Immigrazione: un fenomeno di distrazione di massa

Una serie di studi condotti presso l’Università Cattolica di Milano e CNEL hanno mostrato che negli ultimi anni gli effetti dell’immigrazione sulla nostra economia sono stati modesti, non ci sono state grandi variazioni. Lo stesso dicasi per il livello dei crimini e l’impatto sulla previdenza. Eppure l’opinione pubblica ha una percezione diversa del fenomeno, avvertendo gli immigrati come una crescente minaccia. Negli ultimi mesi è stata alimentata su questo tema una narrazione pericolosa e corrosiva per la stessa tenuta del nostro sistema sociale.

Secondo Gallup World Poll 630 milioni di persone hanno intenzione di muoversi e 48 milioni lo avrebbero già pianificato entro i prossimi 12 mesi. Sono dati di fatto, con i quali ci si deve misurare senza far credere che erigere i muri possa fermare l’ondata migratoria, ma, innanzitutto, cercando di avere una precisa conoscenza di un fenomeno complesso per poterlo gestire, bandendo qualsiasi intento propagandistico. Di fronte alla prospettiva dell’arrivo di uno tsunami di proporzioni gigantesche l’errore più clamoroso sarebbe proprio quello di far credere che sia sufficiente rinchiudersi in casa per respingerlo. Si finirebbe travolti nel peggiore dei modi. E come diceva Marx bisogna rifuggire dalla tentazione di “scrivere ricette per l’osteria dell’avvenire”. Alimentare il senso di insicurezza, rende solo la paura la più insidiosa e fallace consigliera. Cercare di conoscere, capire ciò che accade senza pregiudizi e condizionamenti ideologici, può portare a trovare e scegliere strategie e misure per affrontare e gestire il fenomeno.

Come garantire, allora, una percezione corretta dell’immigrazione e prevedere l’integrazione di queste persone?

La ricerca portata avanti dal Centro Studi Luca D’Agliano, Collegio Carlo Alberto dell’Università di Torino sulla differenza tra immigrazione reale e percepita ha accertato la sovrastima sistematica della presenza degli immigrati rispetto a quella reale. Alcuni punti vanno chiariti. Innanzitutto, i richiedenti asilo e i rifugiati costituiscono solo una piccola parte dei migranti. Circa il 10% della popolazione italiana è costituito da migranti in linea con la media europea. Solo il 10% dei migranti è costituito da persone che sono arrivate in Italia da meno di 5 anni. L’immigrazione è, dunque, un fenomeno strutturale, non eccezionale. La maggioranza degli immigrati nell’Unione Europea viene da un Paese europeo (37,7% dai Paesi UE, 16% da Paesi europei non UE). In generale vi è una correlazione positiva tra istruzione degli immigrati e forza lavoro. L’Italia, purtroppo, occupa gli ultimi posti. La forza lavoro richiesta nel nostro paese è meno istruita perché non c’è domanda di lavoro qualificato. Il livello di istruzione dei migranti è peggiorato nel tempo, così come le loro condizioni economiche. Le possibilità di occupazione per nativi e migranti sono simili. L’occupazione varia in relazione alla permanenza nel paese. Infatti, dopo 6-7 anni gli immigrati hanno una probabilità molto alta di trovare occupazione. Soprattutto, vi è una forte integrazione lavorativa dei migranti con un basso livello di istruzione, perché essi sono chiamati a svolgere lavori meno qualificati. A parità di lavoro gli immigrati, però, guadagnano di meno rispetto agli italiani. Le condizioni economiche degli immigrati migliorano nel tempo, ma raramente coincidono con quelle dei nativi. L’aumento delle restrizioni all’immigrazione regolare per motivi di lavoro ha fatto esplodere gli altri motivi di ingresso: umanitario e ricongiungimento familiare. Assistiamo, così, ad una crisi dei valori della convivenza civile. L’incertezza dell’esistenza ci pone nella condizione di dover semplificare la visione e l’interpretazione del mondo. Questo ci porta ad assumere una visione conformista della realtà e a proiettare i nostri sentimenti di insicurezza, di instabilità sugli immigrati. Ciò che è estraneo, è, dunque, considerato ostile. A prescindere. Questa visione negativa si accentua quando si arriva a nazionalismi di Stato. I totalitarismi ce lo insegnano. Così, noi abbiamo un bisogno urgente del migrante per avere un nemico, ridotto ad un corpo senza nome.

L’invisibilità del migrante a chi serve? I 600.000 migranti che restano in Italia non sono integrabili, esposti alla marginalità e a fenomeni di devianza. Questa è la vera conseguenza del Decreto Sicurezza: indifferenza e ostilità, disgregazione sociale, disperazione e quindi… maggiore insicurezza. La volontà espressa con il Decreto Sicurezza non è quella di gestire ed integrare i migranti, ma di cancellarli. In 30 anni abbiamo integrato 5 milioni di migranti, con una media di circa 150.000 persone all’anno dal 2000 attraverso i permessi temporanei. Tra il 2011 e il 2012 con l’avvento delle primavere arabe si è verificato un discreto aumento di richiedenti asilo in Europa, azzerando l’ingresso regolare. Sospendendo il decreto flussi se si voleva entrare in Italia bisognava avanzare richiesta di asilo, che poteva essere presentata solo una volta arrivati in Italia. Non esiste una via legale di ingresso, quindi si arriva con gli sbarchi e per l’integrazione non è stato organizzato un buon sistema di accoglienza, efficiente anche sotto il profilo burocratico. Prima c’era lo SPRAR che prevedeva un modello di accoglienza diffusa. Per quanto riguarda la cittadinanza la motivazione della richiesta si è modificata nel tempo, non più il matrimonio, ma la trasmissione familiare e la lunga permanenza nel nostro Paese. L’immigrazione è stata caratterizzata, inoltre, da una forte componente femminile: badanti, colf e baby sitter sono entrate a far parte del cuore delle famiglie italiane. Questa situazione ha favorito l’integrazione e l’inserimento dei soggetti migranti nel tessuto culturale del nostro Paese, così come la scuola ha svolto un’altra parte della funzione di integrazione. Non ci sono gruppi d nazionalità prevalenti rispetto ad altri, né si sono creati gruppi chiusi, anche se il fattore religioso ha determinato lo sviluppo di luoghi di ritrovo per le varie comunità religiose. In Italia, però, manca una legge sul diritto di culto. Tutti i luoghi di culto sono, di fatto, fuori dalla legge. E’ necessario, dunque, riconoscere che il volto dell’Italia è cambiato, che si è determinata una situazione di conflitto e che tale conflitto può e deve essere gestito attraverso regole chiare. Pertanto, è necessario regolarizzare tutto: dal diritto di culto alle regole di ingresso. Oggi tutto il sistema in cui si trovano immersi i migranti è prevalentemente illegale. Dobbiamo riconoscere che siamo un Paese che fatica a valorizzare le diversità e la percezione della nostra capacità di esercitare una certa influenza nell’ambito della politica estera si è notevolmente ridotta. Dobbiamo anche considerare come l’immigrazione abbia prodotto un effetto positivo di redistribuzione della ricchezza a livello globale attraverso il volume delle rimesse. La regolarizzazione e la capacità di gestire il fenomeno migratorio non risponde solo ad esigenze di sicurezza, ma è fondamentale per favorire l’incrocio tra domanda e offerta. Chi viene in Italia? Di chi abbiamo bisogno? Bisognerebbe superare il mero pregiudizio e l’ignoranza diffusa, per comprendere un fenomeno inarrestabile, che potrebbe portare ricchezza al nostro Paese, se gestito ed organizzato.