Shale gas: una risorsa abbondante ma rischiosa

di Salvatore Aprea

Lo shale gas è considerato una risorsa energetica potenzialmente molto vasta, ma vari studi indipendenti hanno dimostrato che la sua estrazione è un’attività non sempre conveniente e dall’impatto ambientale rilevante. Finora la sua competitività economica è stata ottenuta senza tenere conto degli effetti ambientali. La principale fonte di preoccupazione è la contaminazione delle falde acquifere e a lanciare l’allarme è stato, l’anno scorso, un documentario indipendente dal titolo Gasland.

Dopo i successi degli ultimi anni negli Stati Uniti lo shale gas, pur essendo acclamato da più parti come una risorsa energetica potenzialmente molto vasta, in fase di produzione è condizionato da due talloni d’Achille: la sua estrazione non è ancora un’attività profittevole e il suo impatto ambientale è consistente. Diversi analisti energetici, a cominciare dall’istituto statunitense Bernstein Research, hanno sollevato preoccupazioni sulle debolezze finanziarie delle compagnie statunitensi indipendenti che dominano il business del gas non convenzionale negli USA. Il rallentamento dei flussi di cassa delle compagnie di questo settore è stato confermato anche in uno studio accademico indipendente del 2011 (“Can technology R&D close the unconventional gas performance gap?”, Weijermars & Watson). Lo studio compara gli utili non distribuiti, destinati ad essere reinvestiti nelle compagnie nell’ultimo decennio, di ExxonMobil – il maggior produttore mondiale di gas convenzionale – e Chesapeake Energy – uno dei principali produttori americani di gas non convenzionale. ExxonMobil ha riportato 190 miliardi di dollari di utili non distribuiti tra il 2000 e il 2009. Per contro,Chesapeake non ha utili non distribuiti; in effetti, nel 2009 la compagnia ha accumulato un deficit di 1,3 miliardi di dollari, così ha annunciato l’intenzione di tagliare drasticamente la sua produzione di shale gas. Negli USA il gas naturale è arrivato a bassi livelli di prezzo che non si vedevano dal 2002: oggi, ad esempio, costa un quarto rispetto al gas russo alla frontiera austriaca. D’altronde, alcuni dati della Goldman Sachs resi pubblici recentemente sembrano rafforzare la tesi degli studi citati in precedenza. Esaminando il grafico a lato, considerato che il prezzo medio del gas negli Stati Uniti è di 3 – 4 $/MBTU, si osserva che la maggior parte dei siti americani di gas da scisto sono remunerativi solo praticando un prezzo fuori mercato. Dunque, per le compagnie che operano nel gas non convenzionale, stabilire la profittabilità e distribuire utili agli azionisti resta un punto critico.

Shale versus ambiente?

Al di là degli incerti aspetti economici, sono gli impatti ambientali a sollevare i forti dubbi di numerosi esperti. La Cornell University, ad esempio, ha recentemente pubblicato uno studio (Methane and the Greenhouse-Gas Footprint of Natural Gas from Shale Formations) in cui, esaminando le emissioni di metano derivanti dall’attività di estrazione, si conclude che l’impatto complessivo sul ciclo di vita di questa fonte sarebbe peggiore (fino al doppio) di quello del carbone, il combustibile più inquinante. Un impatto consistente, se si pensa che il metano ha un effetto serra pari a 25 volte quello della CO2, anche se possiede un tempo di permanenza in atmosfera di un decimo. Nello studio si stima che, nell’intero ciclo di vita dello shale gas – in gran parte durante l’estrazione – andrebbe a finire in atmosfera dal 3,6 al 7,9% del metano: fino al doppio di quanto avviene con il gas convenzionale. Gli esperti, pur sottolineando come lo studio non abbia la pretesa di stabilire una verità assoluta, ritengono che in un periodo di 20 anni l’impronta dello shale gas sarebbe dal 22 al 43% maggiore rispetto a quella del gas convenzionale.

I molteplici effetti del fracking sono stati analizzati anche da un rapporto ordinato dalla Commissione Ambiente del Parlamento Europeo, pubblicato nel luglio 2011 (Impacts of shale gas and shale oil extraction on the enviroment and on human health). La principale fonte di preoccupazione è la contaminazione delle falde acquifere – sotterranee e superficiali – dovute a fuoriuscite di fluidi di fratturazione contenenti additivi chimici o di acque reflue contenenti gas metano disciolto, fango e sostanze chimiche (ad es. metalli pesanti) e radioattive eventualmente provenienti dal giacimento. La fratturazione idraulica, infatti, comporta l’iniezione a pressione nel sottosuolo di una miscela di acqua (90%), sabbia finissima (9%) e additivi chimici (1%) variabili in relazione alle caratteristiche della roccia serbatoio, che sono tra i principali imputati dell’inquinamento ambientale poiché contengono sostanze tossiche. Così la pensa anche Paolo Scandone, ordinario di Geologia strutturale all’Università di Pisa. “Non è detto che il metano, che pure è ben più inquinante della CO2, debba fuoriuscire in questo caso quello che mi preoccuperebbe di più invece è l’inquinamento delle falde acquifere. Inoltre credo che l’Europa, se escludiamo quella orientale, sia poco adatta a questo tipo di operazioni che prevedono un grandissimo numero di perforazioni, per via dell’alta densità abitativa”. A lanciare l’allarme sull’impatto che lo shale gas avrebbe proprio sulle falde acquifere è stato, l’anno scorso, un documentario realizzato dal regista indipendente Josh Fox, dal titolo Gasland.

Ulteriori impatti indagati dallo studio sono l’elevato consumo di risorse idriche, l’alta occupazione del suolo, l’emissione di gas serra, l’inquinamento del suolo e dell’aria, la produzione di rifiuti e acque reflue, la produzione di rumore, l’inquinamento radioattivo, l’aumento di sismicità e la produzione di odori.

In particolare, i consumi di acqua per ogni trattamento di fratturazione o stimolazione di un pozzo sono variabili, ma comunque notevoli, essendo dieci volte maggiori rispetto a quelli per una trivellazione tradizionale. Per l’intero ciclo di vita di un giacimento di shale gas, infatti, occorrono tra 4.000 e 20.000 metri cubi (in casi estremi si possono raggiungere i 45.000 metri cubi) d’acqua per pozzo, dove possono essere effettuati anche 20 trattamenti di fratturazione idraulica. Prelievi d’acqua simili possono essere relativamente limitati rispetto ai consumi idrici di una zona, ma devono essere disponibili in un tempo relativamente breve. Da qui il rischio che le falde acquifere possano subire un depauperamento – con potenziali impatti sulla disponibilità di acqua potabile ad uso civile – nel caso in cui i volumi d’acqua necessari non fossero stoccati presso il sito e non fosse effettuato un piano di gestione dei prelievi. Quanto all’occupazione di suolo per l’estrazione dello shale gas, l’impatto è indiscusso e rilevante, sia per l’elevato numero di pozzi richiesto (possono essere migliaia) sia per gli spazi necessari per ciascun pozzo (in media un pozzo ogni 2,6 km2, ma si può arrivare a 6 pozzi per km2). Anche se la tecnica della perforazione orizzontale, utilizzata per ridurre il numero di pozzi (il pozzo orizzontale ha una capacità di drenaggio almeno quadrupla rispetto a un pozzo verticale), e la localizzazione di pozzi orizzontali su un blocco unico producono dei miglioramenti, l’occupazione di suolo resta significativa.

God save the citizens?

Quale sarà, quindi, il futuro dello shale gas in Europa? In Italia probabilmente non ci sono, né ci saranno mai, le condizioni né i giacimenti necessari. In altri paesi invece lo scenario è ancora indefinito. Nel Regno Unito, vicino Blackpool, secondo le recenti ricerche del colosso dell’energia Cuadrilla Resoruces intrappolati tra le rocce scistose ci sono 5660 miliardi di metri cubi di gas, un potenziale di estrazione pari a quello del Venezuela che può consentire al governo di Sua Maestà di diminuire drasticamente la propria dipendenza energetica da altri Paesi, riducendo del 50% le bollette di luce e di gas. Mark Miller, amministratore delegato della Cuadrilla, ha dichiarato: “Siamo pronti a investire due miliardi di sterline e ad assumere seimila persone, quasi duemila locali. Per l’economia del territorio sarà un affare da almeno 120 milioni e nei prossimi vent’anni verseremmo nelle casse dello Stato una cifra pari a 6 miliardi di sterline in tasse…..Vogliamo costruire ottocento pozzi. Quattrocento entro il 2016. E siamo anche in grado di garantire che non deturperemo il paesaggio”. Ricchezza, lavoro, verde. Eppure la comunità è spaccata: perché? Nel 2011 i sismografi della contea hanno registrato due piccoli terremoti. Smottamenti che i geologi di Blackpool hanno attribuito ai lavori della Cuadrilla a causa del «fracking». Acqua, sabbia e sostanze chimiche ad alta pressione vengono pompate nei pozzi e la pressione rompe gli strati di roccia, consentendo al gas di uscire. In ognuna di queste procedure vengono usate tra le 80 e le 300 tonnellate di elementi chimici, compreso il benzene, sostanza cancerogena. Il film statunitense Gasland ha mostrato come dal rubinetto dei residenti di un’area vicina ai pozzi non uscisse più acqua, ma fuoco. Le rassicurazioni a questo punto non bastano più. Ambientalisti, Verdi, Wwf, Amici della Terra e il potente gruppo ecologista The Co-operative sono dalla parte degli oppositori. “Un’operazione come questa spingerà il governo a disinvestire sulle energie rinnovabili. E’ una follia. Ci sono piani che valgono potenzialmente cento miliardi e darebbero lavoro a mezzo milione di persone. Certo, il metano costa poco, ma inquina. Ed è più pericoloso del carbone”. La perforazione è stata posticipata anche in Olanda, a Boxtel, in attesa della pubblicazione di un rapporto da parte del governo olandese contenente una valutazione dei rischi e le eventuali ulteriori misure politiche da avviare. “Gasland”, forse, ci ha messo del suo, avendo sollevato preoccupazioni circa la contaminazione di una falda acquifera causata da perdite di gas e probabilmente ha giocato un ruolo non trascurabile anche nell’imposizione della moratoria francese. Parigi, infatti, nel 2011 ha vietato l’esplorazione dei giacimenti non convenzionali a causa dei suoi effetti collaterali sull’ambiente. Dove tradizionalmente le questioni ecologiche restano in terzo piano, alla periferia dell’Unione Europea, invece potrebbe esserci l’esplosione del gas estratto dagli scisti dinanzi al miraggio dell’emancipazione dal gas russo. Ucraina e Polonia, infatti, stanno aprendo al fracking, distribuendo decine di licenze per sondare i propri territori e naturalmente i giganti americani, – da Exxon Mobil a Chevron –, canadesi e inglesi sono prontamente arrivati a trivellare nel cuore del Vecchio Continente.

Le compagnie petrolifere potranno rimpiazzare le riserve esistenti, convenienti ma in declino, con nuove e altrettanto convenienti riserve di shale gas? La risposta ancora nessuno ce l’ha. È presumibile che finora la competitività economica sia stata ottenuta solo a danno della tutela ambientale. Prima di permettere lo sfruttamento dello shale gas in Europa, perciò, andrebbero almeno definite regole comuni e certe da rispettare. Non abbiamo un ambiente di riserva a cui rivolgerci in caso di disastri e dinanzi ai problemi ambientali le frontiere non esistono.