Ovvietà quotidiane e cucine da incubo

di Cinzia Fortuzzi

Le cose ovvie che in questo paese non sono ovvie e le tante ovvietà che potrebbero migliorare di molto la qualità della nostra vita.

Il mondo è pieno di cose ovvie che nessuno si prende mai la cura di osservare (Arthur Conan Doyle, Il mastino dei Baskerville, 1902)

Spesso si sente dire: “quella tal persona dice cose ovvie!” Anche le persone anziane che spesso ripetono ai ragazzi frasi ovvie, vengono poco ascoltate. Molte di queste frasi nate dalla saggezza popolare sono diventate dei detti o dei proverbi. È vero che, spesso adottando rispetto alle cose dei punti di vista differenti, si percepiscono degli aspetti del quotidiano o delle azioni da fare, che prima non si erano presi in considerazione, ma è anche vero che ci sono delle cose che dovrebbero essere ovvie per antonomasia.

Nulla è più innaturale dell’ovvio (Arthur Conan Doyle, Le avventure di Sherlock Holmes, 1892)

Per esempio è ovvio che quando andiamo in un ristorante non dovremmo trovare insetti nel piatto che mangiamo e soprattutto sentirsi poi dire “può capitare!”. È altrettanto ovvio che se si entra in un negozio, si dovrebbero trovare dei commessi o delle commesse gentili e competenti, i quali dovrebbero trattare il cliente con riguardo. È ovvio ancora che in un hotel ci dovrebbe essere del personale preparato. Sarebbe ovvio ancora che le persone, all’interno di un condominio, non imbrattassero le parti comuni o non rubassero le catenelle del portone. Ovvio anche dovrebbe essere quello che una volta si chiamava senso civico: non buttare le cartacce in strada, non imbrattare i muri, non sputare le gomme americane per terra. Il catalogo potrebbe crescere notevolmente e inconsolabilmente, se iniziassimo a contemplare anche delle ovvietà più serie come ad esempio: comandanti di navi che dovrebbero preoccuparsi di salvare i passeggeri in caso di naufragio, treni che non si dovrebbero scontrare nella stazione della capitale, etc. etc.

Tutte ovvietà purtroppo però che in questo Paese non sono considerate tali. Tante volte, andando all’estero, ci si rende conto che magari, in paesi più poveri del nostro, il senso civico, l’accuratezza e la responsabilità con la quale viene effettuato il proprio lavoro, sono sicuramente maggiori che nel nostro, a cominciare da come vengono accolti i turisti.

L’ovvio è quello che non si vede mai finché qualcuno non lo esprime con la massima semplicità (Kahlil Gibran)

Qualcuno si chiederà cosa c’entrino con queste ovvietà le “cucine da incubo”. È presto detto: recentemente le trasmissioni televisive sono piene di programmi che insegnano come fare le cose : come cucinare, come si fanno i mobili, come ci si trucca, come si fa il parrucchiere. Molte di queste trasmissioni sono interessanti perché mostrano la differenza tra la trascuratezza e le cose fatte invece a regola d’arte. Molto interessante a questo proposito è una serie di reality di cucina (Hell’s Kitchen, Kitchen Nightmares, il MasterChef) del celebre cuoco britannico Gordon Ramsay che potrebbe essere chiamato come coach in qualsiasi azienda che si rispetti. Il cuoco oltre alla simpatia ha una certa competenza, in quanto ha aperto almeno 21 ristoranti nel mondo e ha ottenuto dieci stelle Michelin. Un aspetto importante della sua carriera riguarda il fatto che Ramsay ha giocato nelle giovanili dei Rangers, a questo forse si deve la sua abilità di allenatore. In poche parole Gordon entra in ristoranti, che sono sull’orlo del fallimento, osserva il personale al lavoro, individua i problemi (sporcizia in cucina, ingredienti avariati, pietanze disgustose, chef arroganti e management incompetente), e dopo aver riorganizzato il tutto li riapre, facendogli acquistare il 20 per cento in più di clienti. I problemi più interessanti, oltre a quelli pratici, sono quelli relazionali che sorgono tra chef, proprietari e membri dello staff, Ramsey riesce a risolverli con delle vere e proprie tecniche transazionali.

Guardando queste trasmissioni, oltre a divertirsi per la simpatia del conduttore e per l’assurdità di certe situazioni, ci si rende conto di come, per raggiungere la qualità in un campo lavorativo, a volte sia solo questione di fare le cose con umiltà, professionalità, buona volontà e amore per il proprio lavoro. Cioè con un po’ più di questi “ingredienti” i quali, uniti a un certo senso di responsabilità, sono proprio quelli che fanno la differenza tra un buon ristorante e una cucina da incubo. Sono questi anche gli ingredienti che potrebbero risolvere molte delle ovvietà che ci perseguitano in questo nostro Paese. Si dovrebbe iniziare a guardare ai propri negozi, alle proprie imprese, al proprio lavoro in un modo un po’ diverso, come a un qualcosa che fa parte della propria vita e che dà un valore aggiunto non solo a noi, ma anche a coloro con i quali lavoriamo o per i quali lavoriamo. Certi cambiamenti apportati a costo zero in qualsiasi amministrazione o in qualsiasi impresa possono invece costituire un importante valore aggiunto per gli utenti di quel servizio, o per i clienti o per i cittadini. A volte le idee più semplici sono anche le migliori. Sono tutte ovvietà che però potrebbero migliorare molto la vita.