Un “Porcellum” da abbattere

di Rossella Aprea

Il referendum, l’unica forma di democrazia diretta?

La classe politica di questo Paese, ed in particolare la coalizione di governo, continua a sostenere, anche in questo momento, (oggi forse lo sbandiera un po’ meno), di essere stata investita dal popolo “sovrano”, mentre di investiture e sovranità non c’è più nulla, è rimasto solo il cumulo di macerie di quello che era stato un Paese democratico, sorretto da una delle migliori carte costituzionali che siano mai state realizzate. Ce ne stiamo lentamente rendendo conto, e comunque tardi (in realtà siamo un popolo pigro e tardivo), ne pagheremo le conseguenze, ma non abbiamo ancora compreso quanto pesanti saranno, perché i danni provocati sono ben maggiori di quelli che il nostro occhio oggi è in grado di vedere.

La modificata legge elettorale ci ha privati della possibilità di scegliere chi eleggere con il nostro voto in una rosa di candidati segnalati dai partiti. Oggi il nostro voto serve solo a dare un mandato in bianco a coalizioni, che alla nostra volontà sono scarsamente interessate, e serve a ratificare quanto i partiti hanno già deciso. A ciò si aggiunge che, nell’ultima legislatura, le procedure con cui si era svolta in passato l’attività parlamentare sono state forzate e usate in modo totalmente difforme da come erano state concepite. Emblematico è l’abuso dei decreti legge e decreti legislativi con cui è stata approvata la quasi totalità delle norme durante questa legislatura.

L’ultimo baluardo attraverso cui la volontà popolare viene ancora espressa sembrerebbe essere il referendum, ma anche quello comincia a scricchiolare e a sortire in sostanza ben pochi effetti, riuscendo oggi unicamente a procrastinare decisioni che, se anche i cittadini riescono a respingere con determinazione fuori dalla porta con il loro voto, vengono fatte rientrare poco dopo dalla finestra, in una totale mancanza di rispetto della volontà popolare e delle istituzioni democratiche. Il caso recente dell’articolo di legge salva-premier è estremamente significativo. La consultazione popolare effettuata sul legittimo impedimento a giugno ha decretato la schiacciante vittoria dei Sì, correggendo una stortura che tale articolo aveva determinato nell’ambito della disciplina giuridica, cioè che “non tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge” e dando un chiaro segnale di rifiuto delle leggi “ad personam”. Ebbene, in barba a tutte le opinioni democraticamente espresse con il referendum di giugno, si è tentato di inserire nella manovra finanziaria di luglio un’altra norma per allontanare la minaccia di sentenze per il premier: il “processo breve”. Pericolo scongiurato grazie alle proteste generali, ma solo per poco perché già nel mese di luglio è stato riproposto il “processo lungo, ennesimo éscamotage per salvare Berlusconi.

Inventare altre forme di democrazia diretta

Nonostante ciò, il referendum resta l’unico strumento di partecipazione diretta, visto che la partecipazione tramite rappresentanza parlamentare si sta rivelando totalmente insoddisfacente. Non a caso spuntano tante iniziative per raccogliere firme e promuovere referendum: No TAV, No al ponte sullo stretto di Messina, fino ad arrivare alla proposta di abolizione della tanto vituperata “legge Porcellum”, insabbiata e dimenticata nel dibattito parlamentare di questi ultimi tre anni, e ripresentata in forma referendaria in questi giorni, da corredare con 500.000 firme addirittura in meno di due mesi.

Eppure, nessuno si domanda perché noi cittadini siamo costretti ad apporre continuamente firme su questa o quella proposta referendaria, spesso e volentieri in totale contrapposizione alle scelte, alle decisioni e al modo di operare dei nostri rappresentanti parlamentari. Faremmo certamente prima e meglio a cambiare loro, raccogliendo rapidamente un mare di firme perché la smettano di farci imbarcare continuamente acqua, condannandoci all’inevitabile affondamento, ma pare che, benché ci siano guizzi e fermenti che testimoniano qualche forma di vitalità e qualche rigurgito di orgoglio e intelligenza del popolo italiano, l’atteggiamento prevalente sia il silenzio, l’attesa, forse l’annichilimento di fronte alla vista di una spaventosa onda anomala che ci sta per travolgere. Oppure gli italiani teledipendenti semplicemente pensano di assistere all’ennesimo reality della stagione? Tra poco finirà la puntata e noi gireremo canale, ritornando alla nostra quieta e opaca normalità. Anche se tutti ne resteremo delusi, temo che le cose non andranno proprio così. Lo spettacolo confuso e avvilente della nostra brigata di politici non dovrebbe sorprenderci più ormai, questi personaggi da operetta recitano un copione ben noto, in linea con la loro effettiva caratura morale, politica e istituzionale, mostrata abbondantemente in questi anni, ma ciò che più impressiona e fa paura, invece, è l’assenza di reazioni forti da parte della società civile, da parte anche dei cittadini comuni, che, per quanto stupiti e affranti, pur avevano dato prova, nelle scorse settimane, di capacità e forza, convergendo su idee e su iniziative credibili. E ora? Ora, forse gli italiani, ormai scettici, non sanno veramente cosa fare, in chi avere fiducia, a quali idee riferirsi, quali proposte e iniziative sostenere. Oppure sono di nuovo in attesa di un salvagore della patria di un “uomo della provvidenza”? In realtà, bisognerebbe cominciare a rendersi conto, una volta per tutte, che non ci sono scappatoie né scorciatoie. Il mondo dei furbi prima o poi collassa e non è detto alle macerie rimangano solo gli ex furbi. Anzi, gli italiani dovrebbero cominciare a fare affidamento su se stessi, a uscire dallo stato di minorità politica e culturale cui li consegna una storia centenaria che mai si è cercato seriamente di rovesciare. Dovrebbero fare rete, esprimendo la propria volontà anche attraverso altre forme, forme nuove di democrazia diretta per riappropriarsi della propria sovranità. Dovrebbero avere solo fiducia in sé stessi, nelle proprie capacità, nella propria intelligenza creativa, nelle proprie risorse intellettuali e sorprendere tutti in nome di un presente e di futuro che ci sono stati strappati.