Lettera aperta sulla scuola

Tra assenza di soldi e futuro

di Tommaso Codignola

Gentile Direttore,

vorrei rispondere a Roselli (“Laicità della scuola e libertà di scelta”, Corriere Fiorentino, 11 giugno) partendo dal racconto di una vicenda individuale, ma indicativa: la mia. Dopo laurea e dottorato ho frequentato i corsi SSIS entrando al primo posto nella regione al test d’ingresso per le due classi di concorso di mia competenza e, dopo numerosi esami intermedi, uscendone nella stessa posizione due anni fa. Da allora non ho avuto un’ora – una – di insegnamento. Molti miei colleghi si trovano nella stessa condizione: alcuni fanno gli autisti, altri i conciatori di pelli, altri i commessi. E sono persone capaci e formate, glielo assicuro. Io ho avuto un destino diverso e più fortunato: nella mia famiglia c’è una piccola impresa culturale di cui posso occuparmi. Inutile dire la distruttività di un meccanismo che risospinge il figlio del conciatore dal conciatore e il figlio dell’imprenditore dall’imprenditore: distruttivo per la società, la mobilità, l’autostima.

In questo secondo anno di non lavoro forzato nella scuola ho cominciato ad affacciarmi al mondo delle private (insegnare era e resta la mia vocazione): la mia netta impressione è che le private confessionali (cattoliche) siano nove volte su dieci istituti più seri delle private laiche. Cosa vuol dire questo? I cattolici mettono su le loro scuole perché hanno una tradizione rigorosa e alta nel campo dell’istruzione (basti pensare ai gesuiti), gli altri quasi sempre per mero profitto. La sperimentazione pedagogica – l’unico vero valore per cui il pluralismo pubblico-privato avrebbe davvero senso nel sistema scolastico italiano – è assente: i privati laici mirano al profitto, i programmi sono quasi sempre dei programmi statali annacquati, i privati cattolici mirano a impartire un insegnamento confessionale. Al contempo la scuola pubblica ha fatto proprio un assurdo linguaggio aziendalistico estraneo alla sua missione (crediti e debiti formativi, Piano di offerta e via dicendo), mentre nella sostanza latita nel formare persone davvero pronte a entrare nel mondo del lavoro. Questa è la fotografia più veritiera della situazione, che come vede non coincide con le coordinate privato-pubblico, né con quelle destra-sinistra.

Roselli chiede i fondi per le private (voucher o no, poco cambia: almeno non prendiamoci in giro). Quello di cui ci sarebbe vero bisogno è investire davvero nella scuola, non solo economicamente: da un lato cancellare la sudditanza di superficie della scuola verso il mondo dell’impresa e al contempo mettere in sinergia reale questi due mondi, la scuola e il lavoro, dall’altro veder nascere forme di istruzione privata veramente sperimentali, non orientate né a un insegnamento confessionale, né al mero profitto, che possano fungere da motivo di ispirazione e stimolo effettivo per la scuola statale e il suo progresso. Il resto sono chiacchiere di chi non sa, né si interessa davvero né degli insegnanti, né dei nostri ragazzi.

pubblicato sulla rivista de Il Corriere fiorentino