Ha vinto il neoliberismo?

“Arricchitevi! Ha vinto il neoliberismo?

di Lapo Berti

Nadia Urbinati (La Repubblica, 15 agosto 2011 — pagina 27) sembra esserne convinta, al punto di descrivere puntigliosamente le forme e i contenuti di questa vittoria. Vittoria politica, s’intende. E’ il trionfo del mercato che, con la sua invisibilità e il suo potere dirompente, impone l’agenda della politica e riesce a porre al centro della scena sociale il suo mantra, l'”interesse individuale”.

Ma sempre di politica si tratta, di una politica che ha accettato di conformarsi alle esigenze dei mercati, di quelli finanziari in particolare, e di assecondarne la cieca pulsione verso il massimo guadagno a tutti i costi. E’ una politica che si è arresa, rinunciando al suo ruolo costitutivo, che è quello di raccogliere e comporre i desideri e le volontà dei cittadini nel perseguimento del bene comune o, forse si direbbe meglio, della felicità di tutti. Che è quanto pensavano i nostri avi sulle soglie della modernità.

Non è difficile riconoscere nel quadro che dipinge la Urbinati i tratti di quella trasformazione che è avvenuta sotto i nostri occhi, non sempre vigili, negli ultimi vent’anni e che si è svolta all’insegna di un motto antico: “Arricchitevi!”. Non vi è dubbio che quello che è avvenuto nel crogiolo della globalizzazione è una resa politica alle ragioni e alle dinamiche del mercato cui si sono piegati sia i partiti politici di destra, riconoscendovisi, sia quelli di sinistra, impegnati nella disperata e confusa ricerca di una fuoriuscita dai disastri del socialismo reale. Dove non concordo con la Urbinati è nella prospettiva temporale, nella lettura delle dinamiche politiche ed economiche in atto. La vittoria del neo-liberalismo c’è stata, d’accordo, ma quello che oggi avviene, la crisi che sta dilagando è il segno della precarietà di quella vittoria, è, anzi, il segnale che i tempi stanno cambiando e una nuova fase della globalizzazione si sta aprendo. Si dischiude uno spazio dove, forse, sarebbe possibile cominciare a pensare a un modello economico che ci faccia uscire dalle secche del neo-liberalismo senza ricadere preda delle idee “zombi” che ancora si aggirano nel mondo dell’economia, sia a destra che a sinistra.

L’idea che si tratta di riprendere e sviluppare è quella che fa riferimento alla realtà che abbiamo di fronte e che si chiama “economia mista”, piaccia o non piaccia. Il problema non è quello di decidere, in guerre che sono sempre tra poveri, se si debba dare più spazio allo stato o al mercato, ma come combinare le due dimensioni nel modo più favorevole al raggiungimento di obiettivi largamente condivisi. Dobbiamo uscire dalla dimensione idiota del tifo da stadio per lo stato o per il mercato per decidere insieme qual è, in questo momento, la combinazione di intervento pubblico e di libertà d’impresa che meglio ci consente di sviluppare i progetti di vita individuali nel rispetto della libertà di tutti.

In questa prospettiva, uno snodo fondamentale è quello che ci deve portare a definire il punto di equilibrio tra il conseguimento del massimo arricchimento individuale e la tenuta di un regime di solidarietà collettiva su cui si può reggere il mantenimento di un sistema politico democratico degno di questo nome.

Il neo-liberalismo si è dimostrato incapace di dare una risposta credibile e praticabile a questi problemi e qui sta la ragione del fallimento incombente e non della sua vittoria. La vittoria del neo-liberalismo che ha plasmato gli ultimi due decenni dell’economia globale può riprodursi solo se non vi saranno risposte efficaci al suo fallimento. Hic Rhodus, hic saltus.