Misurare la qualità della vita urbana

di Maria Berrini e Michele Merola

Qualità della vita è un termine utilizzato sia dalla gente comune che dagli studiosi e dai politici. Tutti concordano sulla sua importanza, ma il suo significato non è uguale per tutti. Anche nel mondo scientifico si riconosce l’impossibilità di adottare una definizione formale, oggettiva, universale. La componente soggettiva e percettiva del concetto di “qualità della vita” è molto rilevante.

Quando poi decliniamo questo concetto con riferimento all’ambiente urbano cerchiamo di misurarlo e valutarlo, ci troviamo difronte ad una sfida veramente difficile. Una buona qualità della vita in città non è solo un bisogno, è anche una risorsa fondamentale per il futuro.

Negli ultimi 50 anni la qualità della vita è certamente migliorata, se la consideriamo in termini di benessere economico. Ma ciò che da tempo si sta deteriorando in modo indipendente dalle crisi economiche sono altri aspetti, assolutamente determinati per valutare il livello di qualità della vita. La salute è senza dubbio uno di questi. Evidenze scientifiche dimostrano che sono in aumento le malattie causate da inattività fisica e da stress e crescono le reazioni allergiche causate dall’inquinamento atmosferico e materiali e alimenti non naturali. Tutte le malattie che dipendono anche dagli stili di vita individuali, ma che sono fortemente condizionate dal carattere più o meno favorevole dell’ambiente urbano e dalle politiche ambientali che lo governano. L’Agenzia Europea per l’Ambiente afferma come ci sia una generale e comune condivisione intorno al fatto che il concetto di qualità della vita è costituito da un insieme di fattori tra i quali spicca la buona salute, oltre al reddito e a una vita famigliare soddisfacente. Una città che sa investire nelle economie più competitive, nella green economy, nelle politiche ambientali, nella logistica, nelle reti digitali applicate ai servizi, è anche una città in grado di produrre qualità della vita, perché riesce a dare risposte positive alla disoccupazione, soprattutto a quella giovanile, e agli effetti sociali e psicologici che ne conseguono. La sfida per le politiche urbane è invece quella di imparare a comprendere e ad affrontare in modo integrato la domanda di qualità della vita che i cittadini esprimono. Molti economisti hanno anche dimostrato che il costo degli effetti di un sistema di vita insostenibile sono più alti dell’investimento economico che si può fare per il miglioramento ambientale. Investire nel miglioramento dell’ambiente urbano produce inoltre capacità attrattiva e quindi anche vantaggi economici per le città che li hanno sostenuti. Da molti anni il dibattito sugli indicatori della qualità della vita e della sostenibilità ambientale è acceso. Si è sviluppato a livello teorico, con la definizione di Indici sempre più raffinati, che sembrerebbero in grado di considerare perfino la felicità come componente della ricchezza di una nazione. Ma quando scendiamo di scala e vogliamo ragionare sulla qualità della vita nelle nostre città i dubbi e le difficoltà si moltiplicano. I servizi di Statistica Europei hanno ampliato il loro campo di indagine e negli ultimi anni hanno inserito tra le centinaia dei loro indicatori socio-economici, alcuni indicatori ambientali, anche a scala urbana. Ma la raccolta e la pubblicazione dei dati hanno tempistiche lente, spesso troppo distanti dai tempi necessariamente stretti che devono assumere le decisioni politiche sulle priorità di investimento. Ecosistema Urbano utilizza 25 indici tematici, basati su una settantina di indicatori primari che analizzano, per tutti i 107 capoluoghi di provincia italiani, le principali componenti ambientali presenti in una città: aria, acque, rifiuti, trasporti e mobilità, spazio e verde urbano, energia, politiche ambienti pubbliche e private. Per ognuno dei 25 indici viene sviluppata una classifica, che evidenzia come si posizionano i 107 capoluoghi di provincia italiani. Su questa base si compone la cosiddetta classifica finale di Ecosistema urbano, che considera tutti i 25 indici, attribuendo a ciascuno di essi un peso diverso. E’ ovvio, però, che la complessiva “qualità ambientale” di una città include una molteplicità di fattori non sempre misurabili, e soprattutto non sempre misurati in modo uguale in tutte le città. Le classifiche aggregate, basate su dati oggettivi e quantificabili, sono quindi fondamentali strumenti per comunicare e stimolare il confronto tra città, ma esprimono, comunque, un valore relativo. Nel corso degli ultimi 15 anni l’insieme dei capoluoghi italiani ha mostrato un leggero miglioramento sulla gran parte dei parametri relativi allo stato della qualità ambientale e alle risposte, mentre, guardando al lungo periodo, sono tendenzialmente incrementate le pressioni ambientali, in particolare consumi energetici e di carburanti e la produzione di rifiuti. Nel complesso, però, è proprio il grigio a dominare, con un grande problema che domina su tutti: la mobilità. Il traffico di auto in città e i suoi nefasti effetti sulla qualità della vita non sono prerogative solo italiane. Ma mentre nel resto d’Europa si investe sul trasporto pubblico e sulla mobilità ciclabile, in Italia in 15 anni siamo rimasti sostanzialmente fermi. Dalla lettura dei dati di Ecosistema Urbano emergono evidenti altre due grandi differenze: le città piccole e medie contro le grandi città; il nord d’Italia in contrapposizione al sud. E visto che spesso la differenza non nasce da arretratezza economica, allora significa che questo ritardo dipende, almeno in parte da un eccesso di inerzia, da un deficit di “modernità” di chi governa le nostre città.

La versione integrale dell’articolo sarà pubblicata sulla rivista “Consumatori, Diritti e Mercato” n° 2/2011