La bellezza che ricrea comunità

Uno strano caso quello della Chiesa di Sant’Antonio e Sant’Alfonso in Tarsia a Napoli, una chiesa monumentale del Cinquecento, affiancata da un convento che circonda il chiostro. La Chiesa appartiene all’ordine dei Frati Conventuali Redentoristi, che, nel 2012, hanno deciso di metterla in vendita. Lasciata in stato di abbandono è stata più volte saccheggiata e oggi è al centro di un conflitto di “interessi” che non riescono a trovare una composizione che consenta di salvaguardarne l’integrità artistica e la funzione sociale, storico-culturale e identitaria per una collettività.

Me ne parla con un entusiasmo coinvolgente Angela Giuliano, fondatrice dell’Associazione “Art for cuozzis” che si è fatta promotrice di un progetto di valorizzazione artistica dell’edificio, riuscendo a far inserire la Chiesa nell’ambito della rassegna culturale che si svolge tutti gli anni nel centro storico di Napoli: il Maggio dei Monumenti. Nel mese di maggio, infatti, vengono organizzati dall’amministrazione municipale di Napoli una serie di eventi: visite guidate, concerti, attività teatrali, mostre ed iniziative varie, finalizzati alla sensibilizzazione storico-artistica verso ii monumenti cittadini, spesso in stato di deterioramento.
Angela mi spiega le ragioni del suo interesse e del suo impegno in difesa di quello che considera il patrimonio di una collettività, che sta riscoprendo e si sta ritrovando intorno ad un edificio la cui storia si intreccia indissolubilmente con quella degli abitanti del quartiere.
La chiesa di Sant’Antonio e Sant’Alfonso a Tarsia è un edificio dall’indiscutibile valore storico-artistico, che, però, ha sempre rappresentato anche un luogo di incontro della comunità, non solo per pregare ma per formare le coscienze sotto il profilo etico e civile.
La storia della Chiesa di Sant’Antonio in Tarsia si intreccia nel Settecento con quella di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, uomo di vasta cultura, allievo di Giambattista Vico e di Giovanni Solimena. Sant’Alfonso fu avvocato vescovo, pittore, musicista, fondatore della Congregazione del Santissimo Redentore, autore di opere letterarie, teologiche e di celebri melodie. Una personalità quella di Sant’Alfonso multiforme ed eclettica, che mise il suo talento al servizio degli strati più deboli della società, degli ultimi, che si fece promotore di un’iniziativa di rieducazione morale e civile, di cura della relazione attraverso la realizzazione di assemblee popolari: gruppi di persone che, alla sera, si riunivano non solo nelle case private, ma anche nelle cappelle della città, e che presero il nome di “cappelle serotine”. Esse furono una vera e propria fonte di educazione morale, di risanamento sociale, di aiuto reciproco tra i poveri per costruire una convivenza umana più giusta, fraterna e solidale.
Angela Giuliano mi racconta con fervore la storia di questa chiesa e la personalità di questo religioso per farmi comprendere il valore dell’esperienza che si sta vivendo attraverso di essa, perché dal mese di febbraio 2018 la Chiesa è stata utilizzata, anche se attraverso un’occupazione abusiva, per accogliere persone senza fissa dimora. Tutto ha inizio durante l’emergenza freddo dello scorso anno, che ha portato alla morte circa 15 persone, l’Ex-Opg Occupato ha così aperto le porte della Chiesa ai senzatetto. Da quell’esperienza nasce la Rete di Solidarietà Popolare che riunisce varie associazioni, tra cui Napolinsieme, Ex-Opg, Liberi di Volare e Nessuno escluso, tutte accomunate dallo stesso obiettivo: la lotta alla povertà. Sono stati creati nella Chiesa due dormitori e una piccola mensa, poi occupati e ripuliti anche i piani superiori con l’aiuto sia dei volontari che degli ospiti stessi, grazie al contributo di solidarietà del quartiere. Dall’inizio di questa vicenda sono passati circa 60 senzatetto. L’obiettivo è quello di aiutare queste persone in difficoltà a riprendere in mano la propria vita, permettendo a loro di decidere autonomamente quando lasciare posto agli altri. Si richiede solo di rispettare i principi di solidarietà, di partecipazione e di reinserimento.
Angela Giuliano vuole parlare di questa esperienza non in termini di violazione di diritti di proprietà, quanto piuttosto in termini di restituzione di un bene alla collettività, un bene che costituisce il patrimonio di una città: una restituzione affettiva, solidale, umana. Un’esperienza di civiltà e di accoglienza, che non deve passare in secondo piano rispetto alla dimensione formale di illegalità, in cui indubbiamente si sta attuando. Un’esperienza che può, però, costituire un’occasione da non perdere e un’opportunità da non dissipare, per ripensare al valore di beni che appartengono alla collettività sotto il profilo storico-artistico, ma anche sociale. Proprio tenendo conto di questa dimensione sarebbe fondamentale trovare soluzioni che permettano ai valori sociali, morali e civili di prevalere rispetto agli interessi economici e privati. Soluzioni in cui la collettività, la comunità che si è ritrovata, ricostituita, identificata e riappropriata di un bene e dei valori ad essa associati possa recuperare per se stessa e per i suoi soggetti più deboli il valore umano della solidarietà. Una collettività si è fatta carico degli ultimi, utilizzando una chiesa abbandonata, un luogo di accoglienza e di comunità per eccellenza.
Così il progetto di Angela Giuliano che si è appena concluso: i suoi “Cristi svelati di Sant’Antonio e Sant’Alfonso a Tarsia”, volevano non solo riportare alla luce e all’attenzione dei cittadini il valore artistico-culturale di un edificio monumentale di rara bellezza, ma intendevano anche “togliere il velo del pregiudizio e ridare dignità a persone che si sono trovate in difficoltà“, favorendo l’incontro tra persone diverse, creando un’occasione che consentisse a tutti di ritrovarsi e di comprendersi su un terreno comune di umanità.
Vorrei far capire” mi dice Angela “a coloro che vengono a visitare la Chiesa come queste persone in difficoltà si sentono. Non sono degli involucri avvolti da coperte, ma sono sentimenti. Bisogna svelare, smontare i pregiudizi, dal basso. La cultura è coltivazione, zappare, smuovere e rivoltare la terra. Indurre le persone a riflettere. Favorire la relazione con l’altro, che è necessaria, perché solo nella relazione con l’altro ci si definisce. E’ insito nella natura umana. Noi dovremmo fare una rivoluzione anche delle parole, dare il giusto significato alle parole, riflettere su di esse. Lo scavo delle parole ti svela un altro mondo“.
Forse una soluzione è possibile in questo caso. Angela Giuliano pensa ad un presidio di associazioni e persone volontarie che possano sostenere le iniziative da realizzare all’interno della Chiesa, valorizzando quel luogo e riproducendo, così, in qualche modo l’esperienza di Sant’Alfonso.
C’è, però, una sentenza di sgombero che presto verrà attuata. Ma è lecito chiedersi se questa esperienza non possa costituire un precedente per riflettere ed esplorare soluzioni in cui si possa realizzare una gestione collettiva di un bene in nome di principi di umanità. La bellezza artistica coniugandosi con la bellezza umana che si racchiude in ciascuno di noi ha ricreato il senso e il valore più profondo di una parola che contiene in sé tutti i suoi significati socio-culturali, stratificatisi nei secoli: identità, appartenenza, solidarietà, rappresentata dal donare e donarsi. Il senso e il valore più profondo di una parola umana e vitale come quello della parola “comunità”.