire il significato delle sofferenze e delle conquiste altrui. In particolare, le scienze umane e le arti stanno per essere spazzate via sia nelle scuole primarie e secondarie sia nelle università: considerate dai politici come fronzoli inutili quando si devono compiere tagli per mantenere la competitività sul mercato globale…L’elemento immaginifico, creativo e il pensiero critico, rigoroso stanno perdendo rilievo. Gli Stati privilegiano il profitto a breve termine. La crisi ci guarda in faccia, ma noi non la vediamo… L’attenzione per la scienza e la tecnologia non deve rischiare di far perdere di vista il valore di altre competenze, ugualmente importanti per la salute di ogni democrazia, per la creazione di una buona cultura mondiale e di un robusto modello di cittadinanza globale, capace di orientarsi costruttivamente dentro i problemi più pressanti del mondo”.

Qual è lo scopo di una nazione?

La crescita economica? Ma la crescita economica non si preoccupa dell’equità sociale, della stabilità della democrazia, della qualità delle relazioni tra etnie e generi e di altri aspetti della qualità della vita come la salute e l’istruzione. Il  perseguimento della crescita economica non porta con sé automaticamente salute, istruzione, decrescita delle disuguaglianze sociali ed economiche. Ormai i dati lo dimostrano. Dunque, produrre crescita economica non significa produrre democrazia, né garantire una popolazione sana, occupata, istruita, tanto meno creare opportunità di una “vita buona” alla portata di tutte le classi sociali. Questo vecchio modello di sviluppo basato sul Pil pro capite può assegnare anche punteggi elevati a nazioni che, però, mantengono al proprio interno grandi disuguaglianze.

L’istruzione non può essere legata esclusivamente a competenze tecnologiche ed informatiche. Sono le conoscenze storiche ed economiche che conducono a un pensiero critico sui ceti sociali, su quale investimento estero sia davvero vantaggioso per gli agricoltori o quale democrazia possa sopravvivere in presenza di immani iniquità nelle opportunità e nelle condizioni di vita. La conoscenza delle arti e delle materie umanistiche contribuisce a sviluppare negli individui la capacità di comprensione, necessaria per perseguire programmi di profitto non iniqui. L’arte porta l’immaginazione ad andare oltre i confini consueti dell’esistente, a vedere il mondo in modi nuovi. E questo è prezioso per il futuro e lo sviluppo della società.

Quale alternativa al perseguimento del profitto?

Dovremmo abbandonare il modello di crescita puramente economica per orientarci verso il modello dello “sviluppo umano” che assegna grande importanza alle opportunità di ciascuno in ambiti fondamentali come la vita, la salute, l’integrità fisica, l’istruzione, la libertà e la partecipazione politica, riconoscendo che ogni singola persona possiede una inalienabile dignità che dovrebbe essere rispettata da leggi e istituzioni. Una nazione dignitosa, come minimo, riconosce che tutti i cittadini hanno diritto al proprio sviluppo soggettivo ed escogita strategie per aumentare le opportunità delle persone oltre il livello già raggiunto.

Il modello dello “sviluppo umano” è fortemente connesso alla democrazia, perché prevede che tutti abbiano voce nella scelta delle politiche che governano la propria vita. Questo genere di democrazia riconosce un ruolo importante ai diritti umani, che non possono essere alienati per il capriccio di una maggioranza. Non si tratta di un idealismo confuso, quanto strettamente legato agli impegni costituzionali di molti Paesi, anche se mai pienamente assolti, neanche nelle nazioni più democratiche.

In questo tipo di democrazia umana, una nazione deve offrire a ogni singolo individuo opportunità per “la vita, la libertà e la ricerca della felicità”, educando i suoi cittadini ad acquisire:

–          la capacità di deliberare su questioni politiche, cioè esaminare, riflettere e dibattere, prendendo le distanze da tradizioni o autorità;

–          la capacità di concepire il bene di una nazione come un tutt’uno, inserito in un mondo complesso che richiede decisioni anche transnazionali, e non come il bene di un singolo gruppo sociale;

–          la capacità di preoccuparsi per le vite degli altri, immaginando le conseguenze delle azioni politiche a livello di singoli cittadini e anche delle persone al di fuori della nazione.

Che cosa si oppone a democrazia ed egualitarismo?

In primo luogo l’alto grado di deferenza verso l’autorità che mostrano le persone. Secondo alcune ricerche, persone apparentemente normali, in un ruolo di dominio e presunta superiorità, possono adottare comportamenti volti a umiliare e stigmatizzare gli altri.

In secondo luogo, bisogna considerare il ruolo del disgusto nella società ineguale. Il disgusto è l’emozione che segna il limite tra noi e gli animali. Sulla base di questa pulsione, gli individui arrivano a creare gruppi subordinati di esseri umani identificandoli come disgustosi e contaminati. Questa attitudine si evidenzia nell’antisemitismo, nel razzismo, nel sessismo, nell’omofobia.

Allo stesso modo, quando le persone si vergognano del loro stato di bisogno e vulnerabilità, tendono a rendere schiavi altri. Ad esempio tutti i bambini vogliono schiavizzare i propri genitori: questa tendenza, se non corretta dall’educazione, è un impedimento enorme alla democrazia. Quando, crescendo, cominciano a provare amore e gratitudine verso coloro che vanno incontro ai loro bisogni, si sentono colpevoli per la loro aggressività e pensano al benessere degli altri, sviluppando un sentimento di compassione.

Ci sono, poi, alcune condizioni che contribuiscono ad accrescere questi comportamenti negativi:

–          l’anonimato che consente alle persone di agire in maniera negativa più liberamente;

–          la mancanza di voci critiche. Quando queste sono presenti le persone vengono incoraggiate ad esprimere i propri giudizi controcorrente con maggiore libertà.

–          la de-umanizzazione e de-individualizzazione degli esseri umani. Quanto più l’altro è ritratto come un animale o un numero tanto più facile è esercitare su di lui comportamenti negativi.

Quali capacità sono necessarie per una cittadinanza globale?

La prima è sicuramente la capacità di autocritica. Come sosteneva Socrate, la democrazia ha bisogno di cittadini che sappiano pensare autonomamente piuttosto che rimettersi all’autorità, che siano in grado di ragionare insieme sulle scelte da prendere e non semplicemente su richieste e contro-richieste.

Il pensiero critico è fondamentale per una buona cittadinanza soprattutto in una società formata da persone differenti per etnia, classe sociale e religione. Questo richiede una capacità di mettersi in discussione e riflettere sulle ragioni per cui sostenere una certa posizione. Dalla logica della propaganda, tipica della maggioranza dei politici, quindi si potrà uscire solo se i giovani sapranno mantenere la loro indipendenza e il loro pensiero critico per riportare i governanti alla responsabilità e a immaginare possibili alternative. Lo spirito critico porta con sé un nuovo atteggiamento verso coloro con cui si è in disaccordo, cioè la disponibilità all’ascolto delle motivazioni dell’altro, allo scambio di idee, al dialogo in un’atmosfera di mutuo rispetto per la razionalità di ognuno. Solo in un contesto che tenga conto di questi presupposti essenziali sarà possibile fare i conti con le differenze, in situazioni nazionali e mondiali sempre più polarizzate da conflitti etnici e religiosi.

Il pensiero critico è una disciplina che dovrebbe essere proposta come parte del curriculum scolastico e ogni bambino dovrebbe essere trattato come un individuo le cui potenzialità mentali sono da sviluppare e da cui ci si aspetta un contributo creativo e attivo alla discussione in classe.

Dal momento che gli esseri umani sono proni nell’asservirsi alle pressioni sia dell’autorità sia dei propri pari, per prevenire atrocità, abbiamo bisogno di produrre una cultura del dissenso dell’individuo. Se in un gruppo una persona difende la verità, spesso altri la seguiranno, e dunque anche una sola voce critica può innescare conseguenze significative. Per enfatizzare la voce attiva di ogni singola persona, bisogna anche promuovere una cultura della responsabilità. Quando le persone si percepiscono come responsabili delle proprie idee, sono portate maggiormente a riconoscersi responsabili delle proprie azioni.

La seconda capacità è quella di vedersi come membro di una nazione eterogenea e del mondo intero, unita alla comprensione – per quanto parziale – della sua storia e delle caratteristiche dei diversi gruppi che lo abitano. La conoscenza certo non è garanzia di un buon comportamento, ma l’ignoranza è invece garanzia virtuale di un cattivo comportamento. Bisogna abbattere gli stereotipi superficiali e banali sia in ambito culturale che religioso, per comprendere le differenze e allo stesso tempo i bisogni, i problemi e gli interessi comuni. Perciò tutti i giovani cittadini dovrebbero apprendere i rudimenti della storia mondiale, così come dovrebbero conoscere bene una lingua straniera, per acquisire la consapevolezza che esistono molti modi di guardare il mondo, e che ogni traduzione è un’interpretazione. Per una persona giovane questa rappresenta un’importante lezione di umiltà culturale.

La terza è la capacità di pensarsi nei panni di un’altra persona, per capirne le emozioni e i desideri, cioè l’immaginazione narrativa.

Attraverso l’immaginazione noi siamo in grado di avere un certo sguardo intuitivo sull’esperienza di un altro gruppo o di un’altra persona, obiettivo difficilmente raggiungibile nella vita quotidiana. Questa capacità è promossa in particolare dall’educazione alla letteratura e alle arti. Così, è necessario coltivare “lo sguardo interiore” degli studenti, attraverso un’istruzione calibrata sulle arti e sulle materie umanistiche, che offra un contatto con questioni di genere, etnia, razza ed esperienze transculturali.

Se non insistiamo sull’importanza delle scienze umane e delle arti, che sono alla base delle culture del rispetto e dell’uguaglianza, queste discipline spariranno perché non producono profitto. In realtà adempiono ad un compito molto più prezioso: rendono il mondo degno di essere vissuto, educano uomini e donne a guardare agli altri come a eguali e nazioni ad andare oltre alla paura e al sospetto per sviluppare un dialogo animato dalla ragione e dalla comprensione.